La genealogia genetica si occupa degli studi di parentela e consanguineità di diversi soggetti ed è stata riscoperta come strumento estremamente utile per l’applicazione nel campo forense ed investigativo dopo essere stata introdotta per fini esclusivamente di ricerca. Anzi, in casi estremamente difficili, la genealogia forense è certamente lo strumento analitico-investigativo che può fare la differenza.
Una panoramica sui casi che questa branca della genetica ha contribuito a risolvere (l’omicidio di Yara Gambirasio, ad esempio), e sulle difficoltà di utilizzo nel nostro Paese.
Di cosa si occupa la genealogia genetica
In termini semplici, questa branca della genetica si occupa di calcolare le relazioni e il grado di parentela di due o più soggetti presenti in una data popolazione. Grazie a questo tipo di approccio, che ovviamente si basa su algoritmi e software bio-statistici, è possibile risalire al grado di parentela tra due soggetti, anche se il grado è secondario o terziario.
Con tale metodologia di studio dei dati genetici, comparazione ed analisi bio-statistica, si è infatti in grado di evidenziare se due o più soggetti hanno in comune il “ceppo familiare” di origine: per questo la genealogia genetica è di squisito uso in campo investigativo.
E’ infatti spesse volte accaduto che, su determinati luoghi in cui è stato commesso un fatto reato, viene ritrovato un profilo genetico ritenuto estremamente importante per i fini investigativi.
Le indagini, come noto, sono finalizzate ad identificare il presunto reo di un dato reato. E’ proprio l’identificazione, talvolta, uno dei momenti più difficili del lavoro. Infatti può accadere che, nella cd. “rosa dei sospettati”, nessuno di questi faccia match con il DNA rinvenuto sul luogo del reato.
Ciò, che spesso s’è verificato, sia in Italia che all’estero, rischia di compromettere fortemente l’iter ed il buon esito delle indagini. Infatti, tale situazione, di fatto, fa “scartare” una parte dei soggetti sottoposti ad attenzione per il dato fatto reato, e apre la strada verso “la ricerca di un soggetto ignoto”, di cui si conosce il profilo genotipico, ma non si conosce il nome (perché non presente né tra i sospettati già identificati dalla PG, né nella banca dati del DNA, recentemente istituita in Italia che è anche connessa con omologhe strutture degli altri paesi EU).
Perché la genealogia forense può fare la differenza, anche nei cold case
In casi particolarmente complicati, la genealogia forense può fare la differenza.
Infatti, grazie alle analisi comparative e ai calcoli bio-statistici che si effettuano, è possibile osservare eventuali relazioni di parentela, anche di secondo o terzo grado, tra i soggetti della popolazione sottoposti ad esame genetico (esaminandi) e il profilo genetico della persona ignota di cui si vuole l’identificazione per fini forensi.
Recentemente, in America, tale strumento è stato utilizzato positivamente in molteplici casi. Alcuni di questi hanno anche avuto un fortissimo eco mediatico, anche internazionale.
Il Golden State Killer, uomo reo di 15 omicidi, circa 50 stupri e quasi indeterminate rapine, è stato identificato, catturato e processato nel 2018 proprio grazie all’uso della metodologia della genealogia forense.
Più recentemente, proprio nel giugno del 2019, è stato identificato, catturato e processato William Talbott II, reo di aver ucciso nel 1987 una coppia di giovani canadesi.
E’ stato possibile risalire al Talbott II proprio grazie alla tenacia dei detective impegnati nelle indagini ed all’uso delle moderne tecniche per ri-analizzare i dati scientifici del caso. All’epoca dei fatti, il DNA era una scienza troppo imprecisa per esser correttamente utilizzata a fini investigativo-forensi prima e poi probatori. Oggi, grazie al progresso tecnologico e metodologico, si è in grado di utilizzare tecniche raffinatissime, dalla notevolissima sensibilità e precisione che siano in grado di aiutare gli operatori della Giustizia sia nella fase delle indagini (costituendo le “fonti di prova”) sia nella fase del processo (in cui avviene la formazione delle “prove scientifiche”).
Nello specifico, l’identificazione di Talbott II è avvenuta grazie ad indagini comparative del profilo di DNA del soggetto ignoto con soggetti della locale popolazione scelti a caso (ovvero “random”, per utilizzare termini scientifici). S’è così giunti ad identificare un soggetto della popolazione che, grazie ai calcoli della genealogia genetica, era certamente parte dello stesso ceppo familiare del soggetto ignoto. In particolare, i calcoli bio-statistici stabilivano che vi fosse un rapporto di cuginanza secondaria tra il soggetto sottoposto ad indagine random e il soggetto ignoto.
Avuta tale informazione, le indagini di PG si sono concentrate in modo massivo sulla famiglia di questo soggetto, e di lì ad una settimana è stato identificato Talbott II, il cui DNA è perfettamente compatibile con quello del soggetto ignoto che rilasciò copiose tracce di DNA sul luogo del commesso omicidio.
Grazie a questo nuovo approccio, è stato possibile risolvere un cold case vecchio di 32 anni.
