automazione del lavoro

“Gamification”: lavorare giocando fa bene, ma attenti a privacy ed effetto “uomo criceto”

Prendono piede negli ambienti di lavoro forme di gamification in cui elementi tratti dai videogiochi vengono usati per insegnare ai lavoratori nuove mansioni o nuove competenze e così migliorare organizzazione, efficienza e produttività. I vantaggi sono molti ma anche i rischi, in primis per privacy e autodeterminazione

Pubblicato il 19 Mag 2021

Daniele Ruggiu

Dipartimento di Scienze Politiche Giuridiche e Studi Internazionali, Università di Padova

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Il processo di digitalizzazione dell’ambiente di lavoro grazie a sistemi di intelligenza artificiale, chatbot, software agent, forme di intelligenza artificiale emotiva comprendenti software per l’affect computing e l’emotion recognition, Big data analytics, scienza degli algoritmi, e soprattutto processi di gamification, è venuto a migliorare enormemente l’organizzazione del lavoro, così come il livello di efficienza e di produttività all’interno delle aziende.

Gamification a scuola: come applicare le meccaniche del game design per stimolare l’apprendimento

Grazie all’introduzione di queste nuove applicazioni delle tecnologie digitali, infatti, il processo di automazione del lavoro negli ultimi anni non è andato solo nel verso della progressiva sostituzione della forza lavoro con le macchine, ma ha incominciato ad usare la tecnologia per avvicinare l’efficienza della stessa forza lavoro a quella della macchina portandola ad essere il perfetto complemento del robot.

Lavorare giocando diventa quindi un modo accattivante per reinterpretare la coesistenza tra macchine e lavoratori quale concreta alternativa ai processi di automazione.

Esistono però alcune perplessità di fondo relative ai condizionamenti impliciti per quanto riguarda la capacità di autodeterminarsi dei lavoratori e il rispetto dei loro dati alla luce del Regolamento Generale Protezione Dati Personali (GDPR).

Proprio attraverso l’implementazione della protezione dei dati personali sin dalla fase di progettazione degli elementi di game design è possibile però avviare un percorso di riappropriazione tanto della propria privacy quanto della propria autonomia rendendo la gamification funzionale sia agli interessi del lavoratore che dell’impresa

Intelligenza artificiale ed emotività sul posto di lavoro

Recentemente, ad esempio, è stata lanciata da un’azienda americana, Cogito, un’applicazione, rivolta agli operatori di call center, in grado di analizzare dal tono della voce e dalle parole usate in una conversazione il livello di stress e quindi correggere l’operatore in modo da essere maggiormente empatico con il cliente (Renda 2021). Poco importa quale sia la giustificazione alla base della situazione di stress, se sia dovuta perché l’operatore è alla fine del turno e non vede l’ora di tornare a casa, o dal fatto che quel giorno non sta bene, o se si è trovato semplicemente ad avere a che fare con un cliente particolarmente scontroso e maleducato.

L’intelligenza artificiale è impostata per aiutarci a “diventare la migliore versione di noi stessi” come recita lo slogan dell’azienda, fornendo standard emotivi a cui il dipendente è chiamato ad adeguarsi.

Il che finisce per rendere paradossalmente artificiale il lato umano dell’operatore facendo saltare quella dicotomia originaria uomo/macchina che sta in fondo alla base della prima e seconda rivoluzione industriale.

Quello dell’intelligenza emotiva è un campo del tutto innovativo nato a partire dagli anni ’90 che si avvale di Big data, intelligenza artificiale, software come quelli per l’affect computing e l’emotion recognition, sistemi di machine learning, per affiancare il lavoro umano al fine di renderlo migliore in termini di efficienza, produttività, efficacia. Alla base sta il riconoscimento della irriducibile componente umana del lavoro e che, se questa non può essere eliminata, quanto meno può essere corretta per meglio integrarsi con le finalità dell’azienda.

