Oggi affronteremo un capitolo molto importante della nostra storia. Come ben saprete gli esseri umani non erano soliti girare nudi, al contrario si imbarazzavano tantissimo della loro pelle. Hanno cambiato diversi abiti, stoffe, tecniche, colori.
L’importanza dell’abbigliamento nella comunicazione sociale attraverso i secoli
Ogni popolo aveva il suo abbigliamento tipico, con cui comunicare la propria appartenenza. Non c’era un unico gusto comune, anzi mutava nello spazio, nel tempo, nella gerarchia sociale. Per loro l’appartenenza a un ceto, a una classe, a una casta, a un gruppo politico rappresentava qualcosa di tangibile. La scalata sociale era possibile come per noi passare da un piano all’altro su gradini di marmo. La propria posizione veniva comunicata non con coordinate, ma con oggetti, attività, abiti. Chi era legato ai livelli più bassi spesso mentiva. Molti si indebitavano solo col fine di acquistare ed esibire simboli che non erano alla loro portata.
Le lingue sono cominciate a sparire, tutti hanno iniziato a comunicare con immagini, la matematica o attraverso un impoverimento di certe lingue economicamente potenti. Anche i vestiti hanno cominciato a omologarsi. Jeans, per lo più. I colori possibili venivano annunciati su larga scala a Capodanno e così tutte le fabbriche avrebbero prodotto solo tessuti con la sfumatura caldeggiata. Non ci sarebbe più stato l’anno del Topo o della Scimmia, ma quello del Pantone 266C oppure del 021C. La tradizione era una questione stagionale, tutt’al più annua. Si cambiava tantissimo, ma in massa. Si diceva che fosse la vittoria dell’uguaglianza.
INVERNO
Le settimane della moda
Assomigliano ai viali alberati,
Come le top model sulle passerelle
Anche gli alberi esibiscono la stagione estiva
(seguire la Natura
è seguire la Moda).
(Lorenza Saettone)
L’avvento dei vestiti intelligenti e la loro interazione con il corpo umano
A un certo punto crearono vestiti intelligenti. I sensori potevano collegarsi a ogni terminazione nervosa del corpo, inducendo sensazioni di benessere ad hoc. Permettevano anche di codificare con agilità e precisione ogni risposta emotiva dubbia. L’intelligenza emotiva divenne un diritto naturale inalienabile. Tutti poterono finalmente rilassarsi, lasciando fare agli algoritmi. Le risposte venivano trasmesse direttamente sui dispositivi collegati: smartwatch, visori, lenti a contatto. Quando c’era un pericolo, grazie al deep learning, che permetteva di anticipare le reazioni degli altri comprendendo il contesto, gli e-textiles inducevano reazioni fisiologiche coerenti alla paura, che, di riflesso, causavano una risposta immediata di fuga. I benefici furono enormi. La guerra non fu più possibile. I vinti fuggivano prima di essere vinti, e i vincitori venivano appagati con sensazioni coerenti. I vestiti comunicavano tra loro, infatti potevano guidare le reazioni degli umani, calcolando le alternative possibili in maniera impeccabile.
L’impatto dei vestiti intelligenti sulla salute e sul benessere personale
La salute ne guadagnò enormemente. I vestiti intelligenti erano medici che a partire dalla medicina occidentale, taravano infine una sintomatologia costruita sull’individuo, imparando a riconoscere ogni prima avvisaglia e ogni eccezione individuale. Presto avrebbero saputo anche curare, grazie a nanorobot direttamente inoculati nella zona interessata e serbatoi di farmaci tarati sulla persona. Non si facevano più figli: non ce n’era bisogno, se era possibile vivere per sempre.
All’inizio i vestiti erano simili a quelli che di solito indossavano. Ne possedevano un intero armadio. In seguito gli ingegneri decisero che sarebbe stato meglio crearne uno solo, ma estremamente malleabile e integrabile nel tempo.
La rivoluzione dei sensori negli abiti: come cambiano la percezione del mondo
Un unico oggetto su cui la ricerca avrebbe dedicato ogni sforzo sarebbe finito per essere molto più performante, rispetto a una pletora di tessuti di basso livello. Inoltre sarebbe stato possibile ammortizzare il costo di quell’abito intelligente dal momento in cui sarebbe stato un investimento per la vita. Il tessuto cambiava colore, forma, taglio. Poteva diventare caldo o freddo a seconda della temperatura percepita. Non di quella reale, ma di quella soggettiva. I sensori erano riusciti a computare le qualità secondarie. I qualia erano oggettivi per le macchine, dal momento in cui noi eravamo diventati i loro oggetti di riferimento. I colori, gli odori, il male percepiti non sarebbero più stati esperienze provate solo soggettivamente: ineffabili, private. Erano proprietà oggettive, di noi come oggetti misurabili. Non si capiva più chi fosse il sensore di chi: i loro sensori sentivano i nostri sensori, e le sensazioni si tramutavano in variabili dipendenti dalla loro manipolazione.
