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Facebook compie vent’anni: ecco com’è cambiato e ci sta cambiando



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Facebook e i social in generale diventano sempre più luoghi di intrattenimento e commercio, e sempre meno luoghi di dibattito e informazione. Con impatti importanti su informazione e politica. Ecco il bilancio, nei giorni in cui Facebook compie vent’anni di vita

Pubblicato il 6 feb 2024

Antonino Mallamaci

avvocato, Co.re.com. Calabria



meta pagamento

Il 4 febbraio 2004 Mark Zuckerberg ha lanciato TheFacebook.com. Facebook, come è diventato in seguito, ha rapidamente superato gli altri social network per diventare il più grande del mondo, qual è ancora oggi.

In questi vent’anni Facebook, ora Meta, ha cambiato l’ecosistema digitale, con impatti importanti sul sistema dell’informazione, cambiando sé stessa fino alla sua ultima evoluzione.

Quella centrata su video e contenuti provenienti da influencer – sempre più rilevanti sul social rispetto a quelli del nostro grafo sociale (amici). Il dibattito, le notizie e la politica diventano pure sempre meno frequenti su social.

Una strategia che sta funzionando, dicono i dati di bilancio usciti nei giorni scorsi: boom della pubblicità, del tempo di utilizzo per utente; capitalizzazione tornata oltre il miliardo di dollari.

I dati di Facebook

Tre miliardi di persone, circa il 60% di tutti gli utenti di Internet, scorrono il suo feed ogni mese. Sei delle dieci app mobili più scaricate l’anno scorso appartenevano a Meta, che è anche il più grande venditore di pubblicità al mondo dopo Google.

Il valore di mercato di Meta ha superato 1 trilione di dollari e nel terzo trimestre del 2023 ha registrato un fatturato di 34 miliardi di dollari.

L’anno scorso quasi la metà del tempo trascorso davanti allo schermo mobile in tutto il mondo è stato speso sulle app social (e più di un quarto delle ore di veglia sono state trascorse sui telefoni).

I social media hanno fomentato movimenti sociali, dal #MeToo e #BlackLivesMatter alla primavera araba e alla rivolta del Campidoglio. In seguito all’arrivo di concorrenti come TikTok, alimentati dall’intelligenza artificiale, Facebook e altri operatori storici sono stati costretti a reinventarsi.

La sfida tutela dei minori

Ma prima di andare a verificare come e per quali motivi i social media stanno cambiando pelle, “celebriamo” il compleanno di Facebook dando una scorsa ad alcune notizie su Zuckerberg e alla sua partecipazione all’audizione al Senato USA del 31 gennaio scorso.

Anche perché oggi ricorre il Safer Internet Day e Save The Children ci ricordano i rischi dei social per i minori.

Quella a Senato non è stata certo una passeggiata, ma vi è da aggiungere che sono anni che repubblicani e democratici denunciano una situazione allarmante in questo campo senza riuscire ad arrivare ad una regolamentazione che tuteli i minori on line. Sono tanti i progetti in attesa di approvazione: la  legge STOP CSAM (Child Sexual Abuse Material), che sostiene le vittime e aumenta la responsabilità e la trasparenza per le piattaforme online;

l’ Earn it Act , che rimuove l’immunità totale delle big tech dalla responsabilità civile e penale ai sensi delle leggi sui materiali relativi all’abuso sessuale sui minori e istituisce una Commissione nazionale sulla prevenzione dello sfruttamento sessuale minorile online;

la legge Shield, che garantisce che i pubblici ministeri federali dispongano di strumenti adeguati ed efficaci per affrontare la distribuzione non consensuale di immagini sessuali;

il Project Safe Childhood Act , che modernizza le indagini e i procedimenti penali contro i crimini di sfruttamento minorile online;

il Report Act, che combatte l’aumento dello sfruttamento sessuale dei minori online stabilendo nuove misure per contribuire a rafforzare la segnalazione di tali crimini alla CyberTipline (unità che raccoglie le segnalazioni).

Nel suo discorso di apertura, il presidente della commissione ha affermato che il Congresso deve condividere la colpa con le aziende tecnologiche per non essere riuscite a proteggere i bambini online. Ha citato la Sezione 230 del Communications Decency Act del 1996, la legge fondamentale su Internet che immunizza i fornitori di servizi Internet dall’essere ritenuti responsabili per i contenuti pubblicati dai loro utenti: la legge, ha dichiarato, consente all’industria più redditizia nella storia del capitalismo di operare senza paura o responsabilità per pratiche non sicure.

