In molti sostengono che il “metaverso”, così come immaginato e descritto da Neal Stephenson nel romanzo Snow Crash del 1992, somigli poco a quello “reale” lanciato da Meta e in corso di sviluppo. Al contrario, a differenza di definizioni più corrette ma piuttosto ermetiche come quella di Matthew Ball (Metaverso, Garzanti, 2022), penso che la storia di Stephenson ci restituisca un’immagine piuttosto suggestiva del suo funzionamento e delle sue potenzialità, se non pretendiamo definizioni tecniche e rigore di linguaggio.
Il futuro dell’istruzione nel metaverso: sfide e opportunità
Il programma Vagone FMD
Snow Crash, con una certa dose di fantasia e immaginazione, ci accompagna in un’esperienza molto vicina a quella che da qualche mese stiamo facendo con il programma Vagone FMD a Binario F insieme a Meta, esplorando, muniti di visori, le potenzialità del Metaverso. In un viaggio tematico a tappe, dal turismo alla salute, stiamo entrando anche noi nella nuova dimensione di Internet, come “rete interoperabile e su larga scala di mondi virtuali tridimensionali rappresentati in tempo reale” (nella definizione di Matthew Ball), per capire come può cambiare la riabilitazione di un paziente con disabilità, la preparazione di un intervento chirurgico delicato, la promozione turistica di un territorio.
Nel nostro caso non ci accompagnano personaggi eccentrici, come nel romanzo di Stephenson, ma esperti che con il loro team stanno sviluppando possibili applicazioni e testando le prime soluzioni elaborate. Non indossiamo occhialoni ma impariamo a guardare con i visori Meta Quest 2 e a coordinare i movimenti delle mani tra spazio reale e virtuale con speciali manopole. Con questo primo esercizio, che all’inizio ci rende molto goffi e ci fa sentire quasi inetti a cimentarci con nuove tecnologie in dimensioni inedite, capiamo cosa vuol dire lo slogan scelto da Meta nei vari spot: “il metaverso è uno spazio virtuale, ma il suo impatto sarà reale”. Appena riusciamo a recuperare un sufficiente coordinamento facciamo il nostro primo ingresso in una workroom, che qualcuno ha già arredato per noi. Così come, al momento, sono predefiniti gli avatar, i nostri doppi digitali, con cui ci avventuriamo in uno spazio classe, sediamo in una tavola rotonda o partecipiamo a una sessione di lavoro collaborativo con altri colleghi. La workroom è solo un assaggio del metaverso, una prima dimensione che ci permette di familiarizzare con i vari comandi e di gesticolare in modo appropriato per ottenere ciò che desideriamo fare.
Esperienze immersive per cogliere le potenzialità del metaverso
Quello che mi preme sottolineare di questa esperienza è la sua originalità: per la prima volta utenti diversi, per competenze e ruolo professionale, possono sperimentare una tecnologia mentre è ancora in fase di sviluppo e condividere impressioni, suggerimenti ma anche preoccupazioni. Infatti, secondo Vincenzo Cosenza, che ha creato Osservatorio metaverso, solo tra dieci anni saremo in grado di giudicare una tecnologia matura e capire se la sfida è stata vinta. Intanto, a differenza di altre tecnologie, il metaverso non ci sta cogliendo impreparati. Abbiamo l’opportunità, con esperienze immersive, di maturare le giuste competenze per usarne al meglio le potenzialità quando il metaverso diventerà pervasivo e sostituirà il nostro vecchio modo di navigare in rete. La sfida più importante, come nella realtà, è quella educativa, la capacità cioè di costruire uno spazio inclusivo per tutti.
I modelli di interazione
Uno degli aspetti che crea più preoccupazione è proprio quello che riguarda i modelli di interazione. Massimo Canducci in Vite aumentate (Franco Angeli, 2021) ci propone un esempio molto efficace. Ci ricorda come ci sembravano strane le prime persone dotate di cellulare, che vedevamo parlare “da sole” in fila al supermercato, in una sala di attesa o sul treno. Adotteremo lo stesso schema comportamentale e, dotati di smart glass eleganti e poco invasivi, trascorreremo il nostro tempo nel metaverso anche in pubblico tra le altre persone? Collegati al web da mini schermi nascosti negli occhiali ci sembrerà di essere dotati di superpoteri in grado di attraversare senza soluzione di continuità lo spazio tempo tra virtuale e reale?
Canducci ci ricorda che “sarà assolutamente necessario fare in modo che questi modelli di interazione non si trasformino in disturbi comportamentali e che le applicazioni presenti in questi dispositivi non siano studiate per causare dipendenze, ma per fornire servizi utili agli utenti”. E aggiunge “Per gestire al meglio questa sensibile variazione nei comportamenti delle persone, dobbiamo fare tutto il necessario per godere dei vantaggi di questa trasformazione, mitigandone il più possibile i rischi”. Canducci non è un professionista dell’educazione ma è chief innovation officer del Gruppo Engineering. Mi sembra di poter dire che finalmente anche le grandi aziende tecnologiche stanno sviluppando sensibilità e responsabilità e la capacità di dialogare con un linguaggio comune anche con il settore educativo e il mondo non profit. Così come al livello europeo sono in corso di sviluppo documenti che richiedono obblighi di accessibilità per i servizi digitali, compreso il metaverso. Come si può rendere l’eduverso accessibile anche alle persone con un basso livello di alfabetizzazione digitale, con disabilità o che vivono in contesti con scarsa connettività? Il metaverso potrebbe contribuire a rendere la società più accessibile, aiutando ad esempio le persone a superare limitazioni fisiologiche.
Conclusioni
Noi continuiamo ad alimentare questo dialogo con un programma di attività coinvolgenti per dare la possibilità a policy maker e stakeholder di esplorare in prima persona come funziona il metaverso e di verificarne possibili applicazioni in più ambiti, soprattutto di pubblica utilità.
In altre parole sul metaverso ci interessa maturare un’intelligenza collettiva, capace di prendere le decisioni giuste e sviluppare applicazioni utili anche per gli utenti più fragili. La sfida è l’educazione personalizzata, ma per realizzarla dobbiamo colmare il divario di conoscenze sull’intelligenza artificiale. Perché modelli di IA sono necessari per supportare la creazione dei mondi virtuali immersivi, dove agiscono gli avatar.
Sarebbe un errore imperdonabile concentrarsi soprattutto su realtà virtuale e mista, lasciando irrisolte le sfide cruciali aperte dalle applicazioni di intelligenza artificiale soprattutto per la formazione. Dai nostri incontri a Binario F emergono tre parole chiave: personalizzazione, immersione multisensoriale e interoperabilità. Sicuramente vanno declinate con intelligenza, anche artificiale.