L’unico futuro del modello industriale italiano e comunitario dipende dagli investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione e trasferimento tecnologico.
Ma purtroppo in Italia siamo ancora troppo indietro nella collaborazione industria-università, nella identificazione del know-aziendale e nel numero di brevetti depositati nel settore AI.
Ecco perché è importante che nell’ambito degli aggiustamenti che sicuramente andranno a incidere sulla versione finale della Manovra 2020 si tenga la barra ferma sui temi di industria 4.0 e digital manufacturing.
In particolare, Italia e Europa devono accelerare sul fronte dei brevetti e della proprietà intellettuale, stradominato dalla Cina, seguita da Usa, Giappone e Corea.
Il valore delle imprese ad alto investimento di proprietà intellettuale
Da un recente studio dallo European Patent Office in collaborazione con EUIPO relativo al contributo delle IPR-intensive industry all’economia comunitaria è emerso che il 45% del Pil Europeo è realizzato da imprese ad alto investimento di proprietà intellettuale, con il 29% della forza lavoro comunitaria (63 milioni in vari settori), per un valore approssimativo di 6.600 miliardi di euro. Nell’export il surplus generato è di oltre 180 miliardi di euro.
Un impatto notevole se pensiamo che nel 2011 il Pil europeo prodotto da imprese con alti investimenti IP era il 39%.
Si tratta di una notizia piuttosto sorprendente anche per gli addetti ai lavori e dimostra che bisogna continuare a coinvolgere i rappresentanti dell’industria e delle istituzioni nell’ottica di una sempre più stretta collaborazione a livello europeo tra professionisti, università e centri di ricerca nell’ambito del trasferimento tecnologico e delle sfide che Industria 4.0 impone.
Se ampliamo lo sguardo, però, l’Europa è ancora fortemente indietro rispetto al resto del mondo: secondo FutureBridge tra le Top20 imprese per numero di brevetti 1998-2017 legati all’intelligenza artificiale, l’unica europea presente è Siemens in una classifica dominata da Cina (in particolare da 8 università cinesi) – che ha tre volte il numero di brevetti dell’Europa e che ha già superato gli USA nel 2014 – e seguita da USA, Giappone e Corea.
La stessa ricerca ha peraltro evidenziato che solo il 19% delle domande di brevetto depositate in Cina è destinato ad espandersi oltre i confini del paese con registrazioni anche in Stati esteri, a differenza dei brevetti statunitensi che, per il 53%, vengono registrati anche in paesi extra USA.
Mi chiedo quindi se si possa intravedere un piano cinese diretto a proteggere il consumo interno del mercato potenzialmente più importante del mondo dalle applicazioni AI non cinesi.
Dal rapporto WIPO 2019 emerge che la Cina è il paese che registra il più alto numero di domande per brevetti, marchi e disegni. Complessivamente il Far-est si pone come epicentro dei titoli di privativa industriale: circa due terzi dei brevetti, dei marchi e dei disegni mondiali vengono depositati in questa zona geografica, soprattutto in Cina, Giappone e Repubblica di Corea.
A fronte di un numero di brevetti depositati a livello mondiale pari a 3.326.300 nel 2018, sono 1.542.002 i brevetti depositati nella sola Cina, pari al 46,4% del totale, rispetto al 18% del totale dei brevetti USA.
Intelligenza artificiale, robotica, internet of things, blockchain, droni, stampe 3D e cyber security hanno rivoluzionato il mondo dell’industria e delineato un modo completamente nuovo di concepire la manifattura e la produzione, ma non solo: queste tecnologie condizionano (e condizioneranno sempre più) l’agricoltura, il settore chimico, l’automotive, l’aviation, l’oil& gas, la logistica, il consumer good, il retail, le utility, la finanza e la sanità.
Ripensare le categorie della produzione in modo digitale
Non vi è altra soluzione che ripensare in modo digitale le categorie della produzione, analizzare i dati e riplasmare i sistemi di creazione, sviluppo e testing del singolo prodotto ma anche della stessa fabbrica e delle stesse macchine destinate a generarlo: si dovrà in primis costruire un modello digitale, aiutati anche dai processi della realtà aumentata (AR), e solo dopo le verifiche e i test del caso si procederà alla realizzazione fisica di quel modello digitale, ossia si procederà alla costruzione fisica del prodotto o della fabbrica, con mattoni e calce.
Il gap che soprattutto nell’AI e nel digitale ci separa dai paesi del Far East e dai colossi USA della Silicon Valley, in particolare IBM e i GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft), deve essere ridotto e deve aumentare sul piano europeo la collaborazione italiana con gli Stati membri ed i partner esteri, con particolare attenzione alla Germania che dal 1905 è il principale partner economico dell’Italia e la seconda spina dorsale del sistema Italia. Questo processo non può che coinvolgere l’industria, le Università ed i professionisti, non ultimi i giudici, le cui decisioni devono avere una prospettiva comunitaria e tempi idonei ai modelli di business che la competizione internazionale impone.
All’interno dell’Europa i dati di Patenting Artificial Intelligence dell’European Patent Office mostrano che le domande di brevetto europee sulla quarta rivoluzione industriale sono oltre 14000 per Stato membro nel periodo 1978-2016, quasi il 30% del totale. La Germania è a circa 4000 invenzioni seguita da Francia e Regno Unito, con più di 2400 e 2000 domande di brevetto. Dietro i primi tre ci sono i due paesi scandinavi, Svezia e Finlandia, e Paesi Bassi, con circa 900 domande di brevetto seguiti da Svizzera e Italia (oltre 500) all’ottavo posto.