L’a.d. di Meta e i suoi colleghi si sono trovati in un ambiente molto ostile, con i legislatori che sostenevano che le aziende sono in parte responsabili della morte di bambini, mettendo sullo stesso piano i danni che provocano con quelli cagionati dall’industria del tabacco e dalla Boeing, i cui aerei sono oggi sottoposti a controllo dopo che uno è stato messo a terra dopo problemi di sicurezza del volo. Giovani attivisti provenienti da tutto il paese hanno partecipato all’udienza, indossando magliette con la scritta “Valgo più di 270 dollari”, un riferimento a una causa intentata da 41 procuratori generali dello stato contro Meta nelle quali si sostiene che i suoi prodotti creano dipendenza per gli adolescenti. È stata allegata una mail interna di Meta nella quale il valore della vita di un adolescente di 13 anni è fissato in circa 270 dollari. Una senatrice ha accusato poi Zuckerberg e Meta di ambire ad essere il primo sito di traffico sessuale degli USA.

Zuckerberg ha contestato un altro senatore che gli ha rinfacciato, prendendo spunto dalle informazioni   diffuse dalla ex dipendente Frances Haugen, che Meta agisce per aumentare il coinvolgimento degli utenti più giovani sulle piattaforme di Meta anche se ciò è pericoloso per la loro sanità psico-fisica. Tutto questo mentre i genitori che incolpano i social media della morte dei loro figli sedevano alle sue spalle tenendo in mano le foto dei loro cari. In un momento molto toccante e fuori dagli schemi, Mark Zuckerberg, esortato da un senatore, si è alzato e si è girato verso le famiglie scusandosi per le esperienze drammatiche dei loro figli.

Citando un rapporto del Wall Street Journal, un altro senatore ha chiesto a Zuckerberg, che ha assicurato che verificherà, dati sulla frequenza con cui Instagram mostra agli utenti una schermata di avviso quando cercano hashtag associati a materiali pedopornografici. Il rapporto afferma che Instagram mostra ai pedofili che usano gli hashtag due opzioni: “Ottieni risorse” o “Vedi comunque i risultati”.  In uno degli scambi più drammatici dell’audizione un senatore lo ha accusato letteralmente di avere “le mani sporche di sangue”. Un altro membro del Senato ha accusato un dirigente di Meta di aver mentito al Congresso nel 2021 testimoniando sugli investimenti dell’azienda per la sicurezza dei bambini nel 2021. Zuckerberg, secondo un’inchiesta del WSJ, ha ignorato le richieste dei suoi luogotenenti per maggiori finanziamenti. Sul controllo parentale, Zuckerberg si è espresso a favore di una legge che costringerebbe Google e Apple a svolgere un ruolo più importante nel tenere gli adolescenti lontani da siti potenzialmente dannosi, richiedendo agli app store di ottenere l’approvazione dei genitori quando esse vengono scaricate da utenti di età compresa tra 13 e 15 anni.

Ma, come rilevato dal Washington Post, i genitori non hanno il tempo e l’esperienza per utilizzare i controlli parentali che vengono loro offerti.

Le piattaforme social diventano simili alle tv

Tornando ai cambiamenti in atto nell’offerta delle app di Meta, e in generale degli altri social media, a 20 anni dalla nascita dei Facebook essi sono sostanziali e destinati a divenire definitivi.

Le piattaforme si stanno trasformando in siti di intrattenimento simili a quelli televisivi, per il consumo passivo.

E stanno de-prioritizzando nel feed le notizie. Il crollo di traffico dai social ai siti di giornali continua.

Gli utenti si sentono disincentivati dall’algoritmo a partecipare in modo attivo.

E così stanno spostando le loro conversazioni e discussioni dalle reti aperte a gruppi chiusi e privati su piattaforme come WhatsApp e Telegram.

Questa migrazione avrà grandi implicazioni per la politica. I social media sono più popolari che mai. Il tempo totale trascorso utilizzando le app social sui dispositivi Android, circa il 70% dei telefoni e tablet del mondo, è aumentato del 42% dal 2020. Ma il tipo di social networking di cui Facebook è stato pioniere sta scomparendo. Il cambiamento più evidente è l’ascesa dei video.

