Mark Zuckerberg, in una lettera pubblicata dal Washington Post individua quattro grandi temi sui cui avviare una nuova forma di cooperazione fra i giganti del web e i Governi per costruire un nuovo insieme di regole da porre alla base di internet.
Con questa lettera Zuckerberg riconosce l’inadeguatezza delle forme di autogoverno che ciascun singolo operatore può autonomamente porre in essere e indica nel GDPR un modello da seguire; quindi ne auspica l’estensione a livello globale, fuori dall’Europa (un po’ come alcuni Stati Usa, come la California, e autorità come Ftc stanno facendo, Ndr.).
Regole comuni, internazionali e istituzionali, per rifondare internet, insomma, e aiutare così le piattaforme social. Bene, ma non basta ancora: la questione, secondo me, non è ancora focalizzata appieno.
I temi di Facebook per il futuro delle regole internazionali
I temi individuati come prioritari – la lista non è chiusa – sono:
- I contenuti inaccettabili (terrorismo, odio, fake …)
- La tutela delle elezioni
- La privacy
- La portabilità dei dati fra servizi diversi.
Alcune considerazioni a caldo su questo intervento che segna indubbiamente un momento di discontinuità e che, per la rilevanza dell’autore, non mancherà di scatenare un dibattito acceso.
Innanzitutto: mette il dito su una piaga che è cruciale per la democrazia liberale, le nostre libertà e i nostri diritti: insomma per la sopravvivenza del mondo che noi occidentali conosciamo e che diamo per scontato che esiterà per sempre.
Poi: è certamente utile individuare dei punti di attacco precisi ma sarebbe non solo difficile ma anche sbagliato trascurare il fatto che questi temi devono essere considerati come aspetti diversi di un unico problema: la tutela delle elezioni non può essere disgiunta dalla questione relativa alla diffusione di fake news su media diversi e in modo mirato rispetto a profili target ricostruiti attraverso una continua ricostruzione dei comportamenti individuali sui social e nel web. Cioè tutto o niente.
Capire quale sia – o quali siano – la radice a cui tutti questi quattro punti possono e devono essere ricondotti è importantissimo per trovare le soluzioni giuste o, almeno, per avviarsi, in questo che sarà un lungo viaggio, camminando nella giusta direzione.
La questione del dato non è il solo (vero) problema
A questo proposito, la mia prima modestissima impressione è che un chiarimento serva. Nei “Zuckerberg’s four” il cuore del problema sembra essere sempre il dato: inaccettabile, usato per obiettivi inaccettabili, non rispettosi delle intenzioni del suo proprietario, da trasportare con cura.
Porre l’accento sul dato rischia di condurre il dibattito in un tunnel senza uscite. L’attendibilità di un dato è una questione politica, non tecnica. Ciò che è terrorismo per l’occidente può non essere terrorismo da altri punti di vista e l’innocenza degli uni e degli altri può, credibilmente, essere oggetto di qualche legittimo sospetto. Altrimenti sarebbe sufficiente il famoso “don’t be evil” di Google.
Inoltre, la libertà di espressione è uno dei pilastri delle democrazie liberali. Nessuno può essere perseguito per le proprie idee o per la religione che professa. Lo speaker’s corner di Hyde park a Londra ospita chiunque e consente qualsiasi discorso.
Attenzione a una nuova censura, di Stato
E’ certamente un bene che Zuckerberg riconosca che non può essere Facebook a decidere sulla “pubblicabilità” delle idee ma neanche un tribunale può: non è la censura, privata o di stato, la strada da percorrere. I tribunali, poi, sarebbero mille, ciascuno corrispondente a un sistema giuridico e a interessi politici diversi e, dunque, portati a emettere sentenze diverse sullo stesso fatto.
Il cuore del problema è l’identità
Il cuore del problema è l’identità, non il dato. L’identità si trascina la responsabilità che è individuale. Dunque, la possibilità di individuare sempre l’autore e, conseguentemente, la possibilità di chiamarlo in giudizio nel Paese e nel sistema giuridico della persona offesa sono la direzione in cui guardare.
La responsabilità dei social diventa così più chiara: non più profili fake, non più haters senza volto.
In una direzione simile sembra andare Facebook con la recente decisione di obbligare a una trasparenza totale sulla propria identità chiunque voglia fare pubblicità politica sulla piattaforma; ma ancora non basta.
La libertà di cancellare i contenuti deve diventare un obbligo quando l’autore non è riconoscibile: nome cognome e indirizzo fisico. D’ufficio o su istanza di parte a seconda dei casi.
Certamente l’identità personale può restare un dato riservato, non pubblico, in assenza di contestazioni legittime, ma pur sempre conosciuto dal vettore che offre lo spazio per la comunicazione e di questa identificabilità risponde, secondo regole da definire e con possibilità di opporsi, ad esempio, all’arbitrio dei governi contro gli oppositori.
L’identificabilità non deve necessariamente riguardare ogni azione compiuta sul web: se voglio visitare un sito porno senza essere tracciato, devo poterlo fare. E’ la pubblicazione di contenuti o la propagazione di contenuti che richiede di sapere chi si prende la responsabilità del contenuto creato o diffuso.
Quella prospettata non è certamente una soluzione ma una direzione di marcia. Anche al netto degli aspetti più prettamente tecnici, i problemi sono enormi: la giustizia non è indipendente dal potere politico ovunque nel mondo, molti sistemi giuridici sono illiberali e riflettono sensibilità non condivise universalmente.
E’ un sentiero stretto, con strapiombi a destra e a sinistra, che va percorso con cautela. Non è alternativo alle proposte di Zuckerberg ma le accompagna e forse le precede.
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