L’analfabetismo emotivo sembra essere la causa della deriva comportamentale a cui spesso si assiste sui social e che si concretizza attraverso attacchi tradotti verbalmente nei commenti.
Le emozioni che frequentemente si palesano online su temi molto dibattuti nel web abitano l’universo semantico della rabbia e della frustrazione, associate a una mancata regolazione emotiva che nega la libertà di espressione, l’opinione e la presenza dell’altro generalmente inteso. Si difende la propria posizione con estrema animosità, anche a costo di offendere pesantemente chi espone un punto di vista diverso.
Fake news e confronto pubblico e privato
A questo si aggiunge il fenomeno delle fake news come le dichiarazioni di utenti con un forte impatto mediatico su temi ben prevedibili: vaccini e immigrazione tanto per fare un esempio.
Oltre alla sfera del confronto pubblico esiste poi quello privato. Sono infatti molto frequenti i casi in cui chi ha mostrato un’opinione diversa dalla massa è stato letteralmente invaso da messaggi privati sul proprio profilo con un contenuto non finalizzato a un confronto civile, ma caratterizzato da un coacervo di offese e minacce. Il dibattito travalica dallo schermo e i leoni da tastiera si fanno strada nella vita reale. L’unica evidenza emozionale che emerge in tale scenario è la rabbia unita a frustrazione e rifiuto: una mancata regolazione emotiva che si esteriorizza nella tendenza all’azione, cieca e vessatoria verso l’altro.
L’analfabetismo emotivo: definizione e origine
Una delle cause di tale processo è stata individuata nell’analfabetismo funzionale[1], riguardo soprattutto alla condivisione di notizie derivate da una comprensione deficitaria di ciò che si legge, tuttavia questo non spiega esaustivamente la rabbia sopracitata che ne deriva. L’universo di riferimento è sicuramente quello dell’analfabetismo ma declinato dal punto di vista emozionale, ossia l’analfabetismo emotivo.
Intelligenza emotiva: un concetto chiave
Salovey e Mayer[2] definiscono l’intelligenza emotiva come la capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni. Essa racchiude al suo interno quelle capacità di consapevolezza, motivazione, empatia, che si rivelano fondamentali nelle relazioni sociali.
Le competenze dell’intelligenza emotiva secondo Goleman
Goleman[3] sostiene che, alla base dell’intelligenza emotiva, vi siano due tipi di competenze, ognuna caratterizzata da specifiche caratteristiche.
Competenze personali
La prima competenza è quella personale, ovvero come controlliamo noi stessi. Essa si caratterizza per:
- Consapevolezza di sé: capacità di riconoscere le proprie emozioni, i propri limiti e le proprie risorse ed avere sicurezza nelle proprie capacità;
- Padronanza di sé: saper dominare i propri stati interiori, saper guidare gli impulsi e sapersi adattare e sentirsi a proprio agio in nuove situazioni;
- Motivazione: spinta a realizzare i propri obiettivi sapendo cogliere le occasioni che si presentano, impegnandosi nonostante le possibili difficoltà.
Competenze sociali
La seconda competenza è quella sociale: ossia il modo in cui gestiamo le relazioni. Questa capacità è caratterizzata da:
Empatia: intesa come la capacità di riconoscere le prospettive ed i sentimenti altrui.
Abilità sociali: ossia tutte quelle abilità che ci consentono di indurre risposte vicine al nostro punto di vista nell’interlocutore. Si va dall’utilizzo di tattiche di persuasione efficienti, al saper comunicare in maniera chiara e convincente, così da saper guidare il gruppo sia nel cambiamento, sia nel risolvere eventuali criticità. Rientra in questa categoria anche il catalizzare legami fra i membri di un gruppo creando un ambiente positivo che consenta di lavorare in sinergia.
Goleman afferma che tali abilità vanno apprese in età infantile. La controparte speculare dell’intelligenza emotiva è rappresentata dall’analfabetismo emotivo, che si caratterizza nell’incapacità di riconoscere e controllare le proprie emozioni e quelle altrui, neutralizzando l’empatia e la compassione.
Mancanza di comunicazione emotiva: l’analisi di Umberto Galimberti
Le dinamiche emotive sono ignote e non si dispone di strumenti per gestire i propri stati emotivi. E’ in questa inadeguatezza che ha radice l’analfabetismo emotivo. Umberto Galimberti ha approfonditamente analizzato il fenomeno, soprattutto tra i più giovani[4], sostenendo che nel nostro tempo caratterizzato da sovrabbondanza di stimoli esterni e da carenza di comunicazione, si avvertono i segnali di quella indifferenza emotiva per effetto della quale non si ha risonanza emozionale di fronte a fatti a cui si assiste o a gesti che si compiono.
