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Telescopio Euclid: così farà luce nell’energia oscura dell’Universo



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Il telescopio spaziale Euclid è prossimo al lancio. La missione coinvolge centinaia di ricercatori e tecnologi internazionali e italiani. Osserverà un terzo dell’intera volta celeste, per studiare l’evoluzione dell’universo, il contenuto di materia ed energia oscura. Ecco come determinerà le proprietà di miliardi di galassie, dall’universo vicino a quello lontano, sfruttando anche la potenzialità delle…

Pubblicato il 27 giu 2023

Viola Allevato

Osservatorio Astronomico di Capodimonte

Micol Bolzonella

Ricercatrice all'INAF – Osservatorio Astronomico di Bologna

Vincenzo Fabrizio Cardone

Ricercatore all'INAF – Osservatorio Astronomico di Roma

Crescenzo Tortora

astrofisico e ricercatore all'Osservatorio Astronomico di Capodimonte a Napoli



Il telescopio spaziale Euclid: un occhio unico sull’universo
Raffigurazione pittorica di un nucleo galattico attivo

Il telescopio spaziale Euclid si prefigge di studiare la cosmologia, e cioè di capire come nasce e si espande l’universo intero: si prepara, quindi, ad esplorare l’energia oscura.

Pt.1 - SPECIALE DA CAPE CANAVERAL! - Euclid, diretta del lancio

All’inizio del secolo scorso la nostra concezione dell’universo è cambiata, grazie alla teoria della Relatività Generale. La rivoluzionaria teoria di Albert Einstein ha cambiato per sempre la nostra concezione del tempo e dello spazio. Non solo questa teoria risolse le problematiche che non si riuscivano a spiegare, come per esempio la precessione del perielio di Mercurio, ma predisse l’esistenza di affascinanti fenomeni ed oggetti astrofisici, come i buchi neri, le onde gravitazionali e lenti gravitazionali, che verranno osservati decenni dopo. La teoria di Einstein è anche alla base dell’attuale descrizione dell’intero universo.

Il cosmo e il modello che sembra mettere d’accordo tutti

In base alle conoscenze che abbiamo maturato negli ultimi decenni, grazie alla Relatività Generale e ad osservazioni che ci hanno fatto guardare l’universo da differenti punti di vista, sappiamo che il cosmo ha avuto inizio da un evento in cui tutta la materia e l’energia erano concentrati, il Big Bang, per poi espandersi sempre di
più, fino ad accelerare.

Pian piano, da piccole disomogeneità di materia si sono cominciate a formare le
stelle, poi le galassie, e le strutture più grandi dell’universo. Il contenuto energetico dell’universo è dominato da quella che chiamiamo energia oscura (che nella sua modellizzazione più semplice viene chiamata costante cosmologica), che determina l’espansione accelerata, mentre a tenere insieme il tutto fornendo la gravità necessaria a formare le strutture che osserviamo è la materia oscura. Il modello che ne esce fuori
è chiamato Lambda CDM (Lambda Cold Dark Matter, la Lambda si riferisce
alla costante cosmologica) ed è in accordo talmente buono con le osservazioni a disposizione da essere definito concordance model, perché, appunto, mette d’accordo tutti.

L’energia dell’universo è oscura

Oggi sappiamo che circa il 95% dell’energia dell’universo è composta da qualcosa di
oscuro
: il 25% è la cosiddetta materia oscura, che domina il contenuto di materia in galassie e ammassi di galassie, il restante 70% è rappresentato dall’energia oscura. Soltanto un misero 4-5% è composto da polveri, gas e stelle, e quindi materia nota, fatta di protoni ed elettroni, che vediamo attraverso la sua emissione luminosa. Ma, nonostante i tanti passi in avanti da quando questa storia è iniziata, la nostra comprensione del tutto è ancora confusa. Più del 95% dell’universo è
composto da energia e materia oscura, ossia da due componenti di cui non conosciamo né la natura né le proprietà. E, quando non si sa qualcosa, l’unica via che i cosmologi possono percorrere è affidarsi a tanta buona volontà, alla metaforica carta e penna e alla fantasia mediata dal rigore delle equazioni. Il risultato è una messe di teorie che predicono come l’universo si espande e come quelle minuscole disomogeneità, che appaiono come puntini sulla mappa della temperatura della radiazione cosmica di fondo, sono cresciute per diventare le spettacolari galassie che ci affascinano nelle immagini ottenute con i grandi telescopi a terra e con quei nostri occhi nello spazio che sono i satelliti come Hubble e il James Webb.