L’idea non è più quella di sostituire il lavoro umano con forme di automazione grazie al prodotto sinergico di robotica e intelligenza artificiale che verrebbe poi a soppiantare l’essere umano all’interno dei processi e dei servizi dell’impresa. Come osservato, oggi intelligenza artificiale e intelligenza umana sono complementari e non alternativi.

Si tratta allora di progettare nuove dimensioni di business in cui l’uomo è inserito a pieno titolo all’interno del processo di automazione del lavoro. Anzi il processo di automazione del lavoro viene ad articolarsi tutto attorno all’individuo financo nella sua componente irrazionale ed emotiva che viene acquisita dall’impresa per meglio realizzare le proprie finalità. L’uomo cioè non è più chiamato ad imitare la macchina abbandonando la propria componente irrazionale, la propria emotività. Anzi, queste vengono valorizzate all’interno di questo nuovo modello di business e la tecnologia viene appunto sviluppata proprio tenendo conto della componente umana del lavoro.

Automazione dell’ambiente di lavoro e gamification

Questo emerge in maniera particolarmente emblematica proprio all’interno della gamification quale fenomeno sinergico e complementare nell’ambito del processo di automazione dell’ambiente di lavoro.

Da dieci anni a questa parte nei più vari contesti, dall’ambiente di lavoro, a quello militare, al campo della sanità, al training etc. si è assistito all’introduzione di elementi presi dai videogiochi per raggiungere fini specifici quali, in ambito lavorativo, una migliore organizzazione del lavoro, efficienza e produttività dei propri dipendenti (Deterding et al. 2011).

La gamification serve sostanzialmente a modificare le motivazioni del lavoratore per indurlo a seguire “spontaneamente” determinate buone pratiche che l’azienda individua come strategiche facendogli apprendere nuove competenze, corrette abitudini lavorative, assumere i ritmi di lavoro più convenienti, seguire speciali forme di training, percorsi di aggiornamento, senza però ricorrere a forme di costrizione esterna quali l’applicazione di un sistema sanzionatorio, interventi disciplinari etc. In pratica l’intima e volontaria adesione del dipendente al programma implementato dall’impresa anticipa qualunque intervento correttivo da parte del datore di lavoro.

Nell’ambito della gamification possono essere introdotti avatar, forme di cooperazione o competizione tra gli utenti del gioco, sfide, punteggi per il passaggio di livello, speciali classifiche (leaderboards) in cui si possono seguire i risultati raggiunti e gli avanzamenti di livello etc. (Mavroeidi et al. 2019).

La gamification sperimentata da Amazon

Un esempio ormai noto di gamification si è avuto, a titolo sperimentale, non molto tempo fa in cinque magazzini di Amazon (Besinger 2019). Nei magazzini dell’azienda di Palo Alto sono stati introdotti alcuni programmi che prendono nomi un po’ esotici come MissionRacer, PicksInSpace, Dragon Duel, CastleCrafter etc. in cui il dipendente è in grado di seguire sullo schermo della propria postazione lavorativa la progressione del gioco in cui è impegnato, cioè della mansione che gli è stata affidata. I pacchi, tutti tracciati, possono essere seguiti dal sistema che poi ne condivide gli spostamenti sullo schermo della sua postazione come in una sorta di Tetris in modo che il lavoratore abbia sempre presenti gli avanzamenti dei propri compiti, oppure mostra lo stesso lavoratore o interi reparti in competizione tra loro come se stessero giocando a Donkey Kong o a qualche altro gioco un po’ vintage. Il lavoratore in questo modo si diverte e trae soddisfazione dal raggiungimento degli obiettivi, degli avanzamenti di classifica, dai premi che via via ottiene. In pratica il lavoratore viene spinto ad appassionarsi ai compiti che gli sono stati affidati esattamente come si appassionerebbe quando gioca ad un videogioco, perché proprio sugli aspetti ludici viene ora a basarsi il suo lavoro.

