Nel primo trimestre del 2018, come sottolineato dal primo Rapporto sull’applicazione degli Standard della Comunità [1], Facebook ha rimosso 583 milioni di profili falsi presenti sul social network – un numero relativamente enorme, se si considera che le cosiddette fake identities costituiscono tra il 3 e il 4% degli utenti attivi mensilmente sulla piattaforma.
Per quanto riguarda Instagram, nel lontano 2015 è stato stimato da una ricerca Made in Italy condotta da Andrea Stroppa [2], che circa 25 milioni di utenti su 300 milioni non corrispondevano a un essere umano in carne e ossa, ma a dei veri e propri bot che venivano (leggasi: vengono) utilizzati per essere poi acquistati in blocco da utenti reali (persone fisiche o aziende) per aumentare il numero dei propri followers e like.
Social che vai, profili falsi che trovi
Se escludiamo gli ex che si comportano da stalker o le fidanzate gelose, nella maggior parte dei casi, la creazione di una fake identity su Facebook non ha le medesime finalità di quella creata su Instagram.
Perché? Instagram basa le sue relazioni social(i) su contenuti foto/video e sui like, più che sulle interazioni dialogiche private (chat, post, commenti). Le false identità sono spesso create grazie a un bot e si corredano di nome, cognome, foto profilo, biografia, contenuti (foto o video) e followers (bot anche loro) per simulare le azioni umane. La cosa non deve stupire, se si pensa che il profilo di @Shudu.Gram, «La prima supermodella digitale al mondo», ha 105mila followers e la sua collega @lilmiquela ne ha addirittura 1,1 milioni. Tornando ai nostri utenti fake su Instagram, solo una minoranza è fatta di carne e ossa, questo perché l’obiettivo degli utenti Instagram è aumentare i propri followers e le interazioni (like) con i propri contenuti– obiettivo acutamente intercettato da creatori e rivenditori di pacchetti di “seguaci dal mi-piace automatizzato”.
I profili falsi su Facebook, invece, sono creati da utenti reali nella maggior parte dei casi, per scopi ben precisi che implicano l’interazione sociale dialogica, come l’adescamento (ahinoi), la promozione di prodotti e l’indirizzamento di discussioni (tra cui il trolling) o la partecipazione a gruppi tematici omofobi, xenofobi, denigratori, violenti o comunque contrari agli Standard della Comunità. Ovviamente, nel caso qualcuno ne stesse dubitando, esistono anche per Facebook dei bot congegnati per aumentare i “Mi piace” a una pagina aziendale o di un personaggio pubblico.
Due piccole guide al riconoscimento delle fake identities (profili falsi)
Fatte queste doverose premesse, le caratteristiche sopra evidenziate permettono di realizzare due piccole guide al riconoscimento delle fake identities, una per i bot di Instagram e l’altra per Facebook. La scelta di concentrarsi su queste due piattaforme si deve alla loro indubbia diffusione, che rimane comunque elevatissima. Alcune accortezze possono comunque essere mutuate e applicate ad altri social network, come Musical.ly o Snapchat.
Partiamo da Instagram e cerchiamo di capire quando siamo di fronte a un bot e non a un utente reale.
- La prima cosa da valutare è il rapporto tra le fotografie e i like/commenti, per capire se questi sono effettivamente proporzionati all’immagine pubblicata. Se siamo di fronte a migliaia di “Mi piace” e la foto è sgranata, piuttosto mal fatta o di pessima qualità, la cosa potrebbe essere sospetta. Così come potrebbe essere sospetto quel profilo che ha 300 mila follower e nessun commento sotto alle sue fotografie. In questo caso si parla di engagement molto basso rispetto al numero di seguaci, il che è un ottimo indicatore di veridicità dell’account.
- L’utilizzo degli hashtag è un altro elemento fondamentale. Se le fotografie hanno un hashtag, due o addirittura nessuno, ma la foto raggiunge diverse migliaia di like, beh, qualcosa non quadra – salvo che non si tratti di Influencer globalmente riconosciuti.
- In ultimo, è meglio dare un’occhiata alla tipologia di follower. Chi sono i seguaci di quell’account? Che tipo di profili hanno? È d’obbligo dare un’occhiata anche al nome del profilo di coloro che interagiscono con il presunto bot, prestando attenzione all’eventuale uso di caratteri speciali o frasi evocative nel nickname. Anche i commenti possono dirci molto, soprattutto quelli che sotto alla foto di un gattino invitano a provare un prodotto dimagrante.
Per quanto riguarda Facebook, le accortezze sono assai più numerose, essendoci una vasta gamma di azioni possibili che non riguardano solo foto e video. Tuttavia, alcuni suggerimenti possono essere applicati anche a Instagram, per individuare profili falsi creati non necessariamente da un bot, ma anche da utenti reali sotto mentite spoglie.