Il successo di TikTok ha scatenato un’ondata di imitazioni.

Meta ha aggiunto una funzione video chiamata Reels a Facebook e Instagram. La stessa cosa hanno fatto Pinterest (Watch), Snapchat (Spotlight) e YouTube (Shorts). X si definisce ora una piattaforma “video-first”.

All’inizio, i social network mostravano aggiornamenti cronologici dai contatti degli utenti. Man mano che il volume dei post cresceva, le reti utilizzavano algoritmi per dare priorità ai post che si erano dimostrati popolari tra gli amici dell’utente. Dopo è iniziata una nuova fase.

TikTok ha deciso che, invece di indovinare cosa sarebbe piaciuto alle persone in base a cosa piaceva alla loro famiglia e ai loro amici, avrebbe utilizzato il “grafico di interesse”, dedotto dai video su cui loro e le persone come loro si sono soffermati. Tutte le altre grandi piattaforme hanno seguito l’esempio.

Nel 2022, Zuckerberg ha annunciato che il feed di Facebook sarebbe diventato un “motore di scoperta” per cercare contenuti coinvolgenti da Internet. Dall’anno scorso la metà dei post che X mostra ai suoi utenti provengono dall’esterno della rete di persone che li seguono. Threads, il clone di Twitter di Meta, è stato lanciato l’anno scorso con un approccio simile. Il tempo trascorso su Instagram è aumentato del 40% da quando Meta ha lanciato Reels. Man mano che i newsfeed degli utenti si sganciano dalla loro rete di amici e familiari, pubblicano meno informazioni su se stessi. L’utente medio si trasforma in consumatore passivo, produce molto di meno.

Al massimo, acquista: TikTok soprattutto vuole rendere “social commerce” ogni video, con link diretti agli acquisti, facendo così concorrenza ad Amazon.

Social e politica, news: come cambiano le cose

D’altra parte, un video è più difficile da creare rispetto ad un testo. Invece, le conversazioni si sono spostate da un po’ di tempo su gruppi privati. Secondo Mosseri, capo di Instagram, l’anno scorso venivano condivise più foto e video nei messaggi diretti che nel feed principale dell’app. Altro cambiamento: nella piazza digitale, il divertimento è dentro e la politica è fuori. I social network, sovente e a ragione accusati di favorire la polarizzazione politica, sembrano sempre più desiderosi di allontanare gli utenti dalle notizie e dall’attualità.

Un team di ricercatori dell’Università di  New York ha messo a confronto un gruppo di utenti di Facebook e Instagram che erano su newsfeed cronologici nel periodo precedente le elezioni americane del 2020, con un altro che utilizzava l’algoritmo di raccomandazione delle piattaforme. Coloro che hanno utilizzato il feed cronologico hanno visto il 15% in più di contenuti politici su Facebook e il 5% in più su Instagram rispetto a quelli che sono stati alimentati dall’algoritmo, e anche molte più informazioni da fonti classificate da Meta come inaffidabili: il 69% in più su Facebook e il 22% in più su Instagram.

Da allora c’è stata una netta inversione di tendenza. Per Meta, le notizie costituiscono meno del 3% di ciò che le persone vedono sulla piattaforma. Mosseri, responsabile di Threads, ha affermato che qualsiasi coinvolgimento incrementale o entrate potenzialmente generate dalle notizie non valgono il controllo, la negatività o i rischi per l’integrità che ne derivano. Una campagna da parte di alcuni editori per far pagare le società di social media per condividere i loro contenuti ha rafforzato l’opinione delle reti secondo cui le notizie causano più problemi che guadagni. In Canada Facebook e Instagram stanno bloccando tutti i contenuti delle notizie, in risposta a una richiesta del governo che Meta paghi gli editori per ospitare i link alle loro storie. X ha rimosso i titoli dagli articoli di notizie pubblicati e sembra limitare il traffico verso pubblicazioni come il New York Times.

L’anno scorso la quantità di traffico Internet inviato da Facebook alle società di media è diminuita del 48% e da X del 27%. Poiché vedono meno notizie nel loro feed, gli utenti le condividono o le commentano in pubblico molto di meno.

