L’esplosione della pandemia oltre a portare incertezza e complicazioni, ha offerto anche alcuni spiragli di ottimismo. Questo nella misura in cui si sta rivelando un acceleratore della trasformazione digitale e una leva per aumentare la domanda di cultura dell’informazione di qualità da parte di cittadini e imprese.
La rete è una grande risorsa, ma non è possibile fermarsi alla risposta di un motore di ricerca per prendere una decisione, soprattutto se questa ha risvolti economici. Serve un’abitudine alla verifica dei dati e una conoscenza delle fonti. Operazioni che grazie agli strumenti digitali, sono oggi più semplici da fare e sempre più alla portata di tutti.
Selezione e comprensione delle notizie
Nella corsa alla digital transformation, uno degli obiettivi prioritari dell’Italia dovrebbe essere quello proprio di ridurre la distanza tra la domanda e l’offerta di informazione di qualità. Laddove l’attributo della qualità è indispensabile su entrambe i fronti: quello della domanda come quello dell’offerta. Una domanda di qualità significa che accanto alla crescente esigenza di raccogliere informazioni, deve esserci una parallela capacità di elaborarle. Serve quindi un cambiamento culturale
La bulimia informativa cui tutti siamo esposti e ci esponiamo – a partire dalle notifiche mattutine dai social – deve fare i conti con la nostra capacità non solo di selezionare un menù digeribile di notizie, ma soprattutto di essere attrezzati per assimilarle e ricavarne il nutrimento che ci serve. Il resto sono tossine che sempre più faticosamente cerchiamo di espellere. Per sviluppare un metabolismo a misura di Big Data serve far crescere una cultura del dato (del suo valore, dell’uso che ne possiamo fare per il nostro lavoro) e della fonte (chi lo ha prodotto e come, chi ce lo sta offrendo e a fronte di cosa). E accanto a questa, una conoscenza di quei soggetti e di quegli strumenti che nell’era pre-digitale andavano sotto il nome di “terza parte fidata” e che oggi vengono semplicemente indicate come “trusted party”. In questo gioco delle parti, il ruolo delle istituzioni (a partire da quelle pubbliche) è cruciale. Nello scenario dei Big Data, la PA è infatti uno dei principali produttori e accumulatori di dati e informazioni su cittadini e imprese e sui processi che li vedono protagonisti. Informazioni che, per definizione, hanno impresso il marchio dell’ufficialità.
Fake news e imprese
Per quello che riguarda le imprese, in questi mesi la forza degli eventi ha fatto quello che anni di convegni, iniziative pubbliche e private, incentivi statali e locali non erano riusciti a fare se non in misura limitata. Ad ogni livello si sta affacciando la consapevolezza che il digitale non è una moda e che, per continuare ad esistere, bisogna sapersi muovere nel flusso crescente di informazioni alla base dalla data driven economy. Raccogliere, analizzare e integrare nelle proprie attività crescenti quantità di informazioni (rilevanti e affidabili) è indispensabile per effettuare scelte efficaci, limitare le variabili di rischio e cogliere nuove opportunità.
Se le fake news sono una patologia (anche) del sistema economico, il Registro delle imprese delle Camere di commercio è l’antidoto specifico da usare. Le Camere di commercio sono quel pezzo della Pa che funge da principale punto di contatto tra Stato e Mercato e che – per missione – è chiamato a garantire la “fede pubblica” delle notizie che riguardano la vita di ogni impresa e che la legge chiede siano rese pubbliche e accessibili. Conoscere il proprio mercato attraverso dati affidabili e certificati è la prima regola di qualunque imprenditore. Così come saper leggere un bilancio, a partire da quello dei propri partner o prospect. Strumenti come la visura, il bilancio o l’assetto societario di un’azienda, ottenibili on-line dal Registro delle imprese, sono i mattoni di base per costruire quel perimetro di certezze legali su cui sviluppare il proprio spazio di mercato, piccolo o grande che sia.
Per far bere il cavallo, però, non basta portarlo alla fontana: deve avere sete. La cultura dell’informazione economica nel nostro Paese – la “sete”, per stare alla metafora – è in serio ritardo rispetto ad altri paesi, soprattutto tra le piccole e piccolissime imprese. Se pensiamo che il 95% delle imprese italiane ha meno di 5 addetti e che fino a non molto tempo fa – in era pre-Covid – 4 su 10 dichiaravano di poter fare a meno di internet, capiamo la portata del problema.
L’impiego dei dati
Da tempo l’uso dei dati è sempre più centrale nelle strategie e nella gestione del business delle grandi e medie imprese. Ma è indispensabile anche per le più piccole, fino al singolo imprenditore. Nell’era dei Big Data non bisogna farsi ingannare e pensare di essere troppo piccoli per gestirli. La sfida in cui è ingaggiato il sistema camerale – affiancato da InfoCamere – è quella di raggiungere queste realtà, meno preparate a contrastare gli effetti delle fake news. Un fenomeno difficile da combattere perché agisce in modo sistemico su tutta la società, intaccando la fiducia che è alla base delle relazioni sociali ed economiche. E che è ben più ampio di quanto si pensi.
Se spostiamo il nostro punto di messa a fuoco dalla singola notizia all’intero eco-sistema delle informazioni in cui cittadini e imprese sono oggi immersi, il confine delle fake news si scioglie infatti in un panorama più vasto, in cui a rendere falsa (tossica) una notizia non c’è solo la sua costruzione – premeditatamente orientata a disinformare – ma anche la sua inaccuratezza, il suo mancato aggiornamento, l’impossibilità di collegarla ad altre per risalire alla fonte e verificarne il contenuto.
Conclusione
In queste settimane InfoCamere sta sostenendo le Camere di commercio per fare arrivare alle imprese un messaggio di fiducia: un’informazione economica di qualità, comprensibile, affidabile e facilmente utilizzabile esiste e non costa nulla. Lo sta facendo offrendo ad ogni imprenditore l’accesso a tutti i dati della propria impresa direttamente tramite lo smartphone e senza alcun onere attraverso il cassetto digitale dell’imprenditore. Sono ormai quasi 850.000 gli imprenditori che lo stanno utilizzando, con una crescita degli accessi del 30% nel periodo di lockdown e un incremento costante di sottoscrizioni quotidiane anche grazie alla forte spinta che negli ultimi mesi sta venendo (finalmente) dalla diffusione dello Spid, il sistema pubblico di identità digitale.