Talbott II è stato recentemente processato per il reato di duplice omicidio. La sua difesa, controllati tramite nominati consulenti di genetica forense i dati scientifici, non ha assolutamente fatto obiezioni circa la piena compatibilità del profilo genetico di Talbott II con quello del “soggetto ignoto” ricercato per 32 anni.
Tuttavia la difesa ha insistito sulla violazione del diritto alla privacy, affermando che, tramite questa metodologia, la privacy dei soggetti (e delle loro famiglie) che vengono volontariamente o coattivamente sottoposti a questo tipo di indagine subisce lesioni gravissime.
La difesa ha rilevato ciò per evidenziare un vizio di natura formale giuridico, per chiedere la nullità di tutte le analisi fatte.
La Corte è stata di parere opposto, giudicando colpevole Talbott II.
Il precedente storico anche in Italia
In Italia nel 2010 avvenne l’omicidio di Yara Gambirasio per il quale è stato definitivamente riconosciuto colpevole Massimo Bossetti, il cui DNA fu individuato sui vestiti della vittima.
L’arresto di Bossetti avvenne solo 4 anni dopo i fatti, in quanto si ritrovò il DNA sui vestiti della vittima, ma era un DNA ignoto, ovvero non appartenente a nessuno dei soggetti allora indagati o sottoposti ad attenzione da parte degli inquirenti.
Per addivenire all’identità di “ignoto 1” si utilizzo appunto una metodologia simile, anche se un po’ più rudimentale, ma sulla stessa falsariga, della genealogia forense.
Infatti, l’identità di Bossetti fu accertata tramite uno screening genetico della popolazione locale che ha portato prima all’identificazione del padre biologico e poi della madre.
Le prospettive applicative della metodologia
Grazie alla genealogia forense si è in grado di aiutare concretamente il sistema giudiziario da un lato agevolando le odierne analisi ed attività investigative, dall’altro, potendo questa stessa metodologia porsi come base fruibile per la riapertura dei “cold case” nei quali venne trovato DNA, ovvero in cui sono ancora disponibili reperti intrisi di tracce biologiche dell’offender, ma che non sono mai stati portati a termine perché le rudimentali e meno evolute tecniche dell’epoca dei fatti non lo consentivano.
Inoltre, tale metodologia è anche di squisito ausilio per quanto riguarda l’istituto giudiziario della revisione processuale. La revisione è la cd “riapertura di un caso chiuso”, in cui, stavolta, il colpevole è stato identificato e condannato definitivamente.
In America, l’Innocent Project ha raccolto infatti la proclamazione di innocenza di molti soggetti, definitivamente condannati per gravi fatti reato in via definitiva e ha disposto analisi ed investigazioni difensive per arrivare a dimostrare la reale innocenza di questi soggetti.
Molti dei casi trattati con successo dall’Innocent Project (oltre 300) sono appunto stati basati sull’uso delle nuove metodologie genetiche che hanno consentito di ampliare il quadro investigativo (seppur a processo chiuso ciò è fattibile per l’esistenza del diritto alla difesa in ogni stato, grado procedimentale e contesto). Spesse volte, proprio dai reperti sono arrivate, grazie alle indagini genetiche, le risposte risolutive per questi casi. Infatti, sfruttando le nuove tecniche genetiche, che oggi consentono di addivenire a risultanze scientifiche valutabili ed apprezzabili, e non all’epoca della commissione del fatto, si sono potuti rilevare dati genetici che, di fatto, hanno dimostrato l’estraneità ai fatti dei soggetti condannati in via definitiva.
Un approccio applicabile anche in Italia
Essendo le metodologie genetiche universali, ovvero valide ed applicabili in qualsiasi paese, è possibile applicare questo approccio anche in Italia.
Da tale applicazione scaturirebbero benefici per il sistema Giustizia italiano e per le garanzie del diritto che offre.
I cosiddetti “corpi del reato” ovvero i reperti, custoditi presso gli uffici corpo del reato delle Procure territoriali competenti, sono la fonte che può portare o a ri-aprire i cold case, o a dimostrare l’effettiva innocenza di soggetti sottoposti a condanna definitiva (come previsto dall’istituto della revisione processuale summenzionato).
Tuttavia, l’attuale prassi italiana in merito è poco promettente. Infatti, spesse volte le Corti giudicanti hanno negato l’accesso ai reperti da parte delle difese a processo chiuso per procedere a sofisticate e moderne analisi di genetica forense, altre volte, i reperti sono scomparsi o addirittura “finiti all’inceneritore” (letteralmente!).
Si evidenzia ciò perché è importante, in scienza e diritto, che le prassi italiane vadano a conformarsi con l’orientamento internazionale, specie per quanto previsto dalla Corte internazionali sui diritti dell’uomo.
Tali innovative metodologie analitiche, utili sia nella fase investigativa che processuale, devono necessariamente utilizzarsi a pieno anche in Italia. Ciò sia per garantire il miglior funzionamento possibile del nostro sistema Giustizia, sia per garantire i diritti riconosciuti dei cittadini, seppur condannati anche definitivamente.