Quanto pesano sul PIL le società che investono in proprietà intellettuale
Se pensiamo che anche in Italia – sempre dallo Studio dell’European Patent Office con EUIPO – le società che investono in proprietà intellettuale pesano il 47% del Pil, addirittura superiore quindi alla media Europea del 45%, con il 31,5% degli addetti totali, circa 7 milioni di occupati, per un totale di 774 miliardi di euro, si capisce perché, come abbiamo affermato in apertura, l’unico futuro possibile sia legato a doppio filo agli investimenti in R&D, innovazione e trasferimento tecnologico. E perché l’Italia debba, e con urgenza, recuperare il gap nella collaborazione industria-università, nella identificazione del know-aziendale e nel numero di brevetti depositati nel settore AI.
L’AI impatta tutte le funzioni del business, nei settori IT, legale (pensiamo ad es. alle attività di due diligence, ricerche giurisprudenziali, l’analisi degli esiti del contenzioso), delle vendite (ad es. assistenti virtuali, profilazione del cliente, analisi delle strategie di marketing), della finanza, delle risorse umane (ad es. ricerca del personale, profilazione, analisi delle performance, assenze, malattie e predittività) e della analisi strategica in genere (ad es. ottimizzazione dei processi, analisi del cliente, competitive intelligence).
La generazione dei dati ha mutato la sua crescita dal 2015 (Internet of Things) da lineare a esponenziale: ora i dati sono generati direttamente dalle macchine senza l’intervento dell’uomo (Artificial Intelligence) con una prevedibile evoluzione esponenziale nel 2021 a seguito dell’utilizzo massiccio del 5G e dei computer quantistici, già commercializzati da IBM nel febbraio di quest’anno.
In questi giorni si susseguono le notizie riguardanti le trattative sulla Manovra 2020: dalle ultime informazioni sembra che sul fronte imprese sia stato:
- aggiunto uno stanziamento di 140 milioni per gli investimenti green ad alta tecnologia;
- rifinanziato il super ammortamento di Industria 4.0;
- l’iper ammortamento in investimenti ad altissima tecnologia potrà arrivare fino al 170%;
- varato anche un credito d’imposta per la formazione di carattere avanzato e rifinanziata la legge Sabatini trasformata in ecosostenibile.
Da oggi a fine anno quando sarà approvata la manovra sicuramente cambieranno molte cose ma dobbiamo tenere la barra ferma sui temi di industria 4.0 e digital manufacturing.
Competitività, il ruolo delle politiche pubbliche
Con decreto ministeriale 2 agosto 2019 il Governo ha inoltre provveduto al rifinanziamento degli interventi sui grandi progetti R&S a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI), rivolto a imprese di qualsiasi dimensione e start-up innovative dei settori industriali di produzione di beni e servizi, agro-industriali, artigiane, di trasporto, nonché ai centri di ricerca con personalità giuridica. Le agevolazioni di questo bando sono concedibili nella forma del contributo alla spesa per una misura pari al 20% dei costi ammissibili di progetto, e nella forma del finanziamento agevolato per una misura compresa tra il 50 ed il 70% dei costi ammissibili per le imprese di micro, piccola e media dimensione, e tra il 50 ed il 60% dei costi ammissibili per le imprese di grande dimensione.
Dal Rapporto ISTAT sulla competitività dei settori produttivi del 2018, secondo il giudizio degli imprenditori, il super ammortamento ha svolto un ruolo “molto” o “abbastanza” rilevante nella decisione di investire nel 2017 per il 62,1 per cento delle imprese manifatturiere; l’Iper ammortamento per il 47,6 per cento (53,0 nelle medie imprese, 57,6 delle grandi); il credito d’imposta per spese in R&S è stato ritenuto rilevante dal 40,8 per cento delle imprese. In un Paese dove è ancora troppo basso il numero di imprese che utilizza almeno una tecnologia 4.0 o ha in programma investimenti specifici nel futuro, sono numeri fondamentali che determinano chiaramente la direzione che dobbiamo prendere.
Anche i risultati dell’indagine Mise-MET condotta su un campione di circa 23.700 imprese dimostrano che nel processo di trasformazione 4.0 il ruolo delle politiche pubbliche è stato finora incisivo: il 56,9% delle imprese 4.0 dichiara di aver utilizzato almeno una misura di sostegno pubblico rispetto al 22,7% delle analoghe imprese non impegnate nelle tecnologie in esame. Le imprese hanno utilizzato in larga prevalenza il super ammortamento e l’iper ammortamento (36,8% nel caso delle imprese 4.0 e 12,8% tra le imprese tradizionali), il Credito d’imposta per le spese in R&S (17,0% vs 3,1%), la Nuova Sabatini (19,8% vs 4,7%) e i fondi di garanzia (11,3% vs 2,8%).
L’industria 4.0, espressione diretta della dirompente rivoluzione digitale tutt’ora in corso, e il digital manufacturing si pongono quindi come il motore per la crescita economica non solo italiana, ma anche europea. È quindi necessario – indipendentemente dal governo e dai colori e sigle che lo caratterizzano – un continuo intervento del legislatore italiano diretto ad incentivare investimenti e promuovere sgravi fiscali volti a sostenere la crescita del settore digitale e delle sue applicazioni.