L’avvento del digitale e l’attenzione verso nuovi modelli di città e comunità “intelligenti” ripone al centro del dibattito il tema dell’innovazione– come innovare nell’era del digitale? I paradigmi economici che hanno governato i processi economici negli ultimi 50 anni sono stati messi duramente in discussione dalla globalizzazione, per via dell’accresciuta convergenza di tecnologie e settori, e abbassamento della vita media dei prodotti. Da qui la necessità di continuare ad innovare per rimanere competitivi e non farsi risucchiare dal cambiamento.
Ma se le aziende hanno e stanno innovando anche nel modo di fare innovazione, facendo leva non solo sulle idee generate internamente ma soprattutto su partner esterni secondo il concetto di Open Innovation, il pubblico, nonostante la recente spinta data dal modello smart cities, rimane fondamentalmente agganciato a modelli obsoleti di innovazione, principalmente processi di service/products procurement ingabbiati da procedure burocratiche.
Ma come innovare facendo leva su competenze diffuse? Abbiamo modelli che possono essere presi ad esempio e fornire format per sperimentare che vadano oltre il modello del bando pubblico e procurement pubblico-privato? Un format di open innovation che si sta dimostrando particolarmente efficace nel settore privato e che potrebbe essere “esportato” e testato nel pubblico è quello degli innovation contests, gare a premi, spesso monetari, per cercare soluzioni a problemi complessi che richiedono idee “out-of-the-box”, fuori dal seminato. Il fenomeno ha assunto tale rilevanza che sono nate piattaforme dedicate come InnoCentive che aiuta le organizzazioni ad ingaggiare talenti per risolvere i problemi specifici che vengono pubblicati sulla piattaforma, e che annovera tra i suoi clienti enti come la NASA. Il governo americano ha abbracciato i contests a partire dal 2010, quando l’amministrazione Obama ha varato “The America Competes Reauthorization Act” che concede alle agenzie federali ampi poteri per usare premi e contests.
E in Italia? Il settore privato ha iniziato a sperimentare questo nuovo modello di innovazione con nuovi format interessanti. Tra questi, il “Blue Wave”, realizzato da AzzurroDigitale (Jacopo Pertile, coautore di questo articolo è cofondatore, Ndr.), società di consulenza strategica digitale. Un format della durata di 24h in cui diversi team di professionisti con competenze trasversali, si sfidano tra loro per ideare progetti, sviluppare prototipi o seminare idee di grande valore per le aziende partner. Il format prevede alcuni ingredienti che lo rendono di grande valore sia per le aziende partner che per i partecipanti.
I partecipanti al Blue Wave hanno l’occasione di avvicinarsi ad una metodologia di approccio al problema sviluppata dal Blue Wave Lab, progetto di ricerca neuroscentifica realizzato da AzzurroDigitale e da Cimba, la business school della University of Iowa che ha in Veneto uno dei suoi principali centri di ricerca a livello globale. Il processo abbina il design thinking (metodologia di lavoro nata negli Stati Uniti incentrata sulla persona, finalizzata ad aiutare le aziende a risolvere problemi trovando soluzioni che mutino la user experience) ad una metodologia proprietaria finalizzata ad accrescere le performance e incrementare le soluzioni creative. AzzurroDigitale poi sceglie i talenti che partecipano al Blue Wave. L’obiettivo è duplice: i partecipanti sono selezionati insieme ai partner del progetto (CUOA, Scuola Italiana di Design, CIMBA business school, Università di Padova e Venezia e AIESEC) per creare team sinergici e con competenze trasversali di alto livello.
I talenti scelti hanno la possibilità di mettersi in gioco, confrontandosi e lavorando con colleghi mai visti prima ma con competenze hard e soft di primo livello. Infine grazie all’ausilio dei consulenti strategici di AzzurroDigitale, i team coinvolti sono guidati durante il lavoro. L’obiettivo è quello di focalizzare il lavoro dei diversi team sulla base delle esigenze dell’azienda partner al fine di realizzare output ad alto valore aggiunto. Il ruolo dei consulenti è di primaria importanza poichè sono da supporto ai team fungendo da facilitatori e allo stesso tempo sono in grado di trasmettere la metodologia del Blue Wave Lab.
Questo format ha già generato i primi frutti. Il Gruppo Carraro, leader mondiale nei sistemi per la trasmissione di potenza altamente efficienti ed ecocompatibili, ha sposato per primo il format nel passato settembre. Quattro team di giovani talenti si sono “sfidati” su progetti per applicare le nuove tecnologie digitali alla manifattura meccanica tradizionale per costruire il trattore agricolo del futuro. La prima edizione del “Carraro Blue Wave” è stata vinta dal team che ha proposto il trattore “green e smart” a trazione elettrica, dotato di sensori hi-tech e cruscotto digitale, con la capacità di mettere in rete i dati in tempo reale. Nelle parole di Stefano Image, Business Head di Carraro Tractors, “il Blue Wave ha rappresentato un’ottima opportunità di raccogliere idee fresche e non provenienti da ambiti tradizionali, su come può essere concepito il trattore del prossimo domani… Abbiamo deciso di non chiederlo agli addetti ai lavori perché attraverso il Blue Wave abbiamo vagliato un punto di vista completamente diverso da ciò che potrebbe altrimenti risultare ovvio”.
Appunto, un contest per pensare fuori dagli schemi tradizionali ed innovare, riducendo i costi e massimizzando la resa. Proprio ciò di cui il pubblico ha sempre più bisogno. Un format di open innovation tipo il Blue Wave potrebbe magari consentire alle varie città ed enti pubblici non solo di innovare, ma di raggiungere gli obiettivi posti dall’agenda digitale in tempi e costi minori, probabilmente con risultati migliori e con un impatto economico e sociale superiore grazie al maggiore ingaggio di startup, aziende e competenze diffuse sul territorio.