Elden Ring, ultima grandiosa fatica di FromSoftware diretta da Hidetaka Miyazaki è riuscito nell’intento di unire le persone, facendogli condividere momenti pieni di tensione, facendogli superare le difficoltà insieme, creando una comunità compatta e positiva. Ma com’è ha ottenuto questo risultato?
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Pandemia e nuovi modi per fare comunità
Tre anni fa aveva inizio uno dei periodi più difficili dell’epoca in cui viviamo. Tutt’ora la pandemia di covid-19 è lungi dal considerarsi conclusa, e la situazione varia molto in base al luogo ed al periodo.
Ci sono però delle cose importantissime che questa pandemia ci sta insegnando. Vivere essendo costretti a dover limitare i rapporti fisici con le altre persone ha generato riflessioni sui nuovi modi per fare comunità, comunicare, condividere pensieri e sensazioni. Oggi siamo qui per approfondire un aspetto particolare di tutto questo, che ancora una volta dimostra in maniera estremamente potente la connessione tra letteratura, videogiochi, e più in generale con l’idea di umanesimo.
Ovviamente, in questi anni, il web è diventato ancor di più un’agorà: i social e le applicazioni di messaggistica in molti casi sono diventati l’unico modo per rimanere in contatto con affetti, conoscere nuove persone e ricevere notizie dal mondo. Ma, come sappiamo, spesso capita che l’interazione all’interno di queste bolle sociali lasci trasparire frustrazione, rabbia, e che, in un certo senso, invece di connettere e far dialogare le persone, finisce per dividerle, alimentando sentimenti tossici e negativi.
In questo clima così critico e quantomai delicato, chi avrebbe mai pensato che alcuni videogiochi avrebbero potuto sortire l’effetto opposto, creando una safe zone fatta di collaborazione e condivisione sincera tra esseri umani? Ma soprattutto, chi avrebbe annoverato tra le opere capaci di ciò una particolare serie rinomata per la sua difficoltà e la frustrazione che spesso causa ai giocatori, ovvero quella dei souls?
È vero: quando si pensa ad un souls, o ad un soulslike, si pensa ad un’esperienza videoludica estremamente sfidante, difficile, alle volte anche frustrante, molto lontana da quello che può essere il senso di ampio respiro e rilassamento di un open world come The Legend of Zelda: Breath of the Wild.
I motivi del successo di Elden Ring
Eppure, Elden Ring sembra riuscire a coniugare questi due aspetti in modo magistrale, presentandoci un titolo che in poco tempo ha venduto una quantità enorme di copie.
I lavori di Hidetaka Miyazaki, per quanto noti, sono sempre rimasti ad una nicchia di hardcore gamers, e che, grazie anche ad un forte gatekeeping, hanno sempre suscitato diffidenza all’interno del mondo videoludico. Nonostante questo, però, Elden Ring è riuscito a rivolgersi ad una fetta di pubblico ben più ampio, attirando nel fandom souls anche i videogiocatori più distanti dal sottogenere, chi non vi si era mai approcciato, vuoi per timore della difficoltà o per gusti personali.
Ma la domanda che vogliamo farci oggi qui noi di Arcadia Café è la seguente: come è riuscito questo open world ad entrare nei cuori di così tante persone? Come è riuscito ad essere (a modo suo) il porto sicuro che è stato in pandemia Animal Crossing: New Horizons? Il segreto è proprio nel suo world building.
L’intelligente trovata di unire la difficoltà del gameplay souls, ad una struttura aperta che permette al giocatore, per la prima volta, di decidere di rimandare ad un secondo momento determinati ostacoli. Se negli altri souls i boss si presentavano come dei muri, oltre i quali proseguiva la trama e la main quest del gioco, in Elden Ring la possibilità di montare a cavallo e perdersi in infinite cavalcate nelle terre immense dell’Interregno permettono al giocatore di decidere quando buttarsi nella sfida e quando prendere un momento di respiro, alla scoperta di regioni e dungeon segreti e secondari, alla raccolta di materiali, alla conoscenza di innumerevoli npc sparsi per tutta la mappa. Si potrebbe definire Elden Ring un Souls “rilassato”, un’espressione quasi ossimorica ma che riesce a riassumere bene l’esperienza di gioco. E anche con questa possibilità di pausa, con questo pacing più diluito e calmo, non viene assolutamente meno la costante sensazione di precarietà, di difficoltà, di sfida degli altri titoli from.
Cosa significa giocare ad un souls open world
Cosa significa giocare ad un souls open world? Libertà di esplorazione, ma soprattutto un ampio respiro spaziale e temporale: non saremo obbligati a sconfiggere quel determinato boss ostico, piuttosto se non ce la sentiremo potremo esplorare la mappa a nostra disposizione, raccogliere oggetti, risorse, scoprire nuove aree, tra dungeon segreti e secondati, salire di livello, conoscere nuovi e numerosissimi npc, impratichirci con le meccaniche di gioco, per poi tornare più forti e determinati. Tutto questo ha due effetti: riduce la frustrazione, ci fa sentire più in potere di superare certi ostacoli e determinati nel provare a farlo, e, cosa non meno importante, crea una narrazione del tutto personale del gameplay. E anche con questa possibilità di pausa, con questo pacing più diluito e calmo, non viene assolutamente meno la costante sensazione di precarietà, di difficoltà, di sfida degli altri titoli from.