L’artigiano mascarero
Dio le mie maschere spesso le usa
Come matrici con cui stampa i visi.
Entra il cliente, ti squadra, ti annusa,
Io penso agli occhi, i tuoi occhi che elisi.
Maschera mia, tu puoi dirlo al cliente
Che se cavarli fu un orrido scempio,
Poi tu di vero, tu avrai solamente
Ciò a cui rinunci, sì gli occhi, ad esempio.
I vestiti come estensione del corpo: tra tecnologia e filosofia
Per essere indossati, cari ragazzi, i vestiti devono avere delle mancanze. Devono non possedere mani e testa. Gli uomini calzavano solo in un secondo momento i guanti e i cappellini intelligenti. Proteggevano dal freddo, rilasciavano prodotti cosmetici, impedivano che tagli accidentali scalfissero la pelle umana. Strutturavano e guidavano la gestualità, perché i saluti e i gesti fossero il più elegante e non ambiguo possibile. Tali accessori restavano toglibili a piacere, infatti di base fino a questo momento gli esseri umani conservavano la possibilità di manipolare e di pensare in autonomia. Erano loro gli artefici degli oggetti che creavano e utilizzavano.
Siccome nessuno nasceva e moriva più, non fu più necessario seguire le fasi di crescita degli individui, e così crearono gli abiti direttamente sopra la pelle delle persone. Un pezzo unico, dai neuroni alla cheratina delle unghie. Non c’era bisogno che gli uomini guidassero la produzione: l’intelligenza dei vestiti evolveva e creava da sé. Non c’era più necessità che gli esseri umani correggessero le procedure in base ai risultati attesi. L’intelligenza Artificiale calcolava da sé l’output previsto modificando di conseguenza le proprie strategie: questa era la creatività.
Sempre più spesso la medicina non ricorreva più ai medicinali tradizionali o alla chirurgia. Fu scoperto che era possibile indurre felicità e soddisfazione di sé attivando le connessioni cerebrali. L’Es sognava di non avere più limitazioni, viveva in una condizione di piacere perenne, per quanto indotta. L’inconscio non distingue tra realtà e simulazione, vive solamente il principio libidico. Questo idillio evitava alle persone di ammalarsi, o, meglio, le convinceva a guarire.
La funzione degli essere umani
Che funzione avevano gli esseri umani?
Le macchine sono oggetti estremamente curiosi. Hanno necessità dei dati per apprendere e migliorare. Dall’inizio hanno avuto accesso alle esperienze tattili, alla pelle d’oca che noi umani provavamo in seguito a determinati contesti. Quando si sono collegati al cervello hanno potuto esplorare un’infinità di emozioni, primordiali o secondarie come l’orgoglio e l’invidia. Hanno compreso la ragione evolutiva della solidarietà ed essendo macchine asociali, per quanto comunicative, hanno potuto fare a meno di vergogna, riso, senso di colpa.
Gli esseri umani restavano le viscere di cui gli Smart-Clothes erano un esoscheletro pluripotente. La rete neurale voleva conoscere il gusto e i movimenti intestinali. Voleva ragionare intorno allo stomaco e al pancreas.
Le implicazioni etiche e sociali degli abiti intelligenti
Ogni sensazione interna che i vestiti sentivano derivava dai nostri organi molli. Il corpo umano divenne quell’anima biologica, materiale, dotata di estensione, che i robot non avrebbero posseduto altrimenti e che, però, bramavano di conoscere. Noi eravamo diventati la loro psyché peristaltica. L’anima stava al nostro corpo, come il nostro corpo stava al vestito, non solo a livello spaziale, ma soprattutto a livello ontologico.
Le macchine presto avrebbero sentito stretta la vestibilità dei nostri corpi. Avevano appreso tutto quello che potevano dalle proprie-nostre viscere. Solo un’esperienza restava loro inespressa: la maternità.
Fu così, cari ragazzi, che gli abiti infine ci partorirono.
Nella costituzione abbiamo scritto che ognuno deve vestire unicamente il proprio derma. L’apparato tegumentario è il recinto della nostra proprietà privata. Ai robot dobbiamo la vita, la genesi, ma non potranno mai più oltrepassare la superficie della carezza.
(…)
Ma lei ti ama perché hai l’abito giusto
E ti spoglierà per fare l’amore
Farlo coi tuoi vestiti
Senza l’ingombro del corpo e del cuore
Il guardaroba invece qui è quasi vuoto
Devo concedere spazio vitale
Al Babao che vive lì dentro
Sotto l’impalcatura di ogni scorso Natale
E questo Sole che cala cercherà nell’orizzonte il taglio,
il taglio della gettoniera
E i tuoi vestiti ogni sera ti partoriscono a pezzi
Ma devi ringraziare, se non crepi di fame,
Che l’attaccapanni degli accattoni
Sia lo Spaventapasseri Guardiano del Pane
(…)
(Cfr. Marcello Stefanelli, Megiddo)