il punto di vista

Fusione Facebook, WhatsApp, Instagram: la miopia Ue e il requiem per la democrazia

La libertà di stampa dipende dall’accesso alla pubblicità e se la pubblicità viene fagocitata da Google e Facebook, il pluralismo va a farsi benedire e la comunicazione rischia di appiattirsi al livello di chiacchiericcio. Un rischio che la Ue ha clamorosamente sottovalutato quando diede l’ok alla fusione Facebook-Whatsapp

Pubblicato il 23 Apr 2019

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

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Entro l’anno, senza dubbio, sarà realizzata l’integrazione tra Facebook, Instagram e Whatsapp (il recente down delle piattaforme potrebbe essere legato proprio a “problemi tecnici” legati alle prove di integrazione), e sarà una ulteriore incontrastata concentrazione di pubblicità nella mani del colosso guidato da Mark Zuckerberg.

Vediamo perché questa unione non rappresenta una buona notizia per il pluralismo dell’informazione e la democrazia deliberativa.

La fusione (e la miopia della Commissione Ue)

E’ lo stesso Mark Zuckerberg a guidare la sua azienda verso la fusione delle basi dati dei tre principali servizi social di Facebook Inc. Pare che ciò sia una delle ragioni dell’abbandono, a settembre, del Ceo di Instagram Kevin Systrom e del Cto Mike Krieger. La piattaforma ha un miliardo di account mensili che passano poco meno di un’ora al giorno (quasi come gli utenti di Facebook) sulla piattaforma. E’ quindi in grado di generare oltre 8 miliardi di dollari di fatturato.

Anche Jan Koum e Brian Acton, fondatori di Whatsapp, ceduta a Facebook per 19 miliardi di dollari nel 2014, forse si sono scontrati con Zuckerberg sulla valorizzazione pubblicitaria della piattaforma di messaggistica, da realizzare attraverso l’integrazione degli account.

Certamente la Commissione Europea nel 2014 non si oppose all’integrazione WhatsApp-Facebook, sulla base di varie considerazioni discutibili. La Commissione insisteva sulla differenziazione tra mercato mobile e mercato fisso, sia nella messaggistica, sia nella ricerca. In particolare la Commissione ritenne che, non avendo Whatsapp una base dati degli utenti ricca di informazioni per la profilazione e non avendo, come d’altronde Facebook Messenger all’epoca, alcuna pubblicità, non vi erano problemi di eccesso di concentrazione sul mercato della pubblicità on line, anche perché, “Facebook non vende i dati degli utenti né fornisce servizi analitici a terze parti, come prodotto in sé separato dallo spazio pubblicitario in sé”.

La grande abbuffata dei profili Facebook

Il 17 marzo 2018 il Guardian e pochi giorni dopo il New York Times pubblicavano gli articoli sulla violazione di 50 milioni di profili Facebook da parte di Cambridge Analytica, società legata a Steve Bannon quando era consigliere della campagna elettorale di Donald Trump.

Quello che é successo non è una violazione dei dati, ma una violazione della fiducia, ha suggerito Zuckerberg (uscendo dal lungo silenzio successivo alla denuncia della violazione ndr.)…Questo appello alla fede degli utenti di Facebook nella migliore interpretazione ricorda un infame scambio registrato dai primi giorni di Facebook ad Harvard, quando Zuckerberg era in conversazione con un amico:

Zuck: Sì, quindi se hai bisogno di informazioni su qualcuno a Harvard, basta chiedere. Ho oltre 4.000 e-mail, immagini, indirizzi, SMS.

Amico: Cosa? Come hai fatto?

Zuck: La gente me le ha date. Non so perché. Si fidano di me. Coglioni!” (Tim Adams, The Guardian, Sat. 24 March 2018 21.11).

Le difficoltà tecniche (risolvibili) dell’integrazione

Torniamo indietro. La Commissione europea in vista della fusione Facebook-WhatsApp, temeva una eccessiva concentrazione nei social network ed alcuni degli esperti e operatori la avevano avvertita: “Le terze parti hanno affermato che sarebbe relativamente facile per Facebook implementare questa integrazione (la comunicazione tra le piattaforme) dal punto di vista tecnico”. Ma la Commissione fu tranquillizzata dalla notifica di Facebook che oltre alle difficoltà di far corrispondere le user name (quindi ci stavano già lavorando!) vi erano significativi ostacoli per far comunicare le piattaforme, dovuti all’architettura diversa di Facebook e di Whatsapp, tra cui il fatto che la prima è in cloud e la seconda no (Article 6(1)(b) NON-OPPOSITION Date: 03/10/2014 In electronic form on the EUR-Lex website under document number 32014M7217 par. 138).

La svista della Commissione, in termini di valutazione dell’impatto sul grado di concentrazione dei social network fu clamorosa, anche perché non considerava in alcun modo l’effetto di spiazzamento che le economie di rete producono sul mercato pubblicitario, che non è separato tra i diversi media, ma intercomunicante, come quello del gas con quello del petrolio. Nel Regno Unito il Commissario alla sicurezza ha condotto indagini sulla condivisione di dati tra Facebook e WhatsApp. E forse Facebook non si era del tutto sbagliata prevedendo che l’integrazione avrebbe comportato difficoltà tecniche.

I recenti down di Facebook, WhatsApp e Instagram

In effetti, il 13 marzo Facebook, WhatsApp e Instagram hanno collassato per 14 ore e domenica 14 aprile, a distanza di un mese, la cosa si è ripetuta per una durata inferiore, prevalentemente in area europea.

Sul sito della casa madre non sono reperibili spiegazioni o comunicati stampa, ma i portavoce si limitano a dire che il problema è in via di risoluzione, e non fanno cenno ad attacchi cyber.

E’ probabile che il problema derivi dall’integrazione delle tre piattaforme, in fase di attuazione e che questi inconvenienti siano legati ai “passaggi tecnici” complessi, inutilmente preannunciati da Facebook alla Commissione.

A rischio pluralismo e democrazia deliberativa?

Non c’è dubbio che entro l’anno l’unione delle tre piattaforme sarà completata, e rappresenterà una ulteriore incontrastata concentrazione di pubblicità nella mani del colosso over the top.

La stampa ha dato un contributo alla democrazia, forse maggiore di quello che ha dato alle dittature. Ciò vale anche per radio e televisione, anche se la radio fu usata dalle dittature della prima parte del ventesimo secolo proprio in antagonismo alla stampa liberale. La libertà della stampa dipende dall’accesso alla pubblicità, come sanno anche coloro che osteggiano la Direttiva europea sui diritti d’autore, in nome delle piccole aziende che vivono sui contenuti altrui.

Se la pubblicità viene fagocitata da Google e Facebook, il pluralismo va a farsi benedire e l’appiattimento della comunicazione sul chiacchiericcio social diventa inevitabile.

Cantiamo pure il requiem per la democrazia deliberativa.

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