L’osservabile per decidere quale teoria sia la migliore

Ma avere tante teorie che spiegano i dati è lo stesso che non averne nessuna: mille risposte ugualmente valide alla stessa domanda significa ritrovarsi al via dopo essersi sforzati di partire a tutta velocità. Ma se le risposte sono così tante è perché la domanda è troppo vaga. Detto in termini più pratici, i dati che abbiamo al momento non sono in grado di dirci quale teoria è quella giusta perché non sono sufficientemente precisi o non ci danno informazioni su quelle quantità che potrebbero discriminare teorie diverse. Diverse in cosa? Nelle previsioni che fanno sul modo in cui l’universo si espande? Sì, ma anche no. Perché teorie pure radicalmente
differenti possono prevedere la stessa espansione accelerata. Ma non la stessa crescita delle strutture cosmiche. Ci serve, quindi, qualche osservabile che ci dia informazioni su entrambi gli aspetti: evoluzione e crescita.

Il lensing gravitazionale è la risposta

Questo tipo di osservabile si chiama lensing gravitazionale. Grazie ad Einstein abbiamo imparato che la gravità influenza non solo il moto di
corpi celesti con massa (come pianeti e stelle), ma anche i percorsi della luce
. Se i fotoni emessi da una sorgente di fondo passano vicino ad una stella, una galassia o un ammasso più vicino (che chiameremo lente), il suo percorso verrà influenzato, si defletterà, curverà. Questo farà in modo che la posizione apparente di una stella sul bordo del Sole sia diversa da quella che dovrebbe essere, generando un vero e proprio miraggio gravitazionale. Nella maggior parte dei casi, su scale cosmologiche, la luce passa lontano da singole galassie, e questo effetto è debole, generando solo una leggera distorsione dell’immagine delle galassie di fondo, si parla in questo caso di weak lensing.

Ma, quando lente e sorgente di fondo sono lungo la stessa linea di vista, il fenomeno è molto più forte. L’immagine della galassia di fondo viene sdoppiata o quadruplicata. E, quando è abbastanza estesa, viene distorta e amplificata formando archi e anelli attorno alla lente, in questo caso parliamo di strong lensing. Questo tipo di fenomeno ci può dare informazioni sulle sorgenti coinvolte, ma anche sulla cosmologia.

Se le distanze coinvolte sono su scala cosmologica, la luce nel suo percorso incontrerà la distribuzione della materia dell’universo stesso e viaggerà mentre l’espansione sta avendo luogo. La distorsione dell’immagine è, quindi, una misura indiretta dell’espansione e della crescita. È, cioè, quello che stavamo cercando.

La criticità che il telescopio spaziale Euclid risolve

Le cose sono però più complicate di quanto sembrano. Dal momento che l’universo è in media omogeneo e isotropo, la distorsione dovuta al lensing gravitazionale è talmente piccola che non si può misurare direttamente. Ma non è la fine dei giochi. Infatti c’è un altro effetto che possiamo sfruttare.

Nell’ipotesi ragionevole che le galassie siano orientate in maniera casuale, la media su un numero molto grande di galassie darebbe una ellitticità media nulla. Se non ci fosse, appunto, il lensing gravitazionale. La media non farà zero. Ma sarà uguale proprio a quella distorsione minuscola che pensavamo di non poter misurare. Se riuscissimo a fare questa misura in diversi punti del cielo, potremmo inoltre studiare come queste distorsioni sono correlate. Ossia, semplificando grossolanamente, qual è la probabilità che, avendo osservato una certa distorsione qui ed ora, si trovi lo stesso valore lì e allora. Dove la distanza angolare sul cielo e il redshift (e quindi la distanza) misurano “lì” e “allora”.

