Dire che un efficace utilizzo delle leve digitali sia centrale per le prospettive di successo di individui, aziende, istituzioni e stati nazionali è ormai una banalità. Ormai anche le opinioni più retrograde si sono allineate (pur controvoglia) all’evidenza di quanto il digitale sia essenziale, fondamentale e necessario.
Ecco la prova finale che è nel digitale la salvezza del Paese: ma serve agire subito
In parole analogicamente povere: chi sa ben usare il digitale all’interno della propria attività vince, gli altri, al più, sopravvivono.
L’esempio emblematico del Green Pass
In realtà mi pare di poter dire che ormai siamo andati oltre. Il digitale è diventato un biglietto d’entrata, senza il quale non si è neppure ammessi allo show. Un esempio perfetto di questo scenario è il Green Pass vaccinale. Un QR code che contiene 0 e 1, leggibile solo da apposita app, che ci consentirà (o meno) di viaggiare all’estero, di assistere a concerti, di partecipare a fiere, gare sportive, feste e così via. Gli altri, a casa. Capito? No Green pass, no party!
Qualcuno può seriamente aver pensato che una questione del genere potesse essere gestita in modo non-digitale, con fogli di carta, timbri e firme? E qualcuno può seriamente pensare che un’organizzazione possa affrontare il 2021 senza un utilizzo maturo e efficace delle tecnologie digitali?
Pericoloso mettere sui social il Qr-Code del green pass, l’allarme del Garante Privacy
I ritardi italiani nel digitale e come superarli
Eppure, al di là di quello che pensiamo e dichiariamo, il nostro comportamento non tiene botta. Secondo molte ricerche e classifiche l’Italia arranca in fondo alla fila in termini di maturità digitale. Ma attenzione, non è solo questione di diffusione della banda larga e investimenti in infrastrutture. Una cosa in cui siamo sicuramente, serenamente ultimi è la diffusione delle competenze tra i cittadini. Nessuno ce lo ha spiegato, quel giorno avevamo un impegno, abbiamo capito ma non proprio benissimo. Fatto sta che lì stiamo, con le orecchie d’asino dietro la lavagna della platea internazionale.
Questa situazione fa da sfondo a un’altra emergenza, che in questo caso ci accomuna con tutti gli altri Paesi e comunità, anche quelle più evolute e avanzate. Il problema è che il mondo digitale è proprio diverso da quello analogico, radicalmente diverso, e introduce situazioni e questioni che non si possono affrontare con i paradigmi, i modelli, le leggi, i regolamenti e gli schemi mentali tradizionali. Sembra a volte di abitare nel mondo di Flatlandia, raccontato da uno stupendo libro di Edwin A. Abbott: un mondo fatto di figure piane, piatte, bidimensionali, in cui un giorno appare un solido tridimensionale. Come spiegare l’altezza a figure geometriche che hanno sempre e solo conosciuto larghezza e profondità? Come affrontare i problemi della società digitale con strumenti nati per un mondo completamente, strutturalmente diverso?
Non si può governare il domani con gli strumenti di ieri
Gli esempi si sprecano: gli assetti necessari per ricostruire un difficile equilibrio tra e-commerce e commercio di prossimità; l’evidente difficoltà delle regole tradizionali del copyright, che oscillano pericolosamente tra il “liberi tutti” e le stranezze degli NFT; l’affanno nel garantire la privacy delle persone, una “mission impossible” che ci costringe a cliccare venti volte al giorno su autorizzazioni che nessuno ha il tempo di leggere, per cui per garantire tutto si finisce di non garantire nulla; il ruolo di chi debba regolare e moderare quello che viene detto sui social network, tra fake news, insulti, estremismi e gente con la miccia corta, dove non si capisce se il regolatore dev’essere lo stato (una prospettiva in caduta libera orwelliana), o il proprietario del network (che forse è anche peggio); la tutela dell’immagine personale che ci costringe a chiedere non al giudice, non all’autorità, non alle associazioni consumatori, ma ai motori di ricerca di ergersi a despota e decidere con atto unilaterale e inappellabile se quello che ci può essere capitato nel passato va messo in evidenza, oppure obliato con una decisione presa da qualche parte nella valle del silicio.
