Mentre in USA il fisco “potenziato” dall’intelligenza artificiale è ormai una realtà e i primi esperimenti di intelligenza artificiale all’interno dell’IRS statunitense risalgono addirittura al 1983, in Europa le prime sperimentazioni di queste tecnologie sono recenti e si procede con cautela, anche se l’interesse per questi sistemi aumenta costantemente e le amministrazioni fiscali esprimono favore per strumenti automatici in grado di filtrare i dati dichiarati dai contribuenti e di individuare anomalie.
In questo contesto è senz’altro benvenuta la bozza di regolamento UE in tema di intelligenza artificiale circolata nei giorni scorsi, anche se probabilmente prima che questa diventi applicabile ci vorrà molto tempo, tempo durante il quale l’intelligenza artificiale potrebbe diventare realtà quotidiana (almeno nel settore fiscale) e tempo durante il quale rischiamo di non avere adeguati strumenti di protezione di fronte a queste repentine, incontrollate e incontrollabili evoluzioni che incideranno sulla nostra vita di ogni giorno.
Le iniziative in Francia
La Francia ha aperto la strada (e ora si dedica al monitoraggio automatizzato dei social network), mentre l’Italia ne segue la scia con convinzione ed interesse.
Intelligenza artificiale, i punti chiave del regolamento europeo
Quello francese è un esempio significativo di digitalizzazione dell’amministrazione fiscale, digitalizzazione peraltro già approvata dal Consiglio Costituzionale del paese che, ancora nel 2019, ha riconosciuto la legittimità della normativa in tema di impiego dell’intelligenza artificiale nel settore fiscale, evidenziando il corretto bilanciamento tra prerogative ispettive dell’amministrazione e privacy dei cittadini.
AI, monitoraggio social e privacy
Nel Paese con decreto dello scorso febbraio (Decret 2021-148 dell’11.02.2021) è stata data attuazione alla normativa che prevede il monitoraggio dei social network da parte del fisco. I social verranno utilizzati come “cartina al tornasole” delle dichiarazioni fiscali, al fine di verificare la corrispondenza fra lo stile di vita dichiarato e quello ostentato sui social (o ricavabile da altre piattaforme, come ad esempio AirBNB). A presidiare l’operazione un algoritmo ad hoc, chiamato a gestire i dati nel rispetto della privacy dei contribuenti.
La ricerca del fisco, per conciliare l’attività ispettiva con la normativa GDPR, sarà limitata ai dati pubblicamente accessibili degli utenti (con esclusione quindi dei contenuti condivisi solo con determinate cerchie di soggetti) e l’esperimento verrà condotto per tre anni su un limitato numero di “fortunati” contribuenti. L’aspetto più difficile da affrontare sarà senz’altro quello derivante dalla necessità di accoppiare con sicurezza il contribuente con i profili social, attività anche questa che sarà almeno in parte, nelle intenzioni del fisco francese, affidata all’algoritmo.
Il CNIL (Garante francese) ha evidenziato queste criticità e raccomandato un attento bilanciamento fra l’attività di indagine e il rispetto della riservatezza dei cittadini francesi nel condurre questa innovativa attività di indagine, senza però opporsi all’entrata in vigore del decreto.
L’AI per individuare le anomalie
L’intelligenza artificiale non aiuta l’amministrazione francese nel contrasto all’evasione solo nel contesto dell’analisi dei social network.
È da vari anni che nel paese si sperimentano intelligenze artificiali in grado di isolare i casi di sospetta evasione e secondo i dati del fisco nel 2018 questo investimento tech ha fruttato alle casse di Parigi ben 235 milioni di euro, incrementando in misura compresa tra il 10 e il 20 % l’efficienza dell’attività investigativa.
Intelligenza artificiale nel settore fiscale
Le potenziali applicazioni dell’intelligenza artificiale nel settore fiscale sono davvero numerose e trovano fondamento nell’enorme dataset a disposizione del fisco, recentemente potenziato dal formato strutturato in cui sono ormai registrate la più parte delle transazioni. Gli strumenti di machine learning possono quindi “fagocitare” queste enormi masse di dati ed evidenziare quelle che l’algoritmo riconosce come anomalie da parte dei contribuenti in maniera molto più efficace e veloce di quanto non potrebbe fare un funzionario.