Come la gamification aumenta la soddisfazione del lavoro

La gamification viene di solito utilizzata per alleviare la fatica di compiti ripetitivi, abbassare il livello di stress di mansioni particolarmente impegnative venendo sostanzialmente incontro alle preferenze del lavoratore e alla sua voglia di distrarsi e divertirsi specie di fronte ad attività poco stimolanti. L’introduzione di elementi autopersuasivi porta il datore di lavoro a guidare il lavoratore aumentandone la soddisfazione durante l’esecuzione dell’attività lavorativa (Oprescu et al. 2014). Il datore di lavoro, in questo modo, aiuta il lavoratore a sviluppare in pieno le proprie capacità personali all’interno dei processi produttivi dell’azienda.

Il raggiungimento dei premi ha poi l’effetto di fidelizzare i dipendenti facendo leva sugli stessi meccanismi di dipendenza su cui si basano i videogiochi. Aumentando il benessere personale dei lavoratori si aumenta anche la loro stessa produttività in maniera funzionale al datore di lavoro. Quindi si cerca attraverso meccanismi di feedback di mantenere un certo controllo sul livello di gradimento all’interno dell’ambiente di lavoro delle novità introdotte.

Messa in questi termini, lavorare diventa quasi un gioco con tutto ciò che da questo fatto deriva: divertimento, stress, ma anche quella stessa dipendenza che si può riscontrare nei videogiochi.

I lati negativi della gamification sul posto di lavoro

Il problema però in questi casi sta nel fatto che la fusione tra dimensione lavorativa e dimensione ludica si raggiunge attraverso una progressiva perdita di spazi di autonomia e autodeterminazione da parte del lavoratore (Ruggiu 2021). La soggettività del lavoratore e quella del datore di lavoro tendono in questo modo a fondersi perché il lavoratore è portato a far propri i fini dell’azienda “sentendoli” come suoi stessi fini sposando in pieno il progetto aziendale.

I game design elements vengono così a lavorare sulla capacità di autodeterminazione del dipendente portandolo a modificare le motivazioni che lo spingono ad agire: il lavoratore non esegue più i compiti assegnategli “perché deve”, ma “perché gli piace”. Non solo. Il miglioramento della produttività viene raggiunto in maniera artificiosa facendo leva sul coinvolgimento e la dipendenza propri dei videogiochi spingendo il lavoratore a dare il massimo anche al di là delle sue normali capacità fisiche, psichiche e attitudinali (Griffiths, Meredith 2009).

Attraverso il gioco, infatti, il dipendente viene portato a spingere al massimo le proprie performance lavorative traendo piacere da mansioni altrimenti noiose, ripetitive e particolarmente stressanti arrivando quasi a divertirsi laddove non sarebbe stato mai possibile senza la gamification. Il paradigma vitruviano dell’uomo autonomo e sempre in controllo di sé, al centro del proprio universo, viene, grazie alla gamification, sostituito da quello un po’ meno appetibile dell’“uomo-criceto” dove il lavoratore viene portato a correre, divertendosi, dentro la grande ruota della produzione (Ruggiu 2021).

In altri termini, il lavoratore viene portato a volere e desiderare ciò che altrimenti non avrebbe voluto. Agendo sulle motivazioni intime del lavoratore i game design elements spingono il lavoratore ad ottenere il massimo da sé stesso proprio in contesti noiosi e stressanti in cui non solo sarebbe stato difficile fare di più, ma anche mantenere la propria performance migliorata per un periodo di tempo continuo così come il datore di lavoro richiede. È un po’ come portare il motore di una cinquecento a girare come quello di una formula uno per tutta la durata del gran premio.

Game design elements e doping cognitivo

I game design elements svolgono così una funzione simile al doping cognitivo nell’ambito del moral enhancement (cioè del potenziamento cognitivo delle capacità e della personalità del soggetto).

Questa funzione dei videogiochi a livello psicofisico non è affatto ignota.

