In molti hanno considerato il fenomeno fake news “preoccupante” e chiedono un forte intervento delle istituzioni; ma per provare a porre in modo giuridicamente corretto la questione partiamo col dividere in due gruppi le azioni proposte.
- Quelli che auspicano interventi legislativi atti a porre, da subito, un freno all’uso dei social per la diffusione di notizie false, aprendo così un nuovo dibattito circa l’opportunità di intervenire con una disciplina ad hoc. Si ravvisa così nel fenomeno connotati tali da richiedere un intervento legislativo atto a colmare il vuoto normativo.
- Quelli che chiedono intervenire con gli strumenti già a disposizione, riconoscendo, nel fenomeno, comportamenti tali da poter ricondurre le fattispecie nell’ambito di figure giuridiche già dotate di idonea disciplina legislativa. Al massimo, quindi, in questo caso contro le fake news si parla di un più forte enforcement di leggi esistenti. D’altro canto nell’ambito di un sistema normativo correttamente strutturato, la capacità di disciplinare “anche per l’avvenire” dovrebbe ricomprendere la possibilità di ricondurre nell’alveo di una determinata fattispecie anche casi inevitabilmente dotati di elementi di novità rispetto agli eventi che hanno ispirato la disciplina originaria.
A un’analisi del codice pena risulta che allo stato le fake news possono ricadere in diversi reati.
Fake news e art 656 c.p.: turbamento ordine pubblico
Pubblicazione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico. L’art 656 c.p. sanziona con la pena dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda fino ad € 309, per chi pubblica o diffonde una notizia “falsa, esagerata o tendenziosa” sia idonea a turbare l’ordine pubblico.
Alcune fake news di carattere generale (anti-vaccinismo) potrebbero ricadere in questa categoria.
Fake news e art. 595 c.p.: diffamazione
Diffamazione – “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro”.
Si tratta certamente della fattispecie che più di ogni altra si presta ad essere adoperata per esaminare, da un punto di vista giuridico, le tipologie comportamentali che posso esserci dietro le fake news. In essa vi sono quasi tutti gli elementi che contraddistinguono l’agire sul web diffondendo notizie false.
La diffamazione rappresenta un reato comune posto a tutela dell’onore in senso oggettivo, inteso quale stima, alias reputazione, dell’individuo e, tenuto conto dell’esaltazione dell’apparire e del mostrarsi posta in essere attraverso i social network, creando e costruendo opportunamente una propria immagine da trasmettere agli altri, colpire la reputazione attraverso il web diviene alquanto facile.
A ciò si aggiunga l’amplificata capacità diffusiva che potrebbe integrare l’aggravante dell’offesa arrecata “a mezzo stampa, pubblicità o atto pubblico” laddove il riferimento alla stampa, in assenza del mondo virtuale, era inteso proprio ad includere la diffusione dell’offesa mediante un sistema di comunicazione in grado di raggiungere un bacino alquanto ampio di utenti.
La possibilità di includere le fake news nel reato di cui all’art. 595 c.p. è determinata anche dal fatto che trattasi di reato a forma libera: per cui al suo perfezionarsi basterà l’offesa alla reputazione comunicata a più persone con qualsiasi mezzo e, nel web, la comunicazione con “più persone” è soddisfatta dal semplice postare la notizia rendendola visibile ai più.
Quando si parla di diffamazione a mezzo stampa non si può, tuttavia, non fare un cenno anche al necessario bilanciamento tra la tutela del diffamato ed il diritto alla libera manifestazione del pensiero protetta, a livello costituzionale, dall’art. 21, e dal codice penale, all’art. 51 c.p. laddove, quest’ultimo, dispone che l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità.
Tra le scriminanti al reato di diffamazione meritano un cenno le ipotesi in cui vi sia un interesse pubblico a conoscere i fatti esposti e che risulta prevalente rispetto alla tutela della reputazione dell’offeso, la verità dei fatti narrati e la continenza delle espressioni usate.
Se la falsità resta comunque l’elemento discretivo della fake news, ulteriori valutazioni potranno comunque essere effettuate su tutti gli altri elementi, valutando modalità, termini, linguaggio e fatti asseriti.
Si noti che, a differenza delle altre fattispecie, la diffamazione non è prevista tra le policy dei social come motivo per la rimozione del contenuto
Fake news e art. 658 c.p.: procurato allarme
Procurato allarme – “Chiunque, annunciando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da dieci euro a 516 euro”.
