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Fake news: storia, evoluzione e strumenti per difendersi



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Le fake news, da Costantino alla Guerra dei Mondi, influenzano la società da secoli. Esistono tuttavia strategie efficaci per individuare le bufale e salvaguardare la propria rete di informazione

Pubblicato il 27 nov 2024

Marino D'Amore

Docente di Sociologia generale presso Università degli Studi Niccolò Cusano



fake news (1) (1)

Il fenomeno delle fake news è letteralmente esploso negli ultimi tempi all’interno della nostra quotidianità mediatica. Falsi strumenti di comunicazione, notizie create ad arte perché funzionali al raggiungimento di scopi particolari: destabilizzare l’establishment di una nazione, i delicati rapporti politici, interni ed esterni, che intrattiene con altri attori istituzionali, influenzare le masse, sovvertendo gerarchie valoriali e sociali.

La deontologia e l’etica comunicativa tout court condannano la proliferazione delle cosiddette bufale, la cui visibilità è ormonata, iperesteriorizzata dalle dinamiche viralizzanti tipiche della Rete. Anche la Commissione europea se ne è occupata formalizzandone, nelle sue direttive, la definizione con il termine disinformazione, che ne ufficializza l’importanza e delegittima il fake, relegandolo alle elucubrazioni mediatiche di sedicenti pseudo-esperti. Tuttavia, le intrinseche caratteristiche popolari di questo termine, lo rendono parte integrante del linguaggio comune e ci consentono di continuare ad utilizzarlo[1].

Fake news: gli esempi più eclatanti

Ma tentiamo di inquadrare meglio il problema e sfatare alcuni miti: il termine inglese fake news (notizie false) indica la creazione di notizie intenzionalmente inventate, ingannevoli o distorte, con il deliberato intento di disinformare attraverso i mass media, intesi come loro catalizzatori diffusivi.

Il caso della donazione di Costantino

Esse non rappresentano un fenomeno moderno, figlio della globalizzazione o della postmodernità, ma sono sempre esistite e affondano le loro radici sino al III sec. D. C. con la donazione di Costantino: essa rivela come l’imperatore Costantino, una volta guarito miracolosamente dalla lebbra per intercessione “divina” di papa Silvestro I, in segno di gratitudine, si fosse convertito al cristianesimo e avesse donato un terzo del suo impero alla chiesa. Una fake news strumentale alla necessità di fornire una base eziologico-esplicativa accettabile alle pretese papali sul potere temporale[2].

Nella prima metà del 1400 Il filologo Lorenzo Valla accertò che il documento apocrifo era un falso, ma questo non servì a smentirlo, dato che svolse il suo compito di legittimazione fino al 1870 con la presa di Roma.

La grande bufala della luna

Altro esempio è rappresentato da The Great Moon Hoax: la grande bufala della luna. Nell’estate del 1835 migliaia di persone iniziarono a leggere con stupore il primo di una serie di articoli che descrivevano il paesaggio della Luna come una sorta di paradiso rigoglioso e incontaminato, popolato da animali di ogni specie, compresi unicorni azzurri e uomini pipistrello. Ad averne la prova, il dott. Andrew Grant, assistente del noto astronomo John Herschel, figlio dell’altrettanto illustre William Herschel, scopritore di Urano, che aveva riportato a sua firma sulle pagine del “New York Sun” le incredibili scoperte fatte dal maestro con il suo potente telescopio. Peccato non esistesse nessun Andrew Grant. Ci vorranno diversi anni prima che tutti si convincano che John Herschel fosse completamente all’oscuro della faccenda e che si trattasse di una bufala, poi passata alla storia come “La grande Burla della Luna”, messa forse in atto (ma anche questa potrebbe trattarsi di una fake news) dal reporter Richard Adams Locke per aumentare la tiratura del giornale presso il quale lavorava. Un esempio di bufala persistente: molti altri giornali parlarono della grandiosa scoperta, la notizia venne diffusa anche dall’Accademia delle scienze francese e ne furono fatte diverse pubblicazioni, compresa una divenuta piuttosto popolare in Italia[3].

Di positivo, un gran numero di illustrazioni fantastiche ad opera degli artisti del tempo e senza dubbio un buon modo per sviluppare la fantasia dei lettori.

Il caso dell’uomo di Piltdown

Simile è il caso dell’uomo di Piltdown: è stato necessario che passasse quasi mezzo secolo per riconoscere che l’ominide a cui era stato dato il nome di Eoanthropus dawsoni non era l’anello mancante dell’evoluzione dell’uomo ma semplicemente un falso realizzato combinando la mandibola di un orangutan con frammenti di cranio di un semplice umano moderno. Una bufala paleoantropologica che coinvolse tutta la comunità scientifica e che è ancora immortalata dal monumento “in memoria della scoperta di Dawson” collocato nel 1938 sul luogo del presunto ritrovamento a Piltdown, in Inghilterra[4].

