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Vita da nomadi digitali in Italia, le norme da conoscere



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Un nuovo quadro normativo accoglie i lavoratori internazionali. Visti, permessi di soggiorno e tassazione: ecco come i professionisti stranieri possono stabilirsi legalmente nel nostro Paese, sfruttando le opportunità del lavoro digitale

Pubblicato il 5 dic 2024

Emanuele Licciardi

Partner e Responsabile del Dipartimento di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali, Morri Rossetti

Emanuela Lorusso

Associate, Dipartimento di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali, Morri Rossetti

Samuel Nigro

Junior Associate, Dipartimento di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali, Morri Rossetti



computer documenti digitali nomadi digitali

Negli ultimi anni, l’innovazione tecnologica e l’emergenza pandemica hanno favorito la crescita esponenziale dei professionisti che scelgono di lavorare, da remoto, da qualsiasi parte del mondo. Definiti “nomadi digitali” o “lavoratori da remoto”, a seconda del tipo di rapporto di lavoro che intrattengono, detti professionisti fanno parte di un fenomeno nuovo che si è ormai imposto nella quotidianità delle relazioni lavorative, anche in Italia.

Naturalmente, esso presenta implicazioni legali e fiscali che devono essere attentamente comprese per assicurare una permanenza regolare e rispettosa delle normative dei Paesi ospitanti.

Nomadi digitali: la nuova disciplina italiana

La nuova disciplina – va ricordato – si applica ai professionisti di nazionalità extra-UE in quanto, come noto, i lavoratori europei godono della libertà di circolazione sul territorio comunitario, dove hanno facoltà, tra le altre cose, di stabilirsi e prestare attività lavorativa.

Ora, per (quasi) tutti i lavoratori extra-UE, l’ingresso in Italia per motivi di lavoro avviene in base alle disposizioni del c.d. Decreto “Flussi”, che determina il numero massimo di lavoratori ammessi per scopi lavorativi nel corso dell’anno successivo alla sua adozione.

Tuttavia, l’aumento del fenomeno del lavoro da remoto ha reso necessario introdurre regole specifiche per i nomadi digitali e i lavoratori da remoto, ove essi non siano cittadini europei. In Italia, il fenomeno è stato recentemente disciplinato attraverso il Decreto Ministeriale 29 febbraio 2024 (il “D.M.”), il quale stabilisce i requisiti e le procedure per il rilascio del visto di ingresso e del permesso di soggiorno per queste figure. In particolare, esso definisce “nomade digitale” e “lavoratore da remoto” i cittadini extra-comunitari che svolgano, rispettivamente, attività di lavoro autonomo e attività di lavoro subordinato o di collaborazione attraverso strumenti tecnologici che consentono l’esecuzione di dette attività da remoto.

Lo snellimento della procedura di richiesta del visto per i professionisti

Il vantaggio riconosciuto a questi professionisti sta nello snellimento della procedura di richiesta del visto che consente l’ingresso nel nostro Paese. In particolare, a essi sarà richiesto il possesso di un reddito minimo individuato dalla normativa, di un’adeguata copertura assicurativa sanitaria, di documentazione attestante la disponibilità di un alloggio idoneo.

Ancora, i lavoratori in argomento dovranno dimostrare di possedere una determinata esperienza pregressa nell’ambito dell’attività lavorativa da svolgere sul territorio nazionale come nomadi digitali o lavoratori da remoto e, solo per questi ultimi, è richiesto il contratto di lavoro, collaborazione o un’offerta vincolante relativi alla prestazione che andranno a svolgere in Italia. Una volta ottenuto il visto, tali lavoratori extraeuropei devono presentare richiesta di permesso di soggiorno alla questura della provincia in cui si trovino, entro otto giorni lavorativi dall’ingresso in Italia.

Per i lavoratori da remoto, una condizione fondamentale è che il datore di lavoro (o il committente) non abbia subito condanne per reati legati all’immigrazione clandestina. Per questo, è necessario allegare alla domanda di visto una dichiarazione firmata dal datore di lavoro, che attesti l’assenza di condanne negli ultimi cinque anni per reati di questo tipo, pena l’impossibilità del rilascio o la revoca.

Il permesso di soggiorno per nomadi digitali e lavoratori da remoto

Il permesso di soggiorno rilasciato a nomadi digitali e lavoratori da remoto ha una durata massima di un anno ed è rinnovabile, per il medesimo periodo, purché persistano le condizioni iniziali di rilascio. Tuttavia, esso può essere revocato se i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno vengono meno, o quando non sono rispettate le disposizioni di carattere fiscale e contributivo vigenti.

A tale riguardo, il D.M. richiama le generali disposizioni di carattere fiscale vigenti nell’ordinamento nazionale. In applicazione di tali principi, ove fiscalmente residenti in Italia (in questo senso, per esempio, occorre verificare se tali lavoratori abbiano avuto la propria residenza o domicilio in Italia per la maggior parte del periodo di imposta), i professionisti in argomento saranno tassati sui redditi ovunque prodotti, in base al principio del worldwide income. In altre parole, tutti i redditi generati, sia in Italia sia all’estero, sono imponibili in Italia. Diversamente, se non fiscalmente residenti in Italia, i lavoratori in oggetto saranno tassati solo sui redditi qui prodotti, in base al principio della fonte. Questo significa che solo quanto derivante da attività svolte sul territorio italiano sarà soggetto alla relativa tassazione, con conseguente esclusione dei guadagni prodotti all’estero.

Gli oneri contributivi

Per quanto riguarda gli oneri contributivi, il principio guida è quello della territorialità: se un lavoratore da remoto decide di stabilirsi in Italia, l’impresa straniera è obbligata a versare i contributi previdenziali e assistenziali per tale lavoratore in Italia, anche se il datore di lavoro ha sede all’estero, salva solo l’esistenza di eventuali deroghe previste in accordi internazionali che leghino i due Stati.

L’art. 5, secondo comma, D.M., sancisce che per il trattamento previdenziale dei nomadi digitali e i lavoratori da remoto extra-Ue che si stabiliscano in Italia, si applicano, laddove esistenti, le convenzioni bilaterali stipulate tra l’Italia e il Paese terzo di provenienza. In loro assenza, il successivo comma terzo dell’art. 5 del D.M. stabilisce che al rapporto di lavoro in argomento si applichino le norme previdenziali e assistenziali previste dalla legislazione nazionale, per tutta la durata del permesso di soggiorno.

In conclusione, la normativa italiana per nomadi digitali e lavoratori da remoto, così come delineata dal D.M. 29 febbraio 2024, cerca di regolamentare una realtà lavorativa già esistente (e dilagante). Il legislatore pare accogliere queste figure con una disciplina che bilancia apertura e controllo, tentando al contempo di tutelare gli interessi fiscali e previdenziali nazionali.

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