Conseguenze dell’analfabetismo emotivo
La violenza diventa una pratica comune, è aggressività indefinibile, futile, casuale. Manca un’educazione emotiva e quindi un’educazione comportamentale e relazionale.
Manifestazioni dell’analfabetismo emotivo
Tale deficit esplica le motivazioni che si pongono alla base della sempre più feroce reazione verso chi mostra pensieri contrari ai nostri, dai social network fino alla vita reale.
Cyberbullismo e aggressività online
Tra tali comportamenti annoveriamo, ad esempio, il cyberbullismo, fenomeno che si caratterizza per i propri, fisiologici comportamenti aggressivi, intenzionali, ripetitivi di tipo verbale, fisico, psicologico che, proprio perché declinato nel web, diventa sempre più invasivo. Di fondo si assiste alla difficoltà della vittima di difendersi e alla volontà del cyberbullo di nuocere per ottenere sedicenti vantaggi o semplicemente per il piacere emotivo di umiliare l’altro[5].
Galimberti, analizzando il comportamento delle giovani generazioni, si chiede se il mondo emotivo non sia oggi vissuto come uno scenario sconosciuto e mai esperito.
La percezione dell’altro come nemico
Chi mostra analfabetismo emotivo agisce pervaso da un timore irrazionale e quindi connotato da una vigilanza aggressiva spesso non disgiunta da spunti paranoici che inducono a percepire il prossimo come un potenziale nemico.
Chi invece è dotato di intelligenza emotiva sa riconoscere le proprie e altrui emozioni, le sa gestire e questo consente di mettere in atto comportamenti più funzionali e opportuni alle contingenze sociali. In particolare, alti livelli di intelligenza emotiva ci consentono di essere empatici verso gli altri, capirli e attiva processi di immedesimazione e comprensione[6].
Educazione alle emozioni e sviluppo dell’empatia
Secondo Goleman l’educazione delle emozioni porta a sviluppare l’empatia intesa come capacità di percepire le esigenze dell’altro generalmente inteso, mostrandosi pronti a soddisfare le sue esigenze e a valorizzare le sue risorse. L’ empatia si attualizza anche nella capacità di individuare e coltivare le opportunità che vengono offerte dall’incontro e, soprattutto, nell’interazione all’interno di un gruppo sulla base dell’interpretazione emozionale e dei rapporti di potere che lo sottendono.
Per Galimberti, l’analfabetismo emotivo catalizza un timore eccessivo e quindi a un atteggiamento aggressivo verso l’altro, percepito spesso come un potenziale avversario. Quindi, se nel processo di socializzazione non si ha accesso a un’adeguata educazione emotiva si depaupera inevitabilmente l’empatia, unita al timore della differenza e alla scarsa capacità di modulare la propria sfera emozionale.
L’ analfabetismo emotivo è dunque alla base di un mancato riconoscimento di quest’ultima, nonché della scarsa empatia verso l’altro e dei comportamenti irrispettosi che ne derivano.
Tale processo si esteriorizza prepotentemente sui social network: vedo un post su un argomento che mi indigna (il cosiddetto condividi se sei indignato) provo rabbia, frustrazione e commento con toni forti, congruenti alla mia opinione. Questa è la scintilla che causa la malsana interazione: un utente ha un’opinione diversa e ribatte contraddicendomi, la rabbia aumenta e la gestisco offendendo, andando sul suo profilo personale, cercando altri spunti per rendere le offese più personali, magari in ambito privato. In seguito, coadiuvato da una schiera di commentatori che usa i miei stessi strumenti dialettici e mi deresponsabilizza individualmente, mi sento autorizzato a estendere questi comportamenti nella vita reale[7].
Attualmente l’educazione emotiva si depaupera insieme alle annesse gerarchie valoriali e si palesa la tendenza, nell’attuale generazione, ad avere diverse criticità emozionali rispetto al passato, perché prive di quegli strumenti cognitivo-emotivi indispensabili per stimolare comportamenti quali la consapevolezza di sé e degli altri unita all’empatia.
Tale deficit genera tali aberrazioni verbali e svuota, semanticamente e concretamente, il concetto di ascolto e cooperazione.
Il ruolo della famiglia nell’educazione emotiva
La famiglia è la prima agenzia socializzatrice in cui si apprende la gestione della vita emotiva, non solo attraverso gli insegnamenti diretti ma anche grazie al modello genitoriale nelle relazioni e al processo emulatore che attiva.
Sviluppo delle competenze emotive
I bambini, grazie a tale percorso, apprendono le modalità di gestione e di controllo delle proprie emozioni, tollerando meglio lo stress situazionale. In questo modo imparano a comunicare meglio i propri stati emozionali e sono in grado di sviluppare relazioni adeguate nei processi di socializzazione primaria e secondaria[8].
