lo studio

Eurostat, l’Italia digitale 2015 è un flop. E il 2016 un’incognita

Dai nuovi dati 2015 pubblicati da Eurostat non si rilevano progressi significativi. L’effetto della spinta sul Digital Single Market non si vede ancora, le PMI sono ancora fortemente in ritardo e ci sono aree in cui il digitale non è ancora una leva di crescita. L’Italia fa timidi progressi, ma le politiche e i programmi in atto non sembrano ancora sufficienti per guardare ad un recupero tangibile già nel 2016

Pubblicato il 18 Dic 2015

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Dai dati Eurostat sulla Digital Europe da poco pubblicati si rileva nel 2015 una situazione sostanzialmente di stasi. Certamente la crisi economica ha condizionato molto l’evoluzione del digitale, ma la regressione su alcuni indicatori (come quello dell’interazione online con il settore pubblico) mostra una difficoltà seria da parte dell’Unione Europea di dare una spinta decisiva su questo fronte più volte affermato come decisivo per la crescita socio-economica.

In particolare, si rafforza la situazione europea sui target che erano già stati raggiunti nel 2014:

  • Soggetti di categorie svantaggiate che usano internet (almeno 1 fattore), che va al 63%, oltre il target fissato al 60%;
  • Popolazione che usa servizi di eGovernment e trasmette moduli, che nel 2015 rimane al 26% (il target per il 2015 era al 25%);
  • Popolazione che acquista online, che va al 53% (il target per il 2015 era al 50%);

ma soltanto per uno degli altri indicatori su cui erano stati posti degli obiettivi si registra un progresso significativo: si tratta della Popolazione che usa internet regolarmente, che va al 76% (il target per il 2015 era al 75%).

Per tutti gli altri, la delusione è notevole:

  • Popolazione che non ha mai usato internet, va al 16% (il target per il 2015 era al 15%);
  • Popolazione che usa servizi di eGovernment regredisce di un punto, e va al 46% (il target per il 2015 era al 50%).

Erano chiaramente troppo lontani dai target, e però ci si aspettava qualche progresso in più, gli indicatori relativi a:

  • PMI che vendono online, che va al 16% (il target per il 2015 era al 33%).
  • Popolazione che acquista online all’estero, che va al 16% (il target per il 2015 era al 20%).

Questi dati sono chiaramente il frutto di una politica europea che non è ancora riuscita a incidere in modo significativo sui tre problemi che avevamo evidenziato nella valutazione sui dati 2014:

  • Velocità troppo differenti in Europa. Nel 2015 non si è riusciti a diffondere le buone pratiche né a creare un ambiente favorevole per lo sviluppo di tutti i Paesi. La spinta sulle politiche del Digital Single Market vanno certamente in questa direzione, ma gli effetti non si vedono ancora. Come rilevavamo già nel 2014, la situazione è così divaricata tra Paesi virtuosi e ritardatari che monitorare il valore medio è sempre più un esercizio di stile, con poco significato sostanziale. Ad esempio, se prendiamo in considerazione l’indicatore che ha avuto le maggiori variazioni (Popolazione che non ha mai usato Internet) la media del 16% si ottiene grazie a Paesi come la Danimarca, che è al 3% e Paesi con gravi ritardi, come la Bulgaria (al 35%) o la Romania (al 32%);
  • Il ritardo sulle PMI. Non ci sono progressi significativi per l’indicatore più critico (PMI che vendono online), dove si avverte tra l’altro una divaricazione notevole tra i Paesi. Il valore della media europea (16%) è derivato, infatti, dal 32% dell’Irlanda e da percentuali superiori al 23% di Paesi come Repubblica Ceca, Danimarca e dal 6% di Bulgaria o dal 7% dell’Italia. Con progressi ancora troppo timidi (con eccezione di Irlanda, Francia e Portogallo), se non addirittura piccole regressioni, come quello della Repubblica Ceca. Il tema del ritardo delle PMI sul digitale è complesso, ma il basso livello di competenze digitali dei lavoratori, dei manager e degli imprenditori è certamente una delle cause di maggior peso;
  • Gli acquisti transfrontalieri. Manca l’evoluzione attesa, effetto combinato di una scarsa innovatività complessiva delle imprese, di un’abitudine ancora non molto diffusa all’acquisto online, e della forza ancora preponderante delle multinazionali extraeuropee. Ma anche di una spinta sul Digital Single Market prodotta solo quest’anno con decisione dalla commissione UE e ancora dagli effetti non misurabili.