Il ricorso ai videogiochi in medicina geriatrica, per esempio, si ha all’interno di programmi di training computerizzati per migliorare l’attenzione, la memoria e le performance cognitive delle persone anziane contrastando le conseguenze dell’invecchiamento (Ten Brinke et al. 2020). Ma vi sono applicazioni anche in ambito militare, dell’aviazione e del cyberspazio per aumentare la reattività e il livello delle performance dei piloti in contesti dove la rapidità della risposta e delle reazioni agli stimoli è essenziale allo svolgimento di una certa missione.

Da questo punto di vista, il processo di automazione dell’ambiente di lavoro non necessita più la propria integrale realizzazione. Non è più necessario sostituire il lavoro umano con quello delle macchine, di sistemi di intelligenze artificiali, di software agents, o chatbot etc. Perché nella misura in cui l’uomo risulta necessario al processo di produzione dell’impresa, allora l’impresa può intervenire direttamente sull’uomo valorizzando appieno gli aspetti umani del suo lavoro (motivazione, divertimento, empatia) per meglio integrarsi con il lavoro automatizzato.

Che bisogno c’è di realizzare integralmente il processo di automazione del lavoro se si dispone di un elemento che per forza di motivazione può eguagliare e a volte superare la macchina in termini di efficienza, sensibilità, comprensione dell’ambiente in cui opera? Meglio a questo punto intervenire direttamente sull’uomo per rendere il suo lavoro più armonico con quello delle macchine. L’uomo, allora, dopo l’intervento della tecnologia risulta il perfetto complemento della macchina, potendo performare, appunto, come se fosse una macchina pienamente efficiente che in più ha fatto propri i fini dell’impresa e li realizza efficacemente grazie ad una certa dose di motivazione e di divertimento che la macchina non potrà mai avere.

Condizionamento ludico e controllo dei dati dei lavoratori

In realtà, il processo di allineamento della soggettività del dipendente con quella del datore di lavoro attraverso un sofisticato meccanismo di condizionamento ludico degli spazi della sua autonomia trova innanzitutto origine nel controllo dei suoi dati che le tecnologie digitali garantiscono. Avatar, classifiche, leaderboard banner, meccanismi di competizione all’interno dell’azienda implicano, chi più chi meno, la raccolta, la conservazione e il trattamento di una gran quantità di dati personali dei lavoratori, che vanno dalla localizzazione, alla registrazione di preferenze, di elementi psicoattitudinali etc. che vengono condivisi con l’imprenditore se non anche con gli stessi colleghi (Mavroeidi et al. 2019). Senza questo impatto sulla privacy nessun condizionamento dell’autonomia del lavoratore sarebbe possibile. Non esiste tecnologia digitale che non si nutra di informazioni e che poi le rielabori per raggiungere un certo livello di produttività. Siano queste informazioni asettiche dell’ambiente di lavoro oppure di chi in quell’ambiente ci sta e ci lavora.

Una volta inserito in un programma di gamification il dipendente viene così a rinunciare al controllo sui propri dati ben prima che alla propria autonomia. Ed è appunto qui che inizia il percorso di condizionamento degli spazi della sua autodeterminazione. Una volta inseriti in un programma di gamificazione i lavoratori non solo rinunciano alla propria privacy, concorrendo a rafforzare la dimensione organizzazionale e produttiva dell’impresa ma rinunciano alla propria dimensione privata lasciando che le proprie preferenze, le informazioni relative alle sue attitudini psicoattitudinali, quelle sulla sua localizzazione entrino del tutto nella disponibilità del datore di lavoro.

Ma se la modificazione della propria capacità di autodeterminarsi inizia, appunto, con la cessione del controllo sui propri dati questo significa anche che riacquistando il controllo della propria dimensione informativa è possibile invertire il processo di condizionamento della volontà del lavoratore avviando un percorso di riappropriazione di sé (empowerment) e dei propri dati (Ruggiu 2021).