Proposte per contrastare l’analfabetismo emotivo
Tra i programmi più efficaci, secondo Goleman[9], vi sono quelli di alfabetizzazione emotiva che si attuano nelle scuole, in cui docenti e studenti si concentrino sul tessuto emozionale. Si sceglie un argomento che può spaziare dalle tensioni sociali generalmente intese fino ai traumi presenti nella vita dei bambini, e se ne parla facendo riferimento a questioni concrete: il dolore di sentirsi esclusi, l’invidia, i contrasti più diverso che potrebbero sfociare nello scontro vero e proprio.
Un esempio di analfabetismo emotivo è quello costituito da un bambino che, trascorrendo le sue giornate davanti alla tv o al pc, non riesca a comprendere quali azioni, nelle dinamiche relazionali reali, possano causare rabbia nei compagni, scatenando un conseguente malumore, un disagio in forte aumento, a causa anche della virtualizzazione della realtà.
I sentimenti non si tramandano di generazione in generazione geneticamente, ma si apprendono in famiglia e attraverso la cultura. I primi anni di vita del bambino sono un periodo chiave, determinante nella costruzione della sua identità.
I genitori sono tra i principali autori di questa costruzione e della costituzione delle mappe emotive, aiutando i bambini a passare dal semplice impulso, che è fisiologico, all’emozione, che ne è l’evoluzione naturale, fino ad arrivare al sentimento, che si caratterizza per una componente emotiva e una cognitiva. In questo processo è fondamentale saper utilizzare un corretto linguaggio emotivo, catalizzatore dell’apprendimento sopracitato[10].
L’importanza dell’empatia
Una corretta socializzazione dei bambini è uno strumento utile contro l’analfabetismo emotivo, in quanto previene un disagio e consente uno sviluppo armonico e una crescita serena.
È necessario sottolineare l’importanza di un’adeguata educazione emotiva e contrastare così l’espandersi dell’analfabetismo emotivo e dei fenomeni a cui spesso oggi, purtroppo, siamo abituati ad assistere online e dal vivo[11].
Nella vita quotidiana ci si trova spesso di fronte a idee poco condivisibili, che si possono contestare o meno, l’importante è farlo sempre nel pieno rispetto della libertà di espressione di chi le espone, sia che si trovi davanti a noi, sia che si trovi dall’altra parte di uno schermo.
Bibliografia
Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari 2006.
Buccolo M., L’ educatore emozionale. Percorsi di alfabetizzazione emotiva per tutta la vita. Franco Angeli, Milano 2019.
Caruso D. R., Salovey P., The Emotionally Intelligent Manager: How to Develop and Use the Four Key Emotional Skills of Leadership, Jossey-Bass, Hoboken 2007.
D’Amico A., L’ intelligenza emotiva e metaemotiva, Il Mulino, Bologna, 2018.
Garimberti U., L’ ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli 2007.
Goleman D., Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Rizzoli, Milano 2011.
Harvey D., La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano 2015.
Livolsi M., Sociologia della comunicazione, Laterza, Bari 2002.
Maggi M., Ricci A., L’ educazione emozionale. Strategie e strumenti operativi per promuovere lo sviluppo delle competenze emotive a scuola e in famiglia, Franco Angeli, Milano 2022.
Paccagnella S., Sociologia della comunicazione nell’era digitale, Il Mulino, Bologna 2020.
Walton D. (trad. Tropeano M.), L’intelligenza emotiva. Che cos’è e come usarla, Anteprima edizioni, Torino 2017.
[1] Il termine analfabetismo funzionale indica l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana che si traduce nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni nell’attuale società.
[2] Caruso D. R., e Peter Salovey P., The Emotionally Intelligent Manager: How to Develop and Use the Four Key Emotional Skills of Leadership, Jossey-Bass, Hoboken 2007.
[3] Goleman D., Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Rizzoli, Milano 2011.
[4] Garimberti U., L’ ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli 2007.
[5] Maggi M., Ricci A., L’ educazione emozionale. Strategie e strumenti operativi per promuovere lo sviluppo delle competenze emotive a scuola e in famiglia, Franco Angeli, Milano 2022.
[6] D’Amico A., L’ intelligenza emotiva e metaemotiva, Il Mulino, Bologna, 2018.
[7] Buccolo M., L’ educatore emozionale. Percorsi di alfabetizzazione emotiva per tutta la vita. Franco Angeli, Milano 2019.
[8] Buccolo M., ibidem.
[9] Goleman D., Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 2011.
[10] D’Amico A., op. cit.
[11] Maggi M., Ricci A., L’ educazione emozionale. Strategie e strumenti operativi per promuovere lo sviluppo delle competenze emotive a scuola e in famiglia, Franco Angeli, Milano 2022.