Se è vero che non si può demonizzare la rete per le insidie che vi si annidano, è altrettanto vero che scuola e famiglia hanno il fondamentale compito di farne comprendere i pericoli ai ragazzi, per i quali i dispositivi mobili e i social media rappresentano un importante aspetto esistenziale.
Inutile essere inflessibili, per arrivare al punto è fondamentale il dialogo aperto e sincero.
Educare a un uso consapevole dei nuovi media
I nuovi media consentono relazioni, emozioni, scambio di informazioni senza precedenti rispetto al passato; in questa nuova realtà, complessa e ancora da scoprire completamente, ci si può imbattere in comportamenti e contenuti potenzialmente dannosi, anche perché i ragazzi, pur essendo molto “smanettoni”, sottovalutano o non riescono a cogliere i risvolti legati ai loro comportamenti.
Il Garante della Privacy, già nel 2014 (sembra un’eternità), aveva visto lungo: “Non esistono più barriere tra la vita digitale e quella reale, quello che succede on-line sempre più spesso ha impatto fuori da Internet, nella vita di tutti i giorni e nei rapporti con gli altri.
Proprio per questo nel mondo di Internet è necessario non perdere mai di vista il corretto rapporto tra le nuove forme di comunicazione sociale e la tutela della propria dignità e di quella degli altri”.
Come ha ultimamente evidenziato il Ministro Marco Bussetti, “La tecnologia deve essere un’alleata dell’apprendimento e della crescita dei nostri giovani”. Occorre allora “educare gli studenti a un uso consapevole e corretto di Internet e dei nuovi dispositivi tecnologici. Si tratta di componenti della loro quotidianità, devono imparare a riconoscere opportunità e pericoli, diritti e doveri legati al loro utilizzo”.
Una indagine* realizzata dal consorzio MIUR Generazioni Connesse ha messo in luce che:
- Sette adolescenti su 10 sono iscritti ad un social network già prima dei 14 anni;
- Un solo ragazzo su 16 risulta non essere “connesso” con nessun social;
- Otto adolescenti su 10 utilizzano la chat con la famiglia, o, almeno, con uno dei genitori;
- Quasi 4 giovani su 10 ammettono di non conoscere personalmente almeno la metà degli amici o dei “follower” che hanno sui social;
- Il 68% dei giovani intervistati, almeno una volta, si è imbattuto in un profilo falso;
- Il 25% non si è mai preoccupato della privacy dei propri dati online e il 29% se ne è interessato solo sporadicamente.
La scuola da sola non basta
E’ chiaro che la Scuola da sola non basta: occorre una forte sinergia con le famiglie. In tal senso i genitori devono sforzarsi di comunicare con i loro figli, evitando di adottare regole inflessibili e controproducenti; è fondamentale uno scambio reale e sincero sulle potenzialità e sui rischi di Internet.
Il cyberbullismo, di cui di seguito si analizzeranno alcune sfaccettature, è solo la punta di un iceberg; esistono alcune problematiche che non sono meno pericolose o invasive:
- i siti pro-suicidio e i siti pro-anoressia e pro-bulimia,
- i videogiochi e il gioco d’azzardo online,
- la pedopornografia e l’adescamento online,
- il sexting,
- i rischi legati al commercio online,
- la dipendenza da Internet.
Per fortuna esistono diversi progetti e collaborazioni che si propongono di affiancare sia le scuole che le famiglie. Ad esempio:
- “Generazioni Connesse” è un progetto che promuove strategie finalizzate a rendere Internet un luogo più sicuro per gli utenti più giovani, promuovendone un uso positivo e consapevole.
- “Vivi Internet, al meglio” è un corso redatto da Telefono Azzurro e Google per aiutare a fornire agli studenti suggerimenti e buone pratiche per navigare in rete consapevolmente.
Sia chiaro che non si deve assolutamente passare a una demonizzazione di Internet o dei social media.
E’ come se si volesse incolpare il motore a scoppio degli incidenti d’auto o prendersela con l’inventore della schedina perché esiste la ludopatia.
Cyberbullismo
E’ ormai noto che il termine “cyberbullismo” stia a indicare un insieme di azioni aggressive e intenzionali, eseguite singolarmente o in gruppo, utilizzando strumenti elettronici, con lo scopo di recare danno a una persona che non può facilmente difendersi.
In realtà tale tipo di violenza si può attuare in molteplici modi:
Cyberstalking: è, forse, il comportamento criminale tipico del cyberbullismo; tramite la rete vengono perpetuati atti offensivi e molesti in maniera insistente e intimidatoria, fino a portare la vittima addirittura a temere per la propria sicurezza fisica; è facilmente riscontrabile nell’ambito di relazioni molto conflittuali tra coetanei e soprattutto nel caso di rapporti sentimentali interrotti bruscamente.[2]
Flaming: scambio di messaggi pubblici violenti e volgari tesi a provocare una lite online o per deridere una persona.
Harassment: il molestatore invia ripetutamente, a una persona specifica, messaggi denigratori, offensivi, sgradevoli e a volte volgari, provocando disagio emotivo e psichico; simile al flaming, ma i messaggi sono privati.
Denigration: inviare o pubblicare pettegolezzi, dicerie o immagini compromettenti per danneggiare la reputazione della vittima.
Impersonation: violare l’account di qualcuno allo scopo di inviare messaggi o pubblicare post a suo nome per danneggiarne la reputazione o crearle problemi.
Outing and Trickery: consiste nella pubblicazione di materiale intimo e privato (outing) carpito ingannevolmente (trickery) grazie alla fiducia ottenuta nei confronti della vittima.
Exclusion: escludere intenzionalmente un utente da una cerchia virtuale (chat, forum, giochi interattivi) al fine di ridurne la popolarità. A volte si usa anche il verbo bannare e ha la finalità di punire il soggetto limitandone i collegamenti amicali.
Happy slapping: mentre una persona viene schiaffeggiata, altri riprendono la scena per poi diffonderla tramite i social; la vittima, oltre alla violenza fisica, deve sopportare anche quella morale a causa delle condivisioni.
Knockout Game: simile all’Happy slapping, consiste nel colpire violentemente qualcuno (anche uno sconosciuto) in un luogo pubblico con un pugno (Knockout) e successivamente pubblicare il filmato nei social network, con lo scopo di ottenere un gran numero di visualizzazioni, voti o commenti.
Cyberbashing: alla stessa stregua dei precedenti, si basa su una serie di molestie fisiche, anch’esse riprese e condivise sui social, con la possibilità anche di commentare o addirittura votare l’atto.
Stripnomination: consiste nel selezionare una persona destinata a spogliarsi in un luogo pubblico al fine di produrre un video da condividere sui social.
Baiting: è un comportamento che si focalizza sui neofiti all’interno di ambienti virtuali di gruppo, accanendosi con discussioni aggressive, insulti e minacce a causa di loro errori e insicurezze; in rari casi il fine è persuadere la persona prescelta addirittura a suicidarsi (suicide baiting).