In generale, i dati 2015 confermano quindi i trend già in atto, con i Paesi europei sostanzialmente in evoluzione, lenta, secondo una logica di continuità, con i Paesi scandinavi, i Paesi Bassi e il Regno Unito a primeggiare in quasi tutti gli indicatori e Bulgaria, Romania, Italia, Grecia che si alternano nelle ultime posizioni.

La mancanza di una politica strategica europea che spinga efficacemente su diffusione, riequilibrio, supporto e knowledge management è un’altra delle chiavi principali per l’analisi di questo stato di sostanziale “galleggiamento”. Da questo punto di vista è positivo, certamente, che su alcune aree, come quello della “Grand Coalition for digital jobs” questa politica sia stata avviata, con un sistematico confronto tra i governi. Gli effetti dovrebbero vedersi dalla prossima rilevazione del 2016.

La situazione dell’Italia

Non migliora sostanzialmente la situazione dell’Italia rispetto a quella degli altri paesi europei.

Rimane ancora molto alta (28%) la percentuale di chi non ha mai usato Internet, anche se il progresso che si registra (quasi il 4%) è il più elevato in Europa, dopo quello della Romania. Troppo bassa ancora la percentuale di chi utilizza Internet regolarmente (63%), come la Grecia e meglio solo di Romania e Bulgaria, soprattutto se poi meno della metà (28%) di questi utilizza l’internet banking. Con una forbice significativa tra le regioni: ad esempio per chi utilizza regolarmente Internet la differenza tra i valori minimi e massimi (la Sicilia da una parte e la provincia di Trento dall’altra) è di 19 punti.

Non ci sono progressi sull’utilizzo dei servizi di e-government (tra gli utenti di internet la percentuale rimane al 18% contro una media europea del 32%), e neppure in modo significativo sull’utilizzo del digitale da parte delle imprese, dove la posizione delle PMI italiane rimane tra le più basse.

Dati che riflettono una situazione complessivamente in movimento (si pensi ai piani di azione per la banda ultralarga e ai programmi strategici per la crescita digitale), ma sulla quale non ci sono stati ancora impatti significativi e sulla quale pesano i ritardi nell’avvio della programmazione 2014-20.

In particolare, guardando in prospettiva al 2016 rispetto agli indicatori su cui l’Italia è in maggior ritardo, la situazione può essere così sintetizzata:

  • sulle infrastrutture digitali (banda ultralarga) e sulle infrastrutture di servizi (Spid, PagoPa, Anpr, nel quadro di Italia Login) ci sono programmi operativi che già nel prossimo anno dovrebbero produrre effetti tangibili abilitanti per l’uso del digitale;
  • sul fronte delle pubbliche amministrazioni si rilevano iniziative positive su alcune aree, grazie anche al coinvolgimento nei programmi strategici AgID, ma rimane il tema della regia complessiva di accompagnamento in un percorso di cambiamento difficile non tanto dal punto di vista tecnologico (anche), ma quanto da quelli della riorganizzazione dei processi, dell’attuazione dei principi dell’open government (trasparenza, partecipazione e collaborazione, accountability) e quindi della lotta senza tolleranza alla corruzione, all’eccesso burocratico, alla logica gerarchica e a silos, senza i quali non è possibile nessuna innovazione;
  • sul fronte delle imprese, manca ancora una politica industriale per la crescita digitale. Una spinta potrebbe essere data dall’annunciata (ancora) strategia per Industria 4.0, ma il ritardo sul fronte delle “smart city”, sulle tecnologie correlate e in generale sull’evoluzione dei territori pesa come un masso sul percorso di crescita;
  • sul fronte delle competenze digitali si rileva il positivo varo del Piano Nazionale Scuola Digitale e del consolidamento dell’iniziativa della Coalizione italiana per le Competenze Digitali promossa da AgID, che, se correlate efficacemente tra loro e con le programmazioni regionali, possono contribuire in modo significativo a produrre il necessario salto di qualità. Ci vuole però, da parte del governo e della politica, una maggiore attenzione e una maggiore consapevolezza che il problema delle competenze è il nodo centrale su cui si misura la capacità di crescita di un Paese.

Forse, per non aspettare i risultati 2016 con lo stesso approccio con cui si guardano i dati meteorologici, occorrerebbe rapidamente l’avvio di un sistema di misurazione correlato con gli indicatori europei e con i piani di performance del settore pubblico (già previsto nel testo della legge delega di riforma della PA) e la rivisitazione della governance del digitale con l’identificazione di un unico punto di riferimento dedicato (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio?). Perché bisogna operare rapidamente, ma anche organicamente, perché solo operando contemporaneamente su tutti i fronti strategici si possono ottenere i risultati di cui abbiamo bisogno.

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