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Quattrociocchi: “La ‘cultura dell’umiltà’, nuovo antidoto alle fake news”

Cerchiamo di farci un’idea, andiamo per approssimazione e interpretiamo fatti, eventi e dati a seconda di come ci viene più naturale e conformante alla nostra forma mentis

Pubblicato il 06 Giu 2017

Walter Quattrociocchi

ricercatore, Università ca foscari di Venezia

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Lo squarcio ormai è netto. La disintermediazione galoppa senza sosta e miete vittime. Opinioni scambiate per fatti, fatti interpretati per sconfiggere il male delle fake news.

Addirittura youtuber esperti di gattini, data scientist improvvisati, e tuttologi/giornalisti si legano al coro che realizza ciò che vuole combattere.

Disturbo post traumatico da stress causato dal crollo della torre di babele. Il crollo delle certezze mette a disagio. Si cerca di far rumore per riprendere un po’ di sicurezza, ma l’artifizio non riesce. Ormai il velo di maya è squarciato al di là di ogni negazione.

Il pensiero magico ci ha portato fin qui, riapplichiamo lo stesso schema per rinnegarlo una volta che ne abbiamo realizzato l’esistenza.

La fuga è vana. Tentare di richiudere il vaso mettendoci sopra Sofocle, Eschilo, o Toro Seduto non realizza l’incantesimo. Il vaso è aperto e gli schemi e i paradigmi antichi non fanno che creare altri disagi e altra confusione. Semplicemente non funzionano.

Dietro ogni pensiero c’è un uomo che purtroppo ha una visione parziale e sensoriale del mondo.

La scienza negli ultimi anni è sempre diventata più consapevole di questi limiti e cerca di farci i conti con il concetto di probabilità, incertezza, complessità, falsificabilità.

La scienza è fortemente democratica, tutti possono farla a patto che se ne rispettino le regole e che non la si rinneghi idealizzandola a dogma. Come ogni processo umano ne eredita le imperfezioni, ma cerca di contenerle (almeno ci prova). Esistono scienziati ignoranti e consci solo del proprio orticello, come esistono eminenti filosofi onesti intellettualmente. E soprattutto non bisogna confondere scienziato con accademico, quest’ultimo spesso è all’oscuro di tutto un mondo che fa il suo stesso mestiere e ignora riviste o se ne fa un’idea per sentito dire.

Ovviamente non si può apprezzare ciò che non si capisce, e tante cose non siamo in grado di capirle.

Cerchiamo di farci un’idea, andiamo per approssimazione e interpretiamo fatti, eventi e dati a seconda di come ci viene più naturale e conformante alla nostra forma mentis (principio anche conosciuto come confirmation bias).

Il vero nodo è la scepsi ovvero “l’esercizio del controllo critico sugli oggetti del sapere, senza giungere a una conclusione definitiva: aspetto caratterizzante dello scetticismo”.

Chiedere le fonti, citarle, bollinarle senza scepsi è ingenuo (eufemismo).  “Il Dubbio è l’unica certezza” recitava un vecchio sciamano che amava fissare i muri.

In un mio pezzo recente sull’agenda del World economic forum si fa riferimento al progetto Pandoors.

L’idea è quella di unire mondi ed ecosistemi attraverso porte sotto un principio semplice che è quello della scepsi. Si mettono a disposizione strumenti quantitativi e si lavora assieme a giornalisti e psicologi per capire cosa bolle in pentola e come cercare di fornire informazioni sensate senza cadere nel loop del personalismo becero e provinciale. Il progetto si espande si allarga e ogni giorno trova nuove importanti adesioni.

Bisogna far fronte comune se si crede che l’approccio giusto sia quello dell’umiltà, come sottolinea Cass Sunstein in un articolo in cui, commentando un nostro studio, traccia la rotta indicando la cultura dell’umiltà.

“Arriving at these judgments on your own, you might well hold them tentatively and with a fair degree of humility. But after you learn that a lot of people agree with you, you are likely to end up with much greater certainty — and perhaps real disdain for people who do not see things as you do.”

La strada è lunga.

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