La rivoluzione tecnologica ha condotto alla nascita di questioni giuridiche nuove, come quella relativa alla “eredità digitale”. Alla morte di un individuo, difatti, il problema della sorte del relictum si pone anche per i dati e le informazioni che, in vita, egli ha immesso nel web.
Dati digitali: una nuova sfida giuridica
Dal punto di vista giuridico, i dati digitali rappresentano una sfida concettuale, poiché non rientrano nelle tradizionali categorie di patrimonio ereditario fisico, come proprietà immobiliari o mobiliari. In particolare, i beni digitali comprendono tutti quei dati, documenti, file e informazioni generati, gestiti o conservati in formato digitale: fotografie e video su piattaforme online, e-mail, archivi cloud, account social, conti bancari online e criptovalute.
Non vi è alcun dubbio che i dati e le informazioni immesse online siano riconducibili alla categoria dei beni giuridici ai sensi dell’art. 810 c.c., in quanto oggetti di interessi rilevanti e meritevoli di tutela. Essi confluiscono nel patrimonio di cui ciascun soggetto risulta titolare, che si espande fino a includere, oltre alle entità materiali e immateriali, anche i cosiddetti digital asset.
Il nostro ordinamento non prevede norme specifiche sulla successione dei beni digitali, ma, in assenza di disposizioni ad hoc, si applicano le regole generali in materia di successione. Secondo l’art. 588 del Codice Civile, alla morte di una persona, tutti i suoi beni, diritti e obbligazioni si trasmettono agli eredi, compresi potenzialmente i dati digitali. Tuttavia, possono sorgere problemi quando tali dati sono considerati non patrimoniali o quando il loro accesso è regolato da contratti di licenza con le piattaforme che ne impediscono il trasferimento.
I dati digitali quali beni immateriali
I digital asset possono assumere una duplice configurazione, in base alla modalità di creazione e conservazione. Da un lato, i dati archiviati su un supporto fisico di memoria possono essere considerati di proprietà del de cuius; dall’altro, i dati immessi e generati all’interno di una piattaforma dipendono dal contratto di servizio stipulato con il fornitore del servizio digitale.
Nel primo caso, il diritto di proprietà sul dispositivo di memoria e sui dati in esso contenuti fa parte del patrimonio del titolare e, quindi, rientra nella devoluzione ereditaria. Più problematica è la seconda situazione, poiché i destini successori dei dati custoditi online dipendono, da un lato, dalla trasmissibilità del rapporto contrattuale mortis causa e, dall’altro, da quanto stabilito dalle clausole del contratto di fornitura del servizio digitale, che solitamente escludono il subentro degli eredi nella posizione del de cuius.
In relazione a tali clausole, unilateralmente predisposte, l’utente non ha potere di negoziazione e può solo accettarle integralmente per poter usufruire del servizio. Molte piattaforme specificano nei loro termini e condizioni che gli utenti non possiedono effettivamente i contenuti o gli account, ma dispongono di una licenza temporanea e personale per utilizzarli.
Tale situazione evidenzia le asimmetrie tipiche della contrattazione consumeristica, che sollevano il problema della tutela del consumatore. In tal senso, si considera legittimo il controllo del contenuto delle clausole, ai sensi dell’art. 36 del Codice del Consumo, con la possibile declaratoria giudiziale di nullità delle clausole abusive.
Natura patrimoniale e non patrimoniale dei dati digitali
La distinzione tra la natura patrimoniale o non patrimoniale dei dati digitali è rilevante in tema di diritto successorio. Il nostro ordinamento riconosce tradizionalmente il principio di patrimonialità della successione mortis causa, per cui solo i diritti e i rapporti di contenuto patrimoniale possono formare oggetto di trasmissione ereditaria, mentre quelli di natura personale si estinguono con la morte del titolare. Di conseguenza, solo i dati digitali di carattere patrimoniale possono essere oggetto di devoluzione successoria.
Pertanto, se i beni digitali riflettono, sotto diversi profili, gli aspetti della personalità del titolare, sebbene possano rispondere anche a un interesse economico dell’utente, spesso si tratta di dati di rilievo esclusivamente personale, privi di carattere patrimoniale. In assenza di una volontà esplicita del de cuius riguardo alla sorte di tali contenuti, ci si chiede se possano formare oggetto di trasmissione ereditaria.
Come accennato, il principio di patrimonialità delle successioni preclude agli eredi la possibilità di subentrare nei diritti e nei rapporti personali del defunto.