Ma riuscirci non è affatto facile perché le distorsioni sono comunque piccole. Dunque bisogna essere sicuri di aver misurato correttamente la forma delle galassie rimuovendo tutti quegli effetti che possono mimare quello del lensing gravitazionale.

Per esempio, bisogna rimuovere l’effetto dell’atmosfera, che si può fare nel modo migliore andando nello spazio. Poi bisogna sottrarre le distorsioni dovute agli strumenti, che richiede di caratterizzare in maniera estremamente accurata le ottiche del telescopio e della camera, ed essere sicuri che siano stabili nel tempo. Bisogna che l’immagine sia nitida e non sommersa nel rumore, che richiede lunghi tempi di esposizione o un filtro ampio o un telescopio con grande specchio primario. Ed ancora non basta. Infatti, se vogliamo studiare le correlazioni nello spazio e nel tempo, dobbiamo mappare un’area molto grande ed arrivare a redshift alti. Insomma, l’ideale è una survey fotometrica a grande area e profonda eseguita da un telescopio con ottiche stabili e una camera a grande campo e grande risoluzione in orbita nello spazio. E questo è il telescopio spaziale Euclid.

Euclid, ecco la sua bio

Euclid è un telescopio riflettore con uno specchio primario di 1.2 m, più piccolo di Hubble e del James Web. Ma è capace di osservare un gran campo di vista in un sol colpo. Progettato quindi per essere un telescopio da survey, nei 6 anni previsti per la missione, ne effettuerà due: la survey “wide” (“larga”) osserverà circa 15000 gradi quadrati (un terzo dell’intera volta celeste), quella “deep” (“profonda”) circa 50
gradi quadrati, ma andando più profondo, quindi potendo osservare sorgenti più lontane e più deboli.

A bordo ha 4 filtri fotometrici, uno ottico che copre un grande intervallo di lunghezze d’onda, costruito per permettere a molta luce di essere immagazzinata, e tre filtri nel vicino infrarosso. E conta anche uno spettrografo per misurare i redshift spettroscopici (e quindi le distanze) delle galassie. Verrà lanciato con un Falcon 9 di Space X il prossimo primo luglio (data ancora da stabilire) e si andrà a posizionare nel punto Lagrangiano L2 del sistema Sole-Terra.

Una survey di lensing di quarta generazione

Il tipo di survey che Euclid eseguirà è una survey di lensing gravitazionale di quarta generazione. Unirà precisione, profondità, area, risoluzione e
stabilità
per permettere una misura tomografica (a diversi redshift) dello spettro di potenza (che altro non è che un modo diverso di quantificare le correlazioni di cui dicevamo prima) dello shear cosmico. Cioè è l’effetto di lensing gravitazionale della struttura su larga scala.

Queste misure permetteranno di testare sia come l’universo si è espanso negli ultimi dieci miliardi di anni, sia come le perturbazioni di densità sono cresciute. Espansione e crescita. Ecco il binomio di cui avevamo bisogno per rendere più fitte le maglie del setaccio. Maglie attraverso le quali far passare la messe di teorie che predicono come l’universo si espande.

Il lensing non basta: serve il clustering

Ma il lensing gravitazionale testa il prodotto di evoluzione e crescita, ma non i due singoli aspetti separatamente. “È un po’ come sapere che il risultato di una moltiplicazione di due numeri interi A e B è 36. Potete escludere tanti numeri, ma potete ottenere 36 se (A, B) = (2, 18) o (3, 12) o (4, 9) o (6, 6).

Per scoprire la combinazione giusta, serve qualcosa che misuri A o B individualmente. Nel nostro caso, qualcosa che misuri o la sola espansione o la sola crescita delle strutture. Ancora una volta questo strumento è il clustering delle galassie (galaxy clustering).