Per il reato in esame ciò che rileva è l’effetto che la notizia ha sui destinatari, suscitando negli stessi il timore di un pericolo reale, a nulla rilevando, invece, l’intento che spinge l’autore della stessa ad agire, così come risulta priva di rilievo ogni indagine circa il dolo o la colpa.
Si tratta di un reato in cui viene posto l’accento sugli effetti e sul messaggio che giunge all’Autorità o a chi esercita un pubblico servizio, ossia nei confronti di chi, per ruolo, ha la responsabilità di predisporre, in caso di pericolo, misure idonee a tutela della collettività. In verità l’assenza di un qualsiasi riferimento al dolo o alla colpa, quali elementi caratterizzanti il comportamento dell’autore, rende spesso difficile seguire un opportuno confine tra l’azione posta in essere consapevolmente e chi, spingendosi oltre in un gioco rischioso, determina il procurato allarme pur non essendo consapevole degli effetti del proprio agire.
L’inconsapevolezza non rappresenta certo, in casi del genere, una esimente, essendo la mera idoneità dell’annuncio a procurare allarme il dato che occorre prendere in considerazione. In tale reato possono incorrere anche i giornalisti, nel momento in cui pubblicano notizie senza la dovuta verifica circa l’attendibilità delle stesse e/o delle fonti o comunque senza gli opportuni riscontri.
Possono, invece, evitare di incorrere nel reato nel caso in cui, ad esempio, la notizia venga diffusa non attraverso i canoni della certezza, bensì della probabilità, insinuando nel lettore, o comunque nei destinatari, il dubbio legittimo della non veridicità della stessa.
Ciò potrebbe risultare un giusto compromesso tra la necessità di far girare tempestivamente l’informazione, soprattutto tenuto conto del contenuto della stessa inerente possibili catastrofi o infortuni o pericoli, e la mancata completa verifica della veridicità della notizia.
Fake news e art. 661 c.p.: abuso della credulità popolare
Abuso della credulità popolare – “Chiunque, pubblicamente, cerca con qualsiasi impostura, anche gratuitamente, di abusare della credulità popolare è soggetto, se dal fatto può derivare un turbamento dell’ordine pubblico, alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 15.000”.
Si tratta di una contravvenzione che potrà configurarsi ogni qualvolta una falsa notizia, messa in giro anche senza particolari finalità o ritorni personali, possa innescare un turbamento dell’ordine pubblico.
L’abuso della credulità popolare rappresenta un reato di pericolo astratto che ben si presta a viaggiare sul web, rappresentando, lo stesso, un luogo pubblico ove è più che agevole creare false notizie atte a far leva sulla credulità popolare.
Fake news ed art. 501, co.1, c.p.: distorsione del mercato
Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio – “Chiunque al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 516 a euro 25.822”.
Una notizia falsa può anche essere diffusa nell’intento di turbare il mercato dei valori o delle merci, configurandosi, così, uno dei delitti disciplinati dal Titolo VIII[7] del Libro Secondo del Codice Penale. Che tale notizia venga poi “altrimenti divulgata” adoperando il web ed i canali dei new media, nulla toglie alla configurazione della fattispecie. In casi del genere, infatti, le modalità di diffusione non incidono sulla condotta, restando inalterato l’intento dell’autore.
La diffusione della notizia sul web potrebbe integrare gli stessi effetti della pubblicazione, senza ricorrere nemmeno al concetto di divulgazione attraverso ulteriori mezzi.
Se poi il secondo comma del presente articolo prevedere un aumento delle pene nel caso in cui effettivamente si verifichi l’auspicato aumento o diminuzione del prezzo delle merci o dei valori, allora sembra plausibile supporre che il canale adoperato per la diffusione della notizia, qualora ne aumenti oltremodo la possibile diffusione, e dunque l’auspicato effetto, non potrà non essere anch’esso valutato ai fini della quantificazione della pena.
Fake news e art. 640 c.p.: truffa
Truffa – “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità; 2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5). Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante”.
Una fake news può sostanziare anche gli estremi del delitto di truffa. Certo si tratta di una ipotesi più di nicchia e che, di certo, non trova riscontro nella più comune tipologia di notizie false che girano sul web, ma, trattandosi di delitto contro il patrimonio compiuto mediante frode, essa potrà aversi tutte le volte in cui la falsità sia finalizzata ad indurre qualcuno in errore incidendo sulla sua capacità negoziale.