Diritto successorio e beni digitali di natura non patrimoniale
L’attuale quadro giuridico in materia successoria non contempla direttamente la gestione dei beni digitali post mortem, lasciando così una zona grigia normativa. In tale contesto, si rende necessario esplorare altri ambiti normativi, come quelli relativi al trattamento dei dati digitali del de cuius, in particolare il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Reg. UE n. 2016/679).
Sebbene il GDPR non preveda disposizioni specifiche sui dati post mortem, articoli come l’art. 17 (diritto all’oblio) e l’art. 20 (diritto alla portabilità dei dati) possono offrire indicazioni utili. Tuttavia, il GDPR si applica solo ai dati personali di individui viventi, quindi la gestione dei dati post mortem resta demandata alla normativa nazionale. Sul tema, rileva il Codice della Privacy (D. Lgs n. 196/2003, come modificato dal D. Lgs n. 101/2018) che, all’art. 2-terdecies, stabilisce che “i diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento (n.d.a. GDPR) riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione”.
In questo modo, viene garantita una tutela postuma dei diritti della personalità e del trattamento dei dati personali, estesa non solo agli eredi, ma anche a un ampio novero di legittimati. Tuttavia, i diritti di cui agli artt. 15 – 22 del GDPR non possono essere esercitati quando ciò è vietato dalla legge o se il soggetto, con una dichiarazione scritta, ha vietato la trasmissibilità.
Alcuni Tribunali italiani, come quelli di Milano, Bologna e Roma, hanno confermato il diritto dei familiari di accedere ai dati digitali del de cuius, sebbene non sia stato ancora chiarito se i diritti non patrimoniali si trasmettano iure proprio o mortis causa, segnalando una persistente lacuna normativa.
Diritto successorio e beni digitali di natura patrimoniale
Tra i beni digitali di valore economico rientrano le criptovalute e beni come NFT (Non-Fungible Tokens) e domini web. Le criptovalute, ad esempio, sono beni di cui il titolare ha piena proprietà, ma l’accesso è vincolato a chiavi crittografiche che, senza pianificazione, possono rendere complessa la trasmissione post mortem.
A differenza degli account bancari centralizzati, le criptovalute non dipendono da un intermediario, ma da una blockchain distribuita, il che implica che nessuna entità centrale può intervenire per recuperare le risorse in caso di problemi. La chiave privata, necessaria per l’accesso al wallet, è l’unico mezzo per gestire i fondi; senza di essa, le criptovalute sono irrecuperabili.
Per assicurare la trasmissione delle criptovalute agli eredi, il titolare dovrebbe pianificare la gestione della chiave privata. Alcuni utilizzano soluzioni offline, come trascrivere la chiave su carta o hardware wallet, ma anche queste possono risultare problematiche se gli eredi non ne sono a conoscenza.
Soluzioni future e necessità di interventi legislativi
Dall’analisi emerge la necessità di interventi legislativi per garantire la trasmissione efficace dei beni digitali. Sebbene siano già presenti strumenti per la pianificazione successoria dei beni digitali, come il testamento, il futuro richiede una regolamentazione più strutturata, come il testamento digitale, che consenta di gestire beni digitali con trasparenza.
Le tecnologie blockchain e smart contracts rappresentano mezzi promettenti per facilitare la successione digitale. La blockchain potrebbe creare un registro sicuro dei beni digitali, mentre gli smart contracts, eseguendo azioni al verificarsi di specifiche condizioni, possono agevolare la trasmissione.
Attualmente, alcune piattaforme digitali, come Facebook e Google, offrono soluzioni limitate per la gestione degli account post mortem, ma si auspica che ne sviluppino di più ampie, standardizzate e in grado di ridurre i conflitti tra eredi e piattaforme.
Conclusioni
L’evoluzione digitale ha introdotto beni immateriali sempre più rilevanti, dai social media alle criptovalute. Tuttavia, l’assenza di una normativa chiara e uniforme sulla gestione post mortem solleva problematiche che il Legislatore dovrebbe affrontare con urgenza.
L’adozione di testamenti digitali, l’utilizzo di blockchain e smart contracts, e la predisposizione di regole più trasparenti da parte delle piattaforme digitali possono facilitare la trasmissione dei beni digitali agli eredi. La collaborazione tra Legislatori, fornitori di servizi e professionisti del diritto sarà fondamentale per un sistema giuridico che garantisca una successione digitale sicura, trasparente ed equa.