Gamification e privacy by design

In altri termini, come capita spesso alle nuove tecnologie, la gamification non è di per sé buona o cattiva ma dipende da “come” viene implementata nell’ambito lavorativo. Esistono diversi livelli di protezione della privacy e dell’autonomia del lavoratore che ad essa è strettamente legata anche nel campo scivoloso della gamification. Dal punto di vista tecnologico è infatti perfettamente possibile realizzare forme di implementazione del “principio di privacy by design” che non a caso sta al centro del Regolamento generale protezioni dati personali (Reg. 679/2016/UE) e si applica anche a questi contesti. Grazie alle tecnologie informatiche il lavoratore oggi può benissimo essere messo sin dalla fase di progettazione nelle condizioni di partecipare attivamente alla definizione dei game design elements scegliendo, attraverso strumenti di feedback, quali introdurre, come introdurli, quali dati debbano far parte del sistema, per quali finalità, quale livello di protezione garantire ai propri dati, e con chi eventualmente intende condividerli.

Non è affatto detto che il fenomeno della gamification debba realizzarsi a scapito della privacy e degli spazi di autonomia dei lavoratori. I lavoratori possono prendere le redini dei processi che li riguardano, se solo il datore di lavoro prima, e gli sviluppatori del software poi, prendono atto che un diverso modo di intendere l’innovazione non solo è possibile, ma anche vincente. L’implementazione della protezione dei dati personali rappresenta la chiave di volta per un diverso approccio più consapevole e responsabile all’innovazione. In questo modo, non è solo possibile dare piena attuazione al Regolamento generale protezione dati personali, ma quanto meno arginare il processo di condizionamento della propria capacità di autodeterminarsi rendendo il lavoratore nuovamente padrone del proprio destino.

* Questo lavoro è stato realizzato nell’ambito del “Progetto: Sistemi di Intelligenza Artificiale, decisioni automatizzate e monitoraggio elettronico sui lavoratori: la tutela della riservatezza attraverso i processi pubblici e privati di implementazione della “Privacy by design” (SIAP)” finanziato dall’Università degli Studi di Padova (codice: BIRD189125/18)

Bibliografia

Bensinger G., 21.05. 2019, ‘MissionRacer’: How Amazon turned the tedium of warehouse work into a game, Washington Post, https://www.washingtonpost.com/technology/2019/05/21/missionracer-how-amazon-turned-tedium-warehouse-work-into-game/

Deterding S., Dan Dixon d., Khaled R., Nacke L., 2011. “From Game Design Elements to Gamefulness: Defining ‘Gamification’ Theory Lenses: Deriving Gameplay Design Patterns from Theories.” Paper presented at the 15th International Academic MindTrek Conference: Envisioning Future Media Environments, Tampere, September 28–30

Griffiths M.D., Meredith A., 2009, “Videogame Addiction and its Treatment.” Journal of Contemporary Psychotherapy, 39: 247–253.

Mavroeidi, A.G., Kitsiou A., Kalloniatis C. 2019. “The Interrelation of Game Elements and Privacy Requirements for the Design of a System: A Metamodel.” In Trust, Privacy and Security in Digital Business, edited by Stefanos Gritzalis, Edgar R. Weippl, Sokratis K. Katsikas, Gabriele Anderst-Kotsis, A. Min Tjoa, and Ismail Khalil, 110–25. Cham: Springer. doi.org/10.1007/978-3-030-27813-7_8.

Renda S., 216.04.021, Può l’Intelligenza artificiale insegnarci a essere più umani? Huffington Post, https://www.huffingtonpost.it/entry/puo-un-algoritmo-insegnarci-a-essere-piu-umani_it_60783301e4b020e576c1af82

Ruggiu D., 2021, L’accordo totale: il sogno segreto della governance e i processi di gamification nell’ambiente di lavoro, Rivista di filosofia del diritto 10(1): 53-72

Ten Brinke L.F., Best J.R., Chan J.L.C., Ghag C., Erickson K.I., Handy T.C., Liu-Ambrose T., 2020, The Effects of Computerized Cognitive Training With and Without Physical Exercise on Cognitive Function in Older Adults: An 8-Week Randomized Controlled Trial., J Gerontol A Biol Sci Med Sci. 75(4):755-763. doi: 10.1093/gerona/glz115. PMID: 31054254.

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