Le intelligenze artificiali possono poi studiare dati a livello globale, se i dataset sono resi interoperabili, e questo potrebbe consentire di superare barriere linguistiche e buroctatiche nella lotta all’evasione globale. Se poi immaginiamo queste intelligenze artificiali alle prese con dati ulteriori (ad esempio i movimenti bancari o le attività sui social network), possiamo ben immaginare come questi algoritmi potrebbero essere in grado di indovinare potenziali frodi fiscali con grande precisione.
Per ottenere una maggiore efficienza nell’amministrazione fiscale viene però richiesto un significativo sacrificio al diritto individuale alla riservatezza, come denunciato da più parti.
Lo stesso Garante privacy italiano, quando interpellato, ha richiesto al fisco maggiore chiarezza circa le prospettive di sviluppo tecnologico dell’Agenzia delle Entrate.
Nonostante queste riserve, la via verso il fisco tecnologico sembra ormai tracciata e l’Europa sembra pronta ad entrare nel mondo della tax automation.
Lo scenario in Italia
L’Agenzia delle Entrate italiane non è rimasta inattiva nel settore e si appresta a seguire da vicino le orme dell’omologa amministrazione francese e progetta di farlo in grande stile!
Il fisco italiano ha infatti presentato in Europa il progetto “A data driven approach to tax evasion risk analysis in Italy” progetto approvato lo scorso marzo e che finanzierà il potenziamento delle attività di contrasto ai fenomeni di evasione ed elusione fiscale attraverso strumenti tecnologici.
Il finanziamento, che dovrebbe far arrivare nelle casse dell’Agenzia delle Entrate ben 900 milioni di euro, permetterà di investire in un progetto di evoluzione tecnologica incentrato su questi tre elementi:
- Network science, ovvero l’elaborazione dei dati fiscali sotto forma di reti per far emergere le relazioni dirette e indirette fra soggetti così da permettere di individuare schemi di evasione e di elusione fiscale;
- Data visualization, ovvero l’adozione tecniche di rappresentazione visiva delle informazioni che consentano agli operatori del fisco di comprendere con facilità i flussi economici o i rapporti fra i soggetti e di navigare in maniera intuitiva fra gli stessi, potenziando così il lavoro degli addetti dell’amministrazione finanziaria.
- Intelligenza artificiale, ovvero l’utilizzo di tecniche di apprendimento automatico (machine learning) per filtrare le informazioni e catalizzare i processi decisionali.
Questi sono i tre pilastri del Fisco 2.0 che in Italia verrà costruito grazie ai fondi europei e che cambierà per sempre le modalità operative dell’Agenzia delle Entrate.
Come ha ribadito il Direttore dell’Agenzia in un’audizione al Senato lo scorso 4 marzo, il fisco italiano punta a realizzare una complessiva strategia di sviluppo di tecniche di analisi sui cosiddetti “big data”, finalizzata a superare i tradizionali controlli basati sugli “incroci” a favore di approcci innovativi, tecnologici e diversificati.
Prospettive future
Anche qui il Direttore garantisce che “l’utilizzo di tali nuovi strumenti e metodologie sarà sempre subordinato al preventivo contraddittorio con i contribuenti e sarà prestata la massima attenzione alla privacy e alla protezione dei dati”, in realtà il terreno di scontro fra fisco digitale e diritto alla riservatezza è solo agli albori e si inserisce nel più complesso tema dello sviluppo di una normativa in tema di intelligenza artificiale che possa realmente rispettare i diritti degli utenti, spiegando perché un soggetto ha subìto conseguenze negative (come un’ispezione fiscale) e potendo individuare i criteri di scelta dell’intelligenza artificiale che ha indicato (magari sbagliando) quel soggetto come potenziale evasore.
La problematica si intreccia con quella del coded bias, ovvero la necessità di evitare che una programmazione vittima di inconsapevoli pregiudizi si rifletta in maniera sistematica in controlli più aggressivi e frequenti nei confronti di determinate categorie sociali. Di fronte a queste evoluzioni, che fanno il paio con le problematiche relative alla trasparenza dell’algoritmo, spesso difficile da ottenere quando si intrecciano difficoltà tecniche (pensiamo alle c.d. black box technologies) e problematiche legate al segreto industriale vantato dagli sviluppatori del software (specie se realizzato esternamente all’amministrazione che lo utilizza), è evidente la necessità di una disciplina specifica che faccia da complemento al GDPR il quale non dedica abbastanza attenzione a questi sviluppi tecnologici e si limita a prevedere correttivi per le decisioni completamente automatizzate (comodamente eludibili adottando decisioni solamente “suggerite” dall’algoritmo).