Una bufala alla quale si devono centinaia di pubblicazioni, la sostanziale deviazione per molti anni degli studi sull’evoluzione umana verso campi completamente errati, dispute e diatribe di ogni genere, comprese dimostrazioni razziste che per lungo tempo rafforzarono la convinzione che i popoli con la pelle scura fossero meno evoluti di quelli caucasici.

La guerra dei mondi di Orson Welles

Tuttavia, il più celebre esempio di fake news è stato il caso della trasmissione radiofonica La guerra dei mondi di Orson Welles del 1939. La trasmissione, messa in onda dalla CBS all’interno del programma radiofonico Mercury Theatre on the Air dello stesso Welles, fu uno degli esempi ancora oggi usati per descrivere il fenomeno della psicologia del panico. La trasmissione, mandata in onda in modo da sembrare una serie di comunicati da parte di autorità statunitensi (tra i quali scienziati, professori, e ufficiali), non aveva lo scopo di diffondere una fake news, tanto che, sia all’inizio che alla fine della trasmissione, fu messo in chiaro che si trattasse di un adattamento del romanzo di fantascienza di H.G. Wells, La guerra dei mondi. Nonostante la dichiarazione dello stesso Welles, molti radioascoltatori credettero che si trattasse di una notizia vera dando luogo a fughe improvvisate, scene di panico e intasando le linee di polizie locali e pompieri. La cosiddetta abilità critica, ossia la capacità di verificare la veridicità della notizia era assente in quel tipo di audience, ciò bastò a trasformare in un dramma apocalittico quello che doveva essere un momento d’intrattenimento per il pubblico alla vigilia di Halloween.

I sette modi di fare disinformazione

Claire Wardle[5], esperta in materia di comunicazione digitale, individua sette diversi modi di fare disinformazione:

Collegamento ingannevole: quando titoli, immagini o didascalie differiscono dal contenuto.

Contenuto ingannatore: quando il contenuto viene diffuso come proveniente da fonti esistenti.

• Contenuto completamente falso: quando il contenuto è consapevolmente costruito per trarre in inganno.

• Contenuto manipolato: quando l’informazione reale, o l’immagine, viene volutamente manipolata per trarre in inganno, fare propaganda, innescare dinamiche populiste o elargire una visione edulcorata della realtà.

• Manipolazione satirica: quando non c’è intenzione di procurare danno, ma il contenuto satirico viene utilizzato per trarre in inganno.

Contenuto fuorviante: quando si fa uso ingannevole dell’informazione per connotare un problema o una persona.

Contesto ingannevole: quando il contenuto reale è accompagnato da informazioni contestuali false.

Come si diffondono le fake news

Ma come si diffondono le fake news?

• Una parte è condivisa sui social da persone che, senza una verifica approfondita, condividono rilanciano o retwittano informazioni false.

• Attraverso l’attività dei giornalisti, fonte ritenuta legittima e autorevole, che diffondono informazioni emerse dal web e dai social in tempo reale senza controllare.

• Attraverso l’opera di gruppi d’influenza malcelatamente collegati tra di loro che tentano di influenzare l’opinione pubblica.

• Grazie a tecniche di comunicazione che creano campagne sofisticate e dedicate di disinformazione attraverso Internet.

Uso strumentale del messaggio

In primo luogo assistiamo costantemente ad un uso strumentale del messaggio: ossia si cerca di “colorare” una notizia o di metterla maggiormente in risalto perché funzionale, rispetto ad altre, a perseguire fini di consenso politico, sociale o di semplice popolarità di una classe dirigente o di un gruppo d’influenza come detto.

Ad esempio, ciò avviene quando in un Tg, invece di parlare del tasso disoccupazione in aumento, si punta la lente su un lieve incremento del Pil rispetto all’anno precedente attraverso la cosiddetta strategia della distrazione.

Superficialità di chi fa informazione

In secondo luogo, in alcuni casi, emerge una certa superficialità di chi fa informazione, ad esempio nella verifica delle fonti e dei fatti, una delle regole più importanti del giornalismo, che legittima la notizia grazie dall’autorevolezza del mezzo comunicativo (quotidiano, tv o web), la veste di veridicità e come tale la diffonde.

Si pensi ad esempio a tutte le notizie gravitate intorno alle vicende dei migranti negli ultimi tempi.

