L’informazione mainstream punta spesso il dito contro i social network, rei di essere veicolo di disinformazione.
Ma in realtà non sembra ci sia un faro a cui appellarsi per fare chiarezza nel caos informativo in cui siamo piombati.
Vero, e c’è da aggiungere, anche, che i contenuti virali spesso sono di pessima qualità perché devono essere semplici per colpire l’attenzione: i social, insomma, sono il mezzo ideale per diffondere fake news. E tra chi contribuisce a diffonderle più rapidamente c’è Twitter, oggetto di acquisizione da parte di Elon Musk, proprietario di SpaceX e uomo più ricco del mondo, che sta indirettamente finanziando il governo ucraino contro l’invasione russa tramite Starlink, la linea internet satellitare più potente al mondo.
Lo stesso Musk che ha dato, proprio sul tema disinformazione, messaggi contraddittori: da una parte si dice a favore della libertà di stampa, tanto che vuole riabilitare l’account di Donald Trump (bloccato su Twitter per incitazione alla violenza al grido “voto rubato”, altra fake news); ma anche ha detto proprio nelle ore dell’acquisizione che Twitter non sarà un “inferno” aperto a tutti.
Avremo un Twitter più aperto e al tempo stesso più pulito da contenuti pericolosi? Chissà.
La disinformazione corre sui social e i nodi dei fact check
Il caso Musk è emblematico. Chi dovrebbe essere al di sopra della questione è aiutare a fare chiarezza spesso non ci riesce davvero e anzi sembra intorbidire ancora di più le acque.
I fack checker
Ricordiamo che il “problema” delle fake news viene “gestito” tramite dei soggetti, detti fact checkers: in Italia è l’Agcom che valuta i valutatori.
Fact checking: chi controlla se le news sono fake
È noto, come abbiamo già anticipato, che le fake news sui social siano monitorate da soggetti “indipendenti”, detti fact checkers.
In Italia sono dieci i soggetti abilitati: oltre ad AGI e Open Online (testate giornalistiche), si ritrova anche LaVoce.info, ossia un think tank collegato all’Università Bocconi di Milano in ragione dei componenti.
Sul sito, alla voce “Chi siamo”, in modo molto trasparente viene indicato che “La testata lavoce.info è proprietà dell’Associazione La Voce, fondata nel 2002. Attualmente sono soci Tito Boeri, Massimo Bordignon, Lorenzo Fazio, Pietro Garibaldi, Silvia Giannini e Pietro Ichino. Alla vita de lavoce.info hanno partecipato, con le loro idee, il loro impegno e i loro contributi, anche Riccardo Faini, redattore e membro del Comitato di redazione, scomparso il 20 gennaio 2007, e Francesco Daveri, redattore, membro del Comitato di redazione e managing editor de lavoce dal 2014 al 2020, scomparso il 29 dicembre 2021”.
Anche questi soggetti, però, non sono sempre indipendenti o obiettivi: spesso “annacquano” o “scoloriscono” notizie importanti spostando il focus dal generale al particolare o con soluzioni comunicative simili.
È il caso delle notizie sui vaccini e sul Covid-19: la trasmissione “Fuori dal coro” è stata prima chiusa e poi riaperta per aver messo in luce le contraddizioni emerse nelle audizioni di Pfizer, ossia che il green pass, in Italia, è stato probabilmente adottato in assenza di basi scientifiche valide (ossia i test sulla diffusione del virus da parte dei soggetti vaccinati prima della commercializzazione dei vaccini).
Il report sulla disinformazione social
Nel frattempo, allargando il quadro, il New York Times ha dato la notizia di un report dell’Integrity Institute, un gruppo che sta cercando di misurare esattamente quanto la disinformazione venga amplificata dai social network.
Il report mette in evidenza un’ovvietà nota a chiunque abbia letto qualcosa in tema di propaganda e sappia come funzionano i social: ossia che una “menzogna ben congegnata otterrà più impegni rispetto ai contenuti tipici e veritieri”.
Altro fatto notorio messo in luce è che gli algoritmi di alcuni social contribuiscono alla diffusione della disinformazione.
La possibilità di condividere i contenuti è uno degli elementi che contribuirebbe alla diffusione delle fake news.
Un particolare del rapporto appare però particolarmente interessante: c’è una correlazione – o almeno è stata rilevata una correlazione – tra la facilità con cui nel social si possono condividere i contenuti e la diffusione delle fake news.
In particolare, questo Integrity Institute ha verificato che su Facebook circolerebbero più notizie false che su Twitter, ma la maggior facilità del “retweet” rispetto alla condivisione del social di Mark Zuckerberg avrebbe determinato una maggior diffusività delle fake sul social preferito dai giornalisti di tutto il mondo.
Per quanto riguarda i contenuti video, ovviamente, il primato spetta a TikTok, ma Facebook si avvicina alla grande; Instagram (sempre di proprietà di Meta, come Facebook), invece, non pare essere aggredito dalle fake news in modo particolare.
Manca ancora un campione significativo per quanto riguarda YouTube.
Fact checking, Pfizer, Open e “Fuori dal Coro” (chiuso e riaperto)
Scandalo, sdegno e riprovazione si sono sprecati sui social dopo che il Janine Small, responsabile commerciale di Pfizer, ha affermato, in audizione, che i vaccini contro il Covid 19 non erano stati testati per prevenire la trasmissione del virus prima di averli messi in commercio.