Immaginiamo di poter misurare di ogni galassia non solo la sua posizione sulla volta celeste, ma anche la sua distanza. Potremmo costruire in questo modo una mappa tridimensionale dell’universo osservabile e andare anche a determinare se le strutture sono più o meno addensate tra di loro (clustering significa proprio addensamento). Potremmo quindi determinare qual è la probabilità di trovare una galassia in una certa posizione di questa mappa 3D se sappiamo di averne già trovata una in una data posizione. Ed è qui che arriva il bello. A determinare quanto fitta è la rete che le galassie disegnano nello spazio-tempo è la gravità e come essa guida il processo di crescita delle strutture. Il galaxy clustering misura la crescita delle strutture. Proprio quello che cercavamo: una misura di A o di B e non di A x B.

Il telescopio spaziale Euclid e la mappa 3D

Ma per fare una tale mappa 3D serve un telescopio che misuri non solo la posizione in cielo, ma anche il redshift con una accuratezza dell’ordine di una parte su mille. E lo deve fare, di nuovo, su un’area grande e in un intervallo di redshift ampio e ricco di informazioni.

Servirebbe quella che viene definita una survey spettroscopica di quarta generazione. E c’è grazie a Euclid. La missione ESA misurerà la posizione e il redshift di oltre dieci milioni di galassie costruendo una mappa 3D dell’universo nel range di redshift compreso tra 0.9 e 1.8. Ovvero proprio quello che non era stato possibile testare con gli strumenti da terra nelle survey precedenti.

Con lensing gravitazionale e galaxy clustering su un’area di 15000 gradi quadrati (circa un terzo del cielo) e su un intervallo di tempo cosmico che copre gli ultimi dieci miliardi di anni di storia dell’universo, potremo dunque avere uno sguardo unico su come il cosmo si è espanso e su come le strutture sono cresciute. Il tutto in un’unica missione capace di fare ciò che le survey di galassie finora non sono riuscite a fare,
nonostante l’impiego delle migliori risorse osservative. Questo è Euclid, la luce che viene nelle tenebre per illuminare l’oscuro. Non vediamo l’ora di farci abbagliare.

Una miriade di galassie: evoluzione ed ambiente galattico

Un telescopio, che osserva una così vasta area di cielo, sta osservando miriadi di galassie, ammassi di galassie e altri tipi di sorgenti a diverse distanze. Dall’universo più vicino fino a quello più lontano. Rappresenta una fonte sterminata di informazioni per
capire meglio come sono nate ed evolute le galassie. Come funzionano le interazioni con i vari ambienti, e scoprire sorgenti rare, difficili da scovare su piccole aree di cielo, e con una qualità delle immagini che solo dallo spazio si possono ottenere.

Non essendoci ancora i dati reali, gran parte del lavoro passato e attuale è consistito nella progettazione, nel miglioramento e nell’utilizzo di simulazioni che, partendo dalle nostre conoscenze attuali, possano essere utilizzate per fare previsioni su quello che Euclid potrà osservare. Poi i dati veri ci sorprenderanno.

L’uso di software automatizzati

Quello che più contraddistingue le osservazioni che verranno eseguite da Euclid è l’enorme numero di galassie e AGN (nuclei galattici attivi) che verranno identificati in una vastissima area di cielo. Ciò è importante perché fornisce materiale per studiare l’evoluzione delle galassie con una significatività statistica senza precedenti. Inoltre segna un cambiamento di paradigma rispetto alle survey passate. Infatti, da un lato, abbiamo una collaborazione attiva di più di mille ricercatori e ingegneri, per cui il problema della
comunicazione e del passaggio di informazioni è fondamentale, mentre dal punto di vista scientifico, significa non poter controllare e verificare i singoli dati o prodotti delle analisi. Per questo abbiamo dedicato gli scorsi anni alla preparazione di software che devono funzionare possibilmente senza intervento umano.