Ricerca spasmodica del sensazionalismo

Il terzo punto si basa invece sulla ricerca spasmodica del sensazionalismo fine a stesso che segue logiche commerciali, di mercato, fondate sulla spettacolarizzazione della notizia che punta al gossip più basso senza, di fatto, informare[6].

Il quarto e ultimo punto gioca sull’autoreferenzialità del mezzo in chiave autoironica. Il web oggi è pieno di siti, pagine social e blog che creano dichiaratamente notizie false, recepite come vere da fruitori o operatori poco attenti, i quali poi si trasformano in mezzi di diffusione delle medesime. Si tratta quasi di “stakeholder”, che, nel migliore dei casi, vengono smentiti poco dopo creando una fisiologica perdita di credibilità nell’informazione. In alcuni casi, tali notizie sono finite addirittura all’interno di tg nazionali, nonché in talk show di prima serata molto seguiti dal pubblico[7].

Consigli utili per smascherare le bufale digitali

Melissa Zimdars[8], professoressa di Comunicazione e Media al Merrimack College in Massachusetts offre consigli utili su come smascherare le bufale digitali:

• Evitare estensioni strane. Diffidate di siti che terminano con “lo”, come Newslo. Di solito mischiano informazioni accurate con notizie false. Anche i siti che hanno estensione.com.co sono sospetti. Di solito la versione fake di siti di news legittimi.

• Controllare altre fonti. Se vedete una storia che vi sembra incredibile, meglio controllare se altre fonti accreditate la riportano. Ispezionate i siti dei giornali noti e se non c’è traccia del cosiddetto scoop cominciate a dubitare.

• Fate una piccola verifica sul nome dell’autore dell’articolo. Ha firmato altri pezzi? Ha un profilo Twitter o Facebook o LinkedIn? Se non trovate nulla è probabile che si tratti di uno pseudonimo e quindi, spesso, di un articolo non veritiero.

• Fate ricerca. Se un sito vi insospettisce andate a leggere la sezione “about us” o controllate se esiste su Wikipedia o se viene menzionato in altri contesti.

Alcuni siti rispettati e autorevoli (come Forbes e BuzzFeed) permettono ai blogger di pubblicare commenti. Ma questi articoli non sono sottoposti a nessun controllo editoriale, pertanto potrebbero contenere falsità.

Altro aspetto fondamentale riguarda la data. Controllate quando il fatto narrato è davvero accaduto, magari con una veloce ricerca online. A volte si spacciano per nuove notizie che non lo sono e che, in un contesto diverso, assumono un altro significato.

Insomma, pochi accorgimenti possono neutralizzare il fenomeno, mantenendo un atteggiamento che non sia né complottista né ciecamente accondiscendente, ma giustamente scettico verso l’informazione. In questo senso diventa indispensabile consultare più fonti di informazione. È necessario non condividere nessuna notizia sui social network senza verificarne l’attendibilità e, se si diffonde un contenuto falso, cercare di correggerlo velocemente. Ma ciò che è davvero fondamentale è usare il buon senso, la coscienza critica di chi, invece di accettare passivamente l’informazione decide di pensare, elaborare e, se serve, dubitare, avvicinandosi alle notizie con un sano scetticismo.

Bibliografia

Buonanno E., Sarà vero. Falsi, sospetti e bufale che hanno fatto la storia, Utet, Milano 2019

Castells M., La nascita della società in rete, Università Bocconi, Milano 2024.

Marcelli A., Le fake news come fatto sociale emergente. Una prospettiva interdisciplinare, Orthotes, Napoli 2024.

McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2015.

Petroni S., Massa A., Anzera G., Lo specchio di Aletheia. Fake news e politica internazionale, Nuova Cultura, Roma 2017.

Rheingold H., Perché la rete ci rende intelligenti, Cortina Raffaello, Milano 2013.

Riva R., Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità, Il Mulino, Bologna 2018.

Si veda https://inews.co.uk/news/technology/melissa-zimdars-removes-fake-news-list-claiming-harassed-doxed-32234

Riva G., Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità, Il Mulino, Bologna 2018.

Buonanno E., Sarà vero. Falsi, sospetti e bufale che hanno fatto la storia, Utet, Milano 2019.

Buonanno E., op. cit.

Riva G., op. cit.

https://fakebait.altervista.org/disinformazione-e-fake-news-una classificazione/?doing_wp_cron=1600505562.8146018981933593750000

Petroni S., Massa A., Anzera G., Lo specchio di Aletheia. Fake news e politica internazionale, Nuova Cultura, Roma 2017.

Marcelli A., Le fake news come fatto sociale emergente. Una prospettiva interdisciplinare, Orthotes, Napoli 2024.

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