Il falso, in questo caso, sarà alla base dell’artificio, inteso quale inganno, ossia il far apparire vero ciò che tale non è nella realtà. Ad esso si unisce, a completamento, il raggiro, che rappresenta il convincimento, nella vittima, del falso ragionamento. Sin qui, potrebbe essere alquanto ampia anche la casistica delle fake news rientranti in questa ricostruzione, stante la varietà di eventi possibili. Tuttavia, presupponendo il delitto l’individuazione di una “vittima” ed il profitto da parte di chi agisce, il fatto diviene circoscrivibile alle azioni che prendono di mira soggetti ben definiti e non certo la collettività. In questi casi diviene alquanto marginale, quanto alla sussistenza del reato, la diffusione su larga scala della fake news, anche se potrà essere notevolmente più agevole catturare delle possibili “vittime” attraverso l’uso del web.
Se, infatti, ciò che rileva è il convincimento operato nei confronti di un individuo o di una cerchia ben definita di soggetti, tale obiettivo che potrà essere raggiunto mediante una notizia ben costruita ed opportunamente veicolata. Esempio classico, una falsa raccolta di fondi apparentemente destinata a fini di beneficenza.
Fake news e 2598 c.c.: concorrenza sleale
Atti di concorrenza sleale – “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.
Il web, con le sue immense potenzialità comunicative, rappresenta certamente un terreno fertile nel quale posso compiersi atti di concorrenza sleale. Anzi, la comunicazione globale che può attuarsi in rete rende agevole carpire idee e giocare su assonanze al fine di ingenerare confusione tra prodotti ed attività e trarre vantaggio dall’inganno messo in opera ai danni dell’utente.
Avendo a disposizione una vetrina talmente ampia, vi è anche l’idea di riuscire a mascherare il proprio agire con maggiore facilità così come, nel caso in cui si operi screditando prodotti altrui, data la facile diffusione del messaggio, sarà agevole ottenere il risultato auspicato.
Gli atti di concorrenza sleale devono essere opportunamente calmierati dal diritto di critica che, tra le sue estrinsecazioni, può avere anche quella di lotta commerciale. Un limite al diritto di critica potrà essere ravvisato tutte le volte in cui, pur divulgando una notizia vera, la stessa venga strumentalizzata la fine di formulare vere e proprie invettive nei confronti del concorrente[8].
La condivisione delle fake news è reato?
Il comportamento del primo utente, ossia di chi crea ed immette nel web, è sostanzialmente quello dell’autore dell’eventuale illecito/reato e, pertanto, come visto, potrà essere, a seconda dei casi, rapportato alle diverse figure giuridiche esaminate.
Ma come definire, invece, il comportamento di chi, pur non avendo creato la falsa notizia, ne agevola la diffusione? Anche, e soprattutto, perché in questo caso non è detto che vi sia consapevolezza della falsità.
Capita spesso di essere attratti da una notizia per il titolo o l’argomento, perché relativa ad un evento più che attuale, magari inerente vicende che si susseguono a distanza di poche ore, capita di leggere un titolo ben artefatto, una fake news costruita ad arte, che colpisce già da come è presentata e capita di condividerla ancor prima di leggerla, di postarla sulla propria bacheca tempestivamente e farla conoscere alla cerchia dei propri contatti.
In casi come questi vi è un comportamento attivo (la diffusione) pur senza la consapevolezza della falsità del contenuto. Si parla al riguardo di disinformazione, ponendo l’accento sulla condivisione involontaria di informazioni false.
Diverso il caso in cui alla diffusione della notizia segua anche un commento. L’esprimere una propria opinione, denigrare o avvalorare la falsa notizia di per sé presuppone, quantomeno, l’averla letta prima ancora di condividerla.
In questo caso il comportamento di chi riceve, commenta e condivide è certamente oggetto di diversa considerazione potendo discendere da ciò una partecipazione attiva passibile anche di probabili sanzioni sia nel caso in cui venga provata la consapevolezza della falsità della notizia e la sua volontaria divulgazione, sia nel caso in cui i commenti non si limitino a commentare una notizia apparentemente vera, ma si spingano oltre, sino ad integrare gli estremi della diffamazione.
Fake news, le possibili nuove figure di reato
Nell’intento di dotare il nostro sistema di una compiuta regolamentazione dei comportamenti atti a manipolare l’informazione online, nel febbraio del 2017 è stato presentato un disegno di legge avente ad oggetto “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica”.
