osservatorio disinformazione

Elezioni, quante fake news: social e media tradizionali fanno a gara di falsità

Solo la Storia dirà se a vincere la corsa alle fake news saranno i media tradizionali o il bar sport 4.0. Di certo il business che si muove dietro il circo elettorale è enorme e in un mondo in cui ognuno vuole dire la sua, la scelta del social di riferimento è importante. E anche i colossi cominciano a fare scelte di campo

Pubblicato il 27 Set 2022

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

fake news guerra

I social network sono sempre più oggetto di battaglia politica, oltre ad essere uno dei campi di battaglia.

In Italia, il Garante per il Trattamento dei dati personali ha chiesto chiarimenti sulle attività dei social Facebook ed Instagram in materia elettorale, tema sensibile sia sul piano della riservatezza delle opinioni politiche (e relativo diritto garantito dal GDPR), sia sul piano strettamente sociopolitico.

Ma nel corso di questa anomala, ultima campagna elettorale anche i media tradizionali hanno fatto la loro parte per contribuire a una certa confusione informativa. Solo una cosa è certa: il circo elettorale è ormai un business che non risparmia nessuno.

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L’iniziativa di Meta

Meta, la società statunitense proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp è entrata “in prima persona” nella contesa elettorale italiana con una campagna volta a contrastare le interferenze e rimuovere i contenuti che disincentivano al voto. Per procedere in questo modo Meta avrebbe avviato collaborazioni con organizzazioni indipendenti di fact-checking e impiegato un Centro operativo virtuale per identificare in tempo reale potenziali minacce.

Il Garante per il Trattamento dei dati personali ha chiesto, il 22 settembre 2022, chiarimenti sulle modalità con cui questa “iniziativa” sarebbe stata attuata e, soprattutto, indicazioni precise sulla gestione dei relativi trattamenti.

L’iniziativa di Meta non è entusiasmante, ma può essere letta in vari modi.

In primo luogo, il mercato elettorale è importante per Facebook, grazie alla sponsorizzazione delle pagine di partiti e candidati; l’astensionismo è, di fatto, il primo nemico di questo mercato del marketing elettorale.

Il legame tra social e politica è ormai strettissimo, quasi quanto quello con i media tradizionali.

Esempi di strumentalizzazione di campagne social

D’altra parte, si contano numerosi esempi di strumentalizzazione di campagne social per organizzare o sabotare un evento, una manifestazione o per screditare una persona.

Il New York Times, in un pezzo del 18 settembre 2022, riportava una notizia relativa a una manifestazione promossa dall’attivista Linda Sarsour nel 2017.

Si trattava della Women’s March ed era una manifestazione femminista apertamente contro l’allora Presidente USA, Donald Trump.

La manifestazione fu partecipatissima (si parla, addirittura, di più di 4 milioni di partecipanti), ma l’eco sui social fu… particolare.

Il lunedì successivo Linda Sarsour fu letteralmente “assalita” da una tweet bomb organizzata – pare – da troll russi – pare – prezzolati proprio da Donald Trump.

Di certo ci fu che l’aggressione social fu organizzata in modo scientifico ed utilizzando numerosissimi profili falsi.

Alcune precisazioni vanno però fatte: il legame Russia-Trump è un cavallo di battaglia della propaganda dem statunitense: il New York Times non pare avere molta affinità con i repubblicani in generale e con l’ex Presidente Trump in particolare.

Non solo: a novembre 2022 ci saranno le elezioni di mid-term, appuntamento elettorale importantissimo per l’amministrazione Biden.

Calcare quindi la mano sul rapporto privilegiato di Trump con la Russia, nel momento di massimo scontro tra le due superpotenze per la guerra in Ucraina, sembra molto clickbait.

La notizia, peraltro, non è freschissima: stiamo parlando del gennaio 2017.

Vengono alla mente le parole, proprio di Donald Trump, quando affermò che Elon Musk (l’owner di Tesla e SpaceX, oltre che uomo più ricco al mondo) non avrebbe comprato Twitter, nonostante avesse offerto 44 miliardi di dollari, dato che il social era “invaso” da profili fake.

Twitter ed i “putiniani italiani”

La Repubblica online il 22 settembre 2022 ha pubblicato un’analisi a firma di Emanuele Capone su uno studio condotto dall’ISD (Institute for Strategic Dialogue) sulla propaganda filorussa in Italia.

Il campione è sempre tratto dal social Twitter e mostra come una parte dell’elettorato di Lega-Salvini Premier e Movimento 5 Stelle condividano post di siti di disinformazione russa e propagatori di fake news.

Il campione analizzato era di 500 profili: solo 200 circa, però, erano schierati a favore di un partito.

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Gli altri, definiti “pro-Cremlino”, sarebbero anche contrari al greenpass e diffonderebbero “teorie complottiste”, inneggiando al non-voto (vedi paragrafo precedente) con l’hashtag #iononvoto.

Peccato che tra le teorie complottiste figuri, espressamente, “il grande reset”, che è una dottrina economica esplicitata da Klaus Schwab al World Economic Forum, cioè al Gotha dell’economia occidentale.

Nel campione analizzato, si registra una generale sfiducia nei mezzi di informazione generalisti: anche questa posizione, però, non è così immotivata.

Lo studio è articolato e l’analisi interessante, soprattutto perché conferma un trend che chiunque parli con il suo prossimo (al bar, al mercato, sui posti di lavoro etc.) sperimenta quotidianamente in questi giorni: generale sfiducia nella coalizione di centro-sinistra (anche grazie al devastante slogan “Scegli”), massima sfiducia nel Ministro della Sanità Roberto Speranza (con hashtag anche violenti, come #speranzaassassino e #speranzaingalera).

I messaggi d’odio vanno sempre condannati: detto questo, a mio personale giudizio, il Ministro Speranza si è guadagnato ogni medaglia sul campo, e una commissione parlamentare d’inchiesta sul periodo pandemico sarebbe opportuna.

Cosa ha detto la Von Der Leyen: democrazia a rischio?

Sui social, con le elezioni del 25 settembre dietro l’angolo, è impazzato un estratto – oggettivamente impreciso – di una dichiarazione della Presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen.

La versione “sbagliata” era, più o meno, questa: vedremo il risultato del voto in Italia. Se le cose andranno in una direzione difficile, abbiamo degli strumenti come nel caso della Polonia e Ungheria”.

Letta così, a tre giorni dal voto, la dichiarazione appariva effettivamente come una minaccia.

L’affermazione, però, pare più una semplificazione degli organi di stampa che hanno rilanciato la notizia: Open online, con un pezzo delle 5.18 del 23 settembre 2022 (a firma “Redazione”) riporta sia la dichiarazione integrale, sia il video, caricato su Youtube, dell’intervento della presidente della Commissione europea.

L’invito è verificare quanto riportano i fact-checker: l’apertura del discorso sulle elezioni italiane, comunque, è equilibrato: si parla di collaborazione con ogni governo, di confronto tra tutti e 27 gli Stati membri e di dialettica democratica nel Consiglio europeo tra pari.

Il riferimento alle situazioni difficili (Polonia e Ungheria) è arrivato dopo questo – corretto e doveroso – preambolo e dopo che la Presidente ha affermato che la democrazia non è una conquista definitiva, ma un “processo costante”.

Insomma, la Von Der Leyen, massima espressione del mainstream europeo è stata travisata proprio… dall’informazione mainstream.

Qualche malpensante potrebbe vederci un (goffo) tentativo per orientare il voto verso partiti… “governisti”, agitando lo spauracchio della speculazione internazionale e dell’isolamento cui l’Italia andrebbe incontro con un governo sovranista.

Conclusioni

Social media e media tradizionali si contendono il primato delle fake news: solo la Storia dirà se a vincere saranno le testate giornalistiche asservite a questo o a quell’altro partito o il bar sport 4.0.

Di certo il business che si muove dietro il circo elettorale è enorme: in un mondo in cui ognuno vuole dire “la sua” ad ogni ora del giorno e della notte, la scelta del social di riferimento diventa importante.

E anche i colossi che governano i social devono fare delle scelte di campo, pena la perdita della loro prima fonte di profitto: gli utenti.

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