Nel 2018 circa il 26% ha riferito di condividere articoli di notizie sui social media almeno una volta alla settimana, l’anno scorso solo il 19%. Il calo della condivisione sembra influenzare in particolare la quantità di contenuti politici. Il declino della condivisione e della pubblicazione ha dato origine a quello che il Reuters Institute chiama il “consumatore passivo di notizie”, che vede le notizie ma non le commenta, non le condivide o non interagisce in altro modo. Questa tendenza è più avanzata nei paesi ricchi. I partecipanti “attivi” sono nella stragrande maggioranza di sesso maschile. Un terzo di coloro che si definiscono “molto” di destra o di sinistra partecipa ancora, contro solo il 22% dei centristi.

Per gli strateghi politici il lavoro è completamente cambiato. In passato, il dominio di una manciata di mega-piattaforme comportava una sorta di monocultura politica. Oggi diversi gruppi si nascondono in luoghi diversi. Quindi i politici devono essere ovunque: Joe Biden ha persino aderito a Truth Social, il social network di Donald Trump. Gli algoritmi dei social network offrono meno contenuti politici, e il modo in cui ottimizzano il coinvolgimento incentiva i post provocatori. I candidati con messaggi intransigenti, perciò, vanno molto meglio.

Ma il modo più sicuro per attirare l’attenzione, ovviamente, è pagare. Per le presidenziali negli USA di novembre, si prevede che i candidati e i loro sostenitori spenderanno quasi 16 miliardi di dollari in pubblicità. La televisione farà la parte del leone. Si ritiene comunque che gli annunci televisivi siano i migliori quando si tratta di persuasione, quelli sui social media di raccolta fondi. Tuttavia, più di un quarto della spesa pubblicitaria politica sarà sulle piattaforme digitali. Ma anche i candidati disposti a pagare stanno trovando più difficile far arrivare il loro messaggio nella nuova piazza pubblica.

TikTok vieta del tutto la pubblicità politica. Threads non la vende ancora. Anche i servizi di streaming sono diffidenti: Netflix, Amazon Prime Video e Disney+, i più grandi streamer, si rifiutano, per ora, di accettare annunci politici. Il problema più grande è che gli annunci politici sui social media non funzionano più come una volta. Le modifiche anti-tracciamento introdotte da Apple nel 2021 hanno reso più difficile il targeting degli annunci e quindi ridotto il ritorno sugli investimenti in essi.

Si prevede che la spesa per gli annunci su Facebook sarà inferiore nella prossima tornata elettorale rispetto al 2020, anche se la spesa totale per gli annunci politici dovrebbe aumentare del 30% circa. Negli ultimi sei mesi i politici hanno speso 244 milioni di dollari in annunci su Facebook e Instagram in America, in calo rispetto ai 320 milioni di dollari dello stesso periodo del ciclo del 2020.

Ciò, secondo la società di consulenza Majority Strategies, perché la piattaforma è meno efficace. Si sta addirittura tornando all’invio di mail per aggirare gli algoritmi della Silicon Valley. Il modo più efficace per rendere qualcosa virale su Facebook, secondo 38 Degrees, società britannica, è inviare una mail e chiedere di pubblicarla sul social. La cosa più difficile è infiltrarsi nelle innumerevoli piccole chat di gruppo in cui si è frammentata la piazza pubblica. Ciò che accade in questi spazi crittografati è opaco, anche per le piattaforme che li gestiscono. Ma i gruppi sembrano aver recuperato un po’ di tempo in termini di condivisione delle notizie.

La percentuale di adulti che pubblicano articoli di notizie settimanalmente tramite piattaforme di messaggistica istantanea è passata, secondo il Reuters Institute, dal 17% al 22% dal 2018 al 2023. Gli attivisti ritengono che convincere qualcuno in una chat di gruppo a condividere sui social media richiede un tono più calmo rispetto ad attirare la loro attenzione sulle piattaforme aperte.

In conclusione

Non dovremo aspettare vent’anni, o dieci, per capire dove andranno i social. E dove porteranno la società con sé, nelle loro evoluzioni. Basterà aspettare probabilmente quest’anno, con le elezioni Usa ed europee, per stimare l’impatto delle reti sociali.

Ma se i social continueranno a essere, sempre più, luoghi di intrattenimento e commercio, e sempre meno luoghi di dibattito e informazione, significa che rinunciano a un ruolo e a una responsabilità importanti, per la società.

La politica e il sistema dell’informazione faranno bene a metabolizzare in fretta questo cambiamento e riposizionarsi di conseguenza.

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