La carenza di competenze e consapevolezza digitale della popolazione italiana, rappresenta un problema sociale, economico, di diritti e di democrazia per cui, come sottolinea anche il recente rapporto Censis, la mancanza di conoscenze di base “rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”.
La maggioranza della popolazione italiana non possiede competenze digitali di base, ci si auspica che la prossima rilevazione Istat del 2025 attesti i miglioramenti e i primi impatti delle azioni in corso, tra cui la diffusione dei Punti Digitale Facile.
E i giovani? La realtà è meno felice di quello che di solito si immagina.
I dati Censis
Particolare attenzione merita la regressione della fascia 16-19 anni: la quota di popolazione di questa fascia di età con competenze digitali almeno di base è infatti diminuita di un punto percentuale dal 2021 al 2023.
Da un lato mette in dubbio l’aspettativa di un impatto importante del cosiddetto “shift generazionale” (l’impatto dovuto alla sostituzione progressiva nell’intervallo di rilevazione di popolazione anziana con popolazione giovane), dall’altro pone sotto i riflettori l’adeguatezza del sