Il tema ricorrente nei convegni, negli incontri, e nelle tavole rotonde è l’auspicio di uno sviluppo manageriale del public procurement. Esiste, cioè, tra gli esperti la consapevolezza che una maggiore diffusione dello strumento potrebbe dare quei risultati che da anni sono perseguiti dalla politica, ma che allo stesso tempo, da anni, rappresentano la cifra del fallimento di una pubblica amministrazione che stenta ad innovare, perché incapace di innovarsi.
Manca, cioè, quel metodo di base, indispensabile per in ogni attività umana e che si sostanzia nella conoscenza degli ostacoli e nella realizzazione delle precondizioni affinché una programmazione possa avere successo. Nel nostro sistema giuridico-amministrativo il public procurement richiede e necessita il superamento di due precondizioni attuative e la rimozione di almeno tre fattori che ne condizionano l’efficacia.
Le due precondizioni, in un ambiente amministrativo e burocratico costituito nella quasi sua totalità da non nativi digitali sono da individuare: la prima nella diffusa opinione di inadeguatezza dello strumento tecnologico con conseguente stratificata opinione di problematicità e inefficace dello strumento; la seconda va individuata nella mancanza di tempo, per l’operatore, che occasionalmente si approccia allo strumento per acquisire le relative procedure, sicché ai passaggi non sempre immediatamente accessibili, che lo strumento allo stato dimostra, nascono quelle difficoltà che sono solo la conseguenza di in una mancanza di formazione, che ne è la causa che, invece, erroneamente viene ricondotta alla presunta complessità dello strumento.
Al netto delle accennate precondizioni il public procurement resta, comunque, fortemente condizionato da tre fattori che allo stato sono paralizzanti: il primo è da individuare ed è riconducibile alla qualità e quantità della pressione politica e alla resilienza della struttura burocratica delle amministrazioni in ordine alla necessità di fare del public procurement strumento di utilizzo se non esclusivo, almeno prevalente, dell’approvvigionamento pubblico.
Si potrebbe così, a medio tempo, raggiungere l’obiettivo di razionalizzare la spesa pubblica, al fine di farne un’occasione di spinta per la crescita e non un’occasione per polverizzare in mille rivoli risorse pubbliche, rendendola così improduttiva perché funzionale solo ad occasioni di accumulazione parassitaria se non delinquenziale.
Per realizzare questo primo obiettivo occorre, però, che sia messo in cantiere il secondo fattore che è quello di favorire un quadro normativo chiaro, semplice, non mutevole ad ogni sospingere di pensiero, che non abbia bisogno di linee guide ripetitive ed illustrative dell’ANAC o di normazione tecnica di AgID, se non di quella legata al processo di sviluppo tecnologico dei processi.
Il terzo fattore risiede nella diffusione della cultura e della conoscenza dell’e-procurement attraverso un’ampia e condivisa circolazione delle esperienze, la loro valorizzazione, dei processi formativi costanti e continui, insomma il fattore della formazione nell’utilizzo delle ICT nel settore pubblico resta la grande questione ancora irrisolta.
In questo quadro generale il public procurement resta confinato solo su alcuni degli specifici processi di acquisto della pubblica amministrazione a fronte di una platea enorme di soggetti pubblici che dovrebbero ricorrere alle relative procedure di approvvigionamento. E’, quindi, un potenziale vastissimo a cui corrisponde asimmetricamente una cifra percentuale bassissima dell’utilizzo dell’e-procurement, segno evidente della mancanza di formazione specifica nell’ambito della P.A. e ciò nonostante che l’electronic public procurement sia uno dei principali driver delle politiche della Commissione Europea la quale lo ha imposto come obiettivo, nel medio periodo, di digitalizzare l’intero processo di approvvigionamento delle pubbliche amministrazioni nelle due fasi di pre e post aggiudicazione, ovvero dalla pubblicazione dei bandi fino al pagamento.
L’e-procurement è, quindi, di per sé una leva fondamentale per la crescita dell’economia, per la modernizzazione e una maggiore efficienza dei processi amministrativi, per il controllo e la riduzione della spesa pubblica se si pensa che degli stimati 87 miliardi di euro di spesa per beni e servizi, che è gestita da 32.000 stazioni appaltanti polverizzate sul territorio, il public procurement potrebbe fare giustizia.
La speranza e che vi sia una massiccia attuazione del Decreto legislativo n. 50/2016 che detta la via per il recepimento delle direttive europee e introduce le azioni necessarie a regolamentare e standardizzare i processi e le procedure in ambito e-procurement.