Ogni oggetto trovato, ogni luogo scoperto, oltre ad avere la loro storia all’interno dell’ecosistema del videogioco, ne acquisiranno una completamente soggettiva, diversa per ogni individuo, basata su scelte personali e fattori casuali. Quando racconteremo la nostra partita ad Elden Ring, sia a noi stessi sia ad altri, non lo faremo secondo il canovaccio della trama del gioco, ma attraverso la nostra esperienza personale. Prima di essere la quest del Senzaluce alla ricerca dell’Anello Ancestrale, è la nostra avventura nell’Interregno. Bene, qui siamo di fronte ad una fonte primordiale ed inesauribile di letteratura, medium che è nato proprio così: attraverso la condivisione di storie.
Per quanto riguarda invece il primo punto di cui parlavamo, basta un’occhiata veloce ai principali social per capire della positività di cui è capace la comunità dei souls: dai consigli ed aiuti ai neofiti, ai video su YouTube in cui vari content creators raccontano come i souls li abbiano aiutati a combattere la depressione (uno tra tutti “How Souls Games Save You | Psych of Play di Daryl Talks Games, che spiega nel dettaglio questo fenomeno), fino ai semplici segni d’evocazione all’interno dei giochi. Cosa sono questi segni d’evocazione? Un metodo semplice e veloce per connettere più giocatori, e farli collaborare. In poche parole, il primo giocatore imprime il suo simbolo sul terreno di gioco, aspettando che il secondo lo tocchi, evocandolo nel suo mondo per affrontare nemici e boss insieme.
Gli effetti benefici di Elden Ring
In Elden Ring, appunto, lo sforzo è reale, come già accadeva dai tempi di Demon’s Souls, in cui l’unica chiave per andare avanti ed oltrepassare abili cavalieri, divinità, mostri e draghi è riuscire a padroneggiare al meglio le arti del combattimento, fare proprie le meccaniche di gioco che vengono introdotte con una breve zona tutorial, che è tra gli aspetti che rende l’Interregno più user friendly rispetto a Yharnam e Lordran/Lothric. Anche qui non mancano boss apparentemente impossibili, momenti in cui presi dalla rabbia e dallo sconforto di non riuscire, di trovarci davanti a qualcosa più grande di noi, però sembra allo stesso tempo che il gioco cerchi di darci molti più strumenti utili per superare queste sfide.
E in questo spirito di sfida, di esplorazione e scoperta, si rinnova uno degli aspetti che ha contribuito a rendere il mondo dei souls quello che è: la comunicazione tra i giocatori, tra i vari Senzaluce, che in questo caso hanno creato vere e proprie reti e gruppi di scambio di informazioni, come legioni di ricerca di Attack on Titan. La community si è poi ampliata accogliendo a braccia aperte tanti novelli del genere, anche se in modo a volte severo (il mondo del pvp si riconferma una delle sfide più brutali del gioco).
In Elden Ring c’è già una storia particolarmente significativa e virale che parte dalla meccanica dell’evocazione: parliamo di un giocatore che ha creato un personaggio appositamente per aiutare altri giocatori a sconfiggere un boss particolarmente ostico presente in una fase avanzata del gioco. La generosità e l’aspetto particolare (è vestito unicamente da un perizoma ed usa un vaso come cappello) di questo personaggio, insieme al suo nome, “Let me solo her”, e la sua abilità di combattimento, hanno fatto esplodere il fenomeno nel mondo del web, al limite tra leggenda e meme: internet è pieno di racconti, illustrazioni e video che mostrano le imprese del bizzarro eroe, e di come abbia aiutato centinaia di persone (si parla di più di 400) a combattere quel fastidioso nemico. Il giocatore ha anche rilasciato una dichiarazione presso IGN USA, in cui racconta le motivazioni dietro a tanta solidarietà: “Ho deciso di aiutare contro -M- perché mi sono innamorato del suo design. Tutti i suoi attacchi sono molto aggraziati ed è un boss davvero spietato. La sua ‘waterflow dance’ è considerata la mossa più difficile da schivare di tutti i giochi FromSoftware, perciò volevo dimostrare agli altri giocatori che non è un’impresa impossibile.” Un gesto altruista che mette in luce sia la bellezza dell’opera di Miyazaki, sia le potenzialità che ha di unire le persone.
Questi effetti benefici di Elden Ring, a pensarci, sono molto simili a quelli che si vanno a creare in videogiochi decisamente più rilassanti come Animal Crossing, o titoli volti unicamente all’interazione positiva tra giocatori online come Sky: Figli della Luce (in cui non è possibile comunicare in forma scritta, ma solo attraverso delle espressioni del nostro avatar): parole chiave sono ancora una volta empatia e condivisione.
Conclusioni
In questi giorni, merito di disinformazione fatta dalla televisione e da persone che non sanno di cosa parlano, i videogiochi stanno diventando ancora una volta bersaglio di accuse che ne parlano in maniera negativa e catastrofica, paragonandoli addirittura alle droghe pesanti. Ma accanto ai potenziali effetti negativi (che vanno sicuramente studiati ed approfonditi) che non sono intrinseci al medium, e che spesso vengono amplificati dalla condizione del singolo, esiste una luce abbagliante, fatta di storie, cooperazione, condivisione, letteratura, musica, cinema, teatro… È una nuova pagina all’interno dell’enorme libro dell’umanismo, e nessuna tenda o censura potranno farla sbiadire.