Al grido di “Sui vaccini ci hanno sempre mentito”, la notizia ha fatto il giro di tutti i contesti complottisti e no.
Open, come suo solito, ha riportato la notizia affermando che si tratta di una fake news: non tanto per l’affermazione della Small (anche se erano girati ei video dell’audizione in cui il testo veniva modificato), quanto piuttosto per il fatto che il dato era noto già dal 2020.
Open, in modo onesto, riporta tutte le fonti e indica anche come fake le affermazioni dell’ex primo ministro, Mario Draghi, quando, nell’estate 2021, ha affermato che il green pass era una misura grazie alla quale “gli italiani possono continuare ad esercitare le proprie attività, a divertirsi e andare a ristorante, a partecipare a spettacoli all’aperto o al chiuso con la garanzia, però di trovarsi tra persone non contagiose”. L’assunto di base, quindi, era semplicemente non verificato prima e si è rivelato falso poi.
Quello che Open non mette adeguatamente in luce è che sulla base di scelte politiche non suffragate da dati scientifici – perché, semplicemente, non c’erano – i diritti civili di milioni di cittadini sono stati compressi.
Questa è, grosso modo, la tesi che Mario Giordano, conduttore del talk show Fuori dal coro, in onda su Rete 4, ha sostenuto, prima che la trasmissione venisse “sospesa” prima e “chiusa” poi.
Salvo la frettolosa retromarcia di Mediaset, dopo che la rete è letteralmente insorta contro la censura effettuata dall’emittente: Fuori dal coro tonerà in onda.
La rettifica di David Puente
Contrariamente a quanto porta ad intendere l’articolo, Agcom non ha nulla a che vedere con la “valutazione” o “abilitazione” dei fact-checkers in Italia per “monitorare i social”. Non risultano documenti che dimostrino una “valutazione” o “abilitazione” in tal senso da parte di Agcom. Inoltre, Open non ha nulla a che fare con siti come AGI o con LaVoce.info in merito al fact-checking sui social, in quanto entrambi non risultano partner di Meta e non sono certificate dall’ente preposto, ossia l’International Fact-checking Network. Solo LaVoce.info faceva parte in passato del network, ma l’ultima certificazione risale al 2018.
In merito alla vicenda Open e “Fuori dal Coro”, l’articolo di Agenda Digitale “scolorisce la notizia importante spostando il focus”. Come ben inizialmente inteso da Agenda Digitale, l’oggetto di verifica da parte di Open (articolo del 20 ottobre 2022) riguarda la comunicazione scorretta da parte di Fuori dal Coro in cui viene “gridato” il messaggio fuorviante “Sui vaccini ci hanno sempre mentito”. Nell’articolo di fact-checking viene citato e linkato uno precedente, quello del 15 ottobre 2022 in cui viene riportata la cronologia degli eventi a dimostrazione di come quel “grido” e il caso sollevato tramite l’europarlamentare Rod Ross siano di fatto scorretti. L’articolo di Agenda Digitale non cita le criticità riscontrate da Open nel programma condotto da Mario Giordano, come il titolo del comunicato stampa dell’Istituto Superiore di Sanità modificato per comunicare una falsa notizia in televisione. Informazioni fuorvianti che vengono proposte per sostenere una tesi, quella che secondo Agenda Digitale Open non avrebbe messo “adeguatamente in luce”. In mancanza di una solida base, costruita su informazioni fuorvianti, tale tesi viene meno. Rimando, in questo caso, alla lettura dell’articolo di Open del 15 ottobre 2022.
In merito alla dichiarazione di Mario Draghi riguardo al Green Pass, si sostiene un “assunto di base” dove tale intervento “era semplicemente non verificato prima e si è rivelato falso poi”. L’articolo di Agenda Digitale non riporta la data del nostro fact-checking: le affermazioni pronunciate dall’allora Presidente del Consiglio, durante la conferenza stampa del 22 luglio 2021, sono state analizzate da Open con pubblicazione il 23 luglio 2021, una pubblicazione citata insieme ad altre del passato sul tema, riguardanti altri politici e conduttori televisivi, nell’articolo del 15 ottobre 2022.
Ritengo, infine, che la citazione di “1984” di George Orwell sia del tutto scorretta, in quanto potrebbe fornire ai lettori errate e fuorvianti interpretazioni sull’opera di Fact-checking svolta da Open.
David Puente, vicedirettore Open.online e responsabile del progetto Fact-checking
Conclusioni
Piaccia o meno, il periodo pandemico ha visto emergere enormi contraddizioni sul piano comunicativo.
Dal libro mai edito dell’ex ministro della sanità, Roberto Speranza (“Come abbiamo sconfitto il Covid” o roba simile), agli illuminati tweet di Roberto Burioni (“I no vax chiusi a casa come sorci” o simili galanterie), i media tradizionali e non erano impregnati dalla campagna di paura per il virus e di odio contro chi non ha voluto vaccinarsi.
Ne abbiamo viste di tutti i colori ed altre ne vedremo: ma non preoccupatevi, è tutto già scritto. Sì, da George Orwell, in “1984”.