Il telescopio spaziale Euclid studia anche i processi fisici di formazione ed evoluzione delle galassie

Anche se Euclid è un progetto rivolto allo studio della materia oscura e dell’energia oscura, rappresenta anche un punto di svolta per lo studio dei processi fisici di formazione ed evoluzione delle galassie.
In particolare, il fatto di poter ottenere delle mappe 3D della distribuzione di galassie, ci consentirà di capire come l’ambiente ne influenzi l’evoluzione. Cercheremo di capire come il contenuto in stelle delle galassie sia aumentato nel tempo sia grazie alla nascita di nuove stelle sia alla fusione di galassie. Inoltre punteremo a capire come l’ambiente abbia influenzato questi processi. A questo scopo, selezioneremo campioni di galassie che vivono in condizioni simili, dagli ammassi di galassie ai gruppi e fino alle galassie nei cosiddetti vuoti. Ne studieremo in modo statistico le proprietà a diversi tempi cosmici per valutare la loro evoluzione. Inoltre, grazie al campione enorme di galassie che andremo ad osservare, ci aspettiamo anche di trovare molte galassie rare e peculiari.

Sono galassie particolarmente importanti e interessanti perché consentono di evidenziare i limiti estremi nella fisica dell’evoluzione delle galassie. Dunque ci portano a conoscere meglio come queste sorgenti astrofisiche si sono potute formare e migliorare le previsioni che potremo fare per osservazioni future.

L’universo ancora più lontano e quello vicinissimo

Il telescopio spaziale Euclid permetterà di misurare le proprietà delle galassie in funzione del tempo cosmico grazie ad una statistica senza precedenti. Ma, all’interno della collaborazione, ci sono gruppi di ricercatori che da un lato vogliono spingersi a distanze ancora maggiori, potendo contare sul fatto che Euclid andrà più profondo, osservando sorgenti più deboli e lontane nei campi della survey deep. E altri ancora, invece, sfrutteranno queste grandi aree e la profondità raggiunta dalla survey wide per studiare le proprietà di galassie nell’universo locale, quello più vicino a noi.
In particolar modo, ci occuperemo di determinare le popolazioni stellari in galassie molto vicine. Questa attività fa parte di un gruppo di lavoro più ampio che si occuperà di studiare in dettaglio tutte galassie già note nell’universo locale. Potremo studiarle in grande dettaglio, perché, essendo vicine, appariranno molto estese sulle immagini di Euclid. Potremo studiarle analizzando la luce immagazzinata in migliaia di pixel nella camera di Euclid.

Queste galassie sono migliaia. Ne potremo determinare la forma, le dimensioni, la morfologia, le loro popolazioni stellari, la presenza di diverse componenti in maniera
dettagliatissima
. Potremo studiarle dalle regioni centrali fino a quelle periferiche. Euclid consentirà di studiare come mai fatto prima le regioni più deboli dell’universo, situate nelle periferie delle galassie, sia nelle lunghezze d’onda ottiche sia nel vicino infrarosso.

Scopriremo strutture che si trovano nelle regioni esterne delle galassie, molto deboli,
ma che manifestano gli effetti gravitazionali dell’interazione con altre galassie, ponendo vincoli sui modelli evolutivi delle galassie. Ma andare così profondo ci consentirà anche di trovare galassie a bassa brillanza superficiale, non ancora scoperte perché troppo deboli. Esse rappresentano i mattoni che, assemblandosi, formano le galassie più grandi dell’universo.

Nuclei galattici attivi: le sorgenti più luminose del cosmo

Gli AGN sono i nuclei galattici attivi, tra le sorgenti più luminose dell’universo, con un’energia emessa che supera quella combinata di tutte le stelle presenti nelle galassie che le ospitano. Si tratta di galassie con un buco nero super-massiccio al centro, la cui massa può raggiungere miliardi di volte quella del Sole. Questi buchi neri stanno accumulando materia attraverso un disco di accrescimento. Comprendere come si formano e come si evolvono in relazione alle galassie ospitanti e alla struttura a larga scala dell’universo rappresenta uno dei problemi più cruciali e ancora irrisolti della cosmologia. Inoltre, è la chiave per comprendere come si sono formate tutte le galassie dell’universo.