Ricalcando gli indirizzi espressi nel gennaio dello stesso anni dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sul tema dei media online e del giornalismo, il disegno di legge propone l’introduzione di una nuova contravvenzione nel codice penale, inserendo l’articolo 656-bis Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico, attraverso piattaforme informatiche[3]. Tale articolo viene collocato subito dopo l’art. 656 c.p. avente ad oggetto il reato di pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico[4], di cui ricalca sostanzialmente la fattispecie, prevedendo il caso specifico dell’utilizzo delle piattaforme informatiche.
Sempre col medesimo disegno di legge, vengono introdotte anche due ulteriori fattispecie, mediante l’inserimento degli articoli 265-bis e 265-ter aventi ad oggetto rispettivamente la Diffusione di notizie false che possono destare pubblico allarme o fuorviare settori dell’opinione pubblica e la Diffusione di campagne d’odio volte a minare il processo democratico con i quali si cerca, fondamentalmente, di predisporre un sistema sanzionatorio ad hoc per i casi in cui la stessa diffusione di notizie false intacchi altri valori di maggior rilievo quali l’opinione pubblica, innescando forme di allarme pubblico, ed il processo democratico.
Critiche possono essere espresse circa la collocazione delle predette norme subito dopo un reato, quello di disfattismo politico, applicabile “in tempo di guerra”.
Viene anche affrontato il tema della cd. “alfabetizzazione mediatica” con il sostegno dei progetti di sensibilizzazione e dei programmi di formazione volti a promuovere un uso critico dei media online, passando, ovviamente, attraverso la formazione scolastica quale bacino primario per lo sviluppo di un uso critico delle potenzialità del web, in linea con quanto disposto dalla legge sul cyberbullismo, approvata sempre nel 2017.
Passaggio delicato, affrontato dal disegno di legge, è, infine, quello relativo al ruolo da riconoscere ai gestori delle piattaforme informatiche, sempre più protagonisti responsabili dei contenuti del web, anche se spesso gravati da compiti o adempimenti dai contorni alquanto sfumati quanto a modalità, gestione delle tempistiche o valutazione dell’attendibilità dei contenuti diffusi.
In conclusione molti sarebbero gli elementi da rivedere in una fase di discussione sui contenuti del disegno di legge prima che lo stesso possa essere realmente preso in considerazione ai fini dello sviluppo di una regolamentazione organica sul tema in questione.
Al presente disegno di legge ha fatto seguito una ulteriore iniziativa parlamentare, del dicembre 2017 avente ad oggetto Norme generali in materia di Social Network e per il contrasto della diffusione su internet di contenuti illeciti e delle fake news[5].
Quest’ultima iniziativa, più che entrare nel merito della definizione della possibile casistica e relativa regolamentazione di fattispecie rientranti nella nozione di fake news, si pone un obiettivo ben più ampio, ossia quello di approntare una regolamentazione a livello generale del fenomeno nella sua peculiare caratteristica di evento social, configurando una serie di responsabilità in capo ai fornitori di servizi del web.
Come specificato nella relazione “l’obiettivo del provvedimento è quello di limitare fortemente la pubblicazione e la circolazione di contenuti che configurino delitti contro la persona e alcune altre gravi fattispecie di reato che potremmo definire complessivamente come delitti contro la Repubblica. Questi ultimi vanno dall’istigazione a delinquere alla propaganda all’odio razziale, dai reati con finalità di terrorismo ai reati di frode e falsificazione di documenti e comunicazioni informatiche. L’obiettivo è quello di indurre i fornitori di servizi di social network a costruire sistemi, procedure ed organismi di autoregolamentazione e controllo dei contenuti veicolati dalle proprie piattaforme, capaci di contrastare la pubblicazione di contenuti illeciti e di diminuire sensibilmente l’entità e la diffusione dei danni provocati da tali crimini” [6].
A prescindere da quelli che potranno essere gli scenari di una futura normativa ad hoc sulla materia, sta di fatto che, allo stato, la diffusione di false notizie attraverso l’uso dei social network può trovare una prima ed adeguata regolamentazione ove rapportata, in virtù di un’analisi delle caratteristiche e delle finalità che sono alla base del gesto, alla disciplina normativa vigente.
L’uso del web può certamente rappresentare una particolare modalità di diffusione della notizia ed incide indubbiamente sulla divulgazione e, conseguentemente, sui relativi danni arrecati, ma, allo stato, gli intenti e le peculiarità delle condotte possono trovare una regolamentazione nelle vigenti disposizioni, vieppiù nei casi in cui la notizia falsa integri gli estremi di un illecito.