Cominciamo.
- Può sembrare sciocco, ma richieste di amicizia con foto profilo di uomini in slip e donne in pose provocanti devono destare immediatamente qualche dubbio – e questo vale anche per Instagram. In tal caso, sarebbe bene osservare, prima di accettare la richiesta (o subito dopo averlo fatto), se: le immagini sono tutte dello stesso tipo (slip, costume, sensuali ecc.) e se sembrano appartenere a soggetti simili ma non esattamente identici (ad esempio, in tutte le foto c’è una ragazza bionda con gli occhi celesti, anche ritratta in attività quotidiane, ma che sembra avere tratti somatici diversi in ogni scatto).
- Se il profilo vi insospettisce, potete salvare una foto o due sul Desktop e avviare la ricerca su Google Immagini in modo da verificare la provenienza delle foto postate. Potrebbe infatti trattarsi di immagini già presenti sul web e scaricate per costruire il profilo, che magari appartengono a personaggi pubblici o a persone comuni le cui foto sono state rubate per ingannare terzi. In tal senso, è bene ricordare che – pur non essendo consentito da Facebook e Instagram – una cosa è creare un account falso basato su una identità inesistente [3], un’altra è “fare le veci di qualcuno” usandone l’identità (cosiddetta misrepresentation o impersonification), il che oltre a non essere consentito su entrambe le piattaforme [4, 5], in taluni casi costituisce anche reato.
- Un altro elemento fondamentale, sempre in tema foto, è la loro frequenza e regolarità – anche se spesso è verificabile solo dopo aver aggiunto tra gli amici la persona in questione. Sono tante le immagini? Lui/lei è sempre solo/a o compare anche in compagnia? Si vede bene il viso? Commenti, menzioni (per Instagram) e tag (su Facebook) sono indicativi di eventuali relazioni sociali. Se mancano, si è quasi sicuramente di fronte a un profilo fantasma (ghost profile) utilizzato solo per spiarci o, nel peggiore dei casi, truffarci o adescarci.
- Anche la bacheca può dire molto. Un buon numero di post personali lascia intendere che l’utente sia quanto meno attivo, ma se si limita alla sporadica condivisione di contenuti di terzi, potrebbe essere un ghost profile. Se poi in bacheca compaiono molte scritte che dicono “grazie per l’amicizia”, allora c’è il rischio che si tratti di un account che aggiunge utenti in maniera massiva. Meglio non scoprire per quale finalità…
- La messaggistica è un ottimo metro di giudizio. Se dopo aver accettato la richiesta di amicizia di qualcuno, ci arrivano messaggi con errori di ortografia, diversi formati o accenti strani, è il caso di prendere in considerazione l’idea che si tratti di un profilo falso o di qualcuno che sta cercando di compiere il cosiddetto phishing. Se invece dopo averci aggiunti chiediamo informazioni e non hanno neanche il tempo di rispondere a un nostro messaggio, allora che senso ha averli tra gli amici?
- Gli amici in comune. Le truffe più in voga al momento sono quelle basate su relazioni sentimentali ingaggiate tra un profilo fake e una vittima-realmente-esistente (cd. romance scam). È sempre bene chiedersi come colui o colei che ci aggiunge sia arrivato/a al nostro profilo se non abbiamo alcun amico in comune… Se vi accorgete di avere qualche amico, anche solo uno, in comune, allora è bene farsi coraggio e chiedere informazioni per sapere se conoscono personalmente il presunto fake.
I social e i sei gradi di separazione
È chiaro che lo scopo dei social network è proprio quello di mettere in contatto le persone, altrimenti avrebbero un altro nome. C’è chi sostiene che stiano addirittura riducendo i cosiddetti sei gradi di separazione, quindi ben venga la comunicazione tra soggetti, soprattutto se spazialmente o socialmente distanti. Ma come cittadini digitali – e volenti o nolenti lo siamo tutti – dovremmo adottare per noi e trasmettere agli altri delle accortezze che costituiscono la fase 2.0 del “non accettare caramelle dagli sconosciuti”. Così, anche se tutti i punti elencati non esauriscono il tema, possono essere utilizzati assieme a quello che i britannici chiamano common sense – o forse dovremmo dire common digital sense? – per scongiurare spiacevoli episodi o delusioni cocenti, proteggendo soprattutto gli utenti più fragili.
Bibliografia:
[1] https://newsroom.fb.com/news/2018/05/enforcement-numbers/
[3] https://www.facebook.com/help/306643639690823?helpref=search&sr=1&query=falso
[4] https://www.facebook.com/communitystandards/integrity_authenticity/misrepresentation
[5] https://help.instagram.com/446663175382270