Euclid ci offrirà l’opportunità di osservare decine di milioni di questi oggetti, un numero dieci volte più grande rispetto ai cataloghi già disponibili di nuclei galattici attivi. Inoltre, potremo studiare oggetti più lontani e meno luminosi. Così ci fornirà una quantità di informazioni senza precedenti sulla demografia di questi oggetti e sulla loro evoluzione nel tempo e nella loro luminosità.

Nuove lenti gravitazionali: l’AI aiuta il telescopio spaziale Euclid

Gli spettacolari ed evidenti miraggi, creati dalle lenti gravitazionali nel regime di strong lensing, sono quei rari eventi che consistono nella formazione di spettacolari immagini multiple, archi e anelli. Le lenti gravitazionali in questo regime sono rare. Infatti questo effetto si verifica quando lente e sorgente di fondo si trovano approssimativamente lungo la stessa linea di vista. Ma con il telescopio spaziale Euclid ci aspettiamo di trovarne più di 100mila.

Scovarle nei miliardi di galassie che osserverà Euclid è impresa non semplice. Ma ci si avvale dell’intelligenza artificiale. In particolar modo, usiamo reti neurali convoluzionali, che si ispirano alle cortecce visive animali, per riconoscere forme particolari nelle immagini.

Una volta addestrate a distinguere una lente gravitazionale da una galassia normale, applicate ai dati consentiranno di trovare decine di migliaia di nuove lenti gravitazionali in uno schiocco di dita. Contemporaneamente, le dovremo modellare, per determinare la massa della lente e per studiare le proprietà della sorgente di fondo.

Si useranno delle tecniche standard, ma ancora una volta l’intelligenza artificiale permetterà di velocizzare questo processo. Con Fabrizio Gentile, dottorando all’Università di Bologna, ci stiamo occupando di sviluppare (anche all’interno di
Euclid) un codice basato su reti neurali bayesiane, che abbiamo chiamato Lemon. Permette di modellare lenti gravitazionali in maniera precisa e velocemente. Euclid aggiornerà prepotentemente il numero di lenti gravitazionali che conosciamo, consentendo di vincolare precisamente la massa nelle galassie e il contenuto di materia oscura, e confrontare i risultati con i modelli cosmologici.

Osserveremo anche tante lenti in cui la lente è un ammasso di galassie, in questi casi cercheremo nelle immagini di Euclid dei grandi archi gravitazionali. Potremo vincolare la massa degli ammassi di galassie, e capire di più su come si sono formate queste grandi strutture nell’universo.

Intelligenza artificiale: oltre le lenti gravitazionali

L’AI sta rivoluzionando l’approccio all’analisi dei dati, a maggior ragione nell’epoca dei Big Data. Questo tipo di tecniche viene usata in Euclid non solo per trovare lenti gravitazionali. Ma anche per classificare galassie, distinguendo un’ellittica da una spirale, la predominanza del bulge centrale, contando il numero di bracci di spirali, scrutando la presenza di effetti di interazione con altre galassie.

Risulta inoltre utile per determinare i parametri strutturali di queste galassie, il loro contenuto in stelle e la velocità con cui il gas si converte in stelle. Si possono calcolare anche i redshift e quindi le distanze con queste tecniche.

Queste tecniche si applicheranno anche alle galassie nell’universo locale, per poter determinare pixel per pixel il contenuto in stelle di queste galassie. E trovare galassie di bassa brillanza superficiale o strutture di interazioni esterne alle galassie è un altro compito che potrà essere svolto egregiamente dalle reti neurali.

Conclusioni

Il telescopio spaziale Euclid verrà lanciato con il Falcon 9 di Space X il prossimo primo luglio. Quel razzo lo accompagnerà nello spazio. Fra qualche mese inizierà a inviare le prime immagini del telescopio, la cui analisi permetterà di investigare la natura del cosmo, delle galassie, degli ammassi di galassie e dei nuclei galattici attivi. E su una così vasta area di cielo, varrà la serendipità, per scoprire sorgenti particolari mai viste prima, per osservare fenomeni nuovi, per cambiare e migliorare ulteriormente la nostra comprensione dell’universo.

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