Tutti questi ambiti critici erano già presenti da anni, segno di una profonda difficoltà nel governare il domani con gli strumenti di ieri; senz’altro però la pandemia ha avuto un effetto di accelerazione esponenziale, liquidando in pochi mesi resistenze e luoghi comuni ed esponendoci senza rete a un mondo cui non siamo preparati, come comunità, come società, come stati e anche come individui.
Le ragioni della Fondazione Italia Digitale
Urge un intervento. È necessario, al più presto, costruire un luogo dove questi temi vengano trattati, esaminati, discussi e dibattuti dai vari portatori di interesse, fino ad arrivare a idee, sintesi e proposte che poi alimenteranno il parere degli esperti, la pubblica opinione, gli atti amministrativi e gli schemi normativi. Pare impossibile ma questo luogo non esiste; anzi non esisteva, perché questa è la missione assunta, con un pizzico di incoscienza ma anche un grande senso della missione, dalla neonata Fondazione Italia Digitale.
La Fondazione in realtà nasce dall’esperienza dell’Associazione PA Social, un corpo giovane ma robusto e in forte crescita, che nei suoi quattro anni di storia ha “fatto la differenza”, promuovendo la comunicazione e l’informazione digitale nella Pubblica Amministrazione a tutti i livelli. La Fondazione Italia Digitale, pur ponendosi nella scia di questo lavoro, ne amplia l’ambito al digitale tout court e a tutti i soggetti, pubblici, privati e intermedi, realizzando in pieno quella sussidiarietà che è uno dei punti di forza del nostro bel paese.
L’ambito d’azione, dunque, è quello dello sviluppo delle policy digitali più adeguate per affrontare al meglio i cambiamenti in corso. Ho parlato di Italia, ma è lampante come l’ambito di azione di molte delle cose che si faranno non può essere che europeo.
Il menu degli argomenti di cui occuparsi è così ricco da fare venire le vertigini: basterebbero quelli già citati, ma occorre aggiungere anche le implicazioni e le conseguenze di DSA e DMA (Digital Services Act, Digital Markets Act) che in Europa avranno lo stesso ruolo del GDPR per quanto riguarda l’assetto e la competitività sui mercati; il ruolo delle infrastrutture digitali, delle piattaforme e della “platform economy”; lo sviluppo e la gestione dei dati e delle banche dati, anche alla luce dell’avvento dell’Internet of Things; l’intelligenza artificiale, il 5G e il ruolo degli strumenti digitali nello sviluppo dell’economia circolare; i modi virtuosi di gestire il ciclo dell’innovazione e le continue ondate di nuova tecnologia che si susseguiranno; la gestione delle transizioni negli equilibri competitivi, a livello geografico o di settore; l’efficacia nei processi di trasferimento tecnologico compresa l’adozione da parte del pubblico (in particolare cittadini e PMI); il ruolo dell’energia sostenibile, l’impatto del “bill energetico” del digitale; la geopolitica digitale.
I prossimi step
La Fondazione nei prossimi mesi avvierà il dialogo con gli stakeholder a tutti i livelli, per mettere a fuoco questi temi, decidere le priorità e avviare i primi cantieri. Tra questi stakeholder ci saranno sicuramente le autorità pubbliche e la politica, ma anche le aziende private, gli individui, tanto più se autorevoli e dotati di competenze distintive, altre fondazioni, enti e think tank. La dimensione sarà quella di una serrata attività relazionale cui si assocerà in parallelo una robusta attività scientifica, sostenuta da un autorevole Comitato Scientifico.
L’appuntamento è nelle occasioni che verranno create dalla Fondazione: scritti, white paper, convegni, dibattiti, festival, opportunità di networking, progetti di ricerca e così via.
Tutte le informazioni, le attività e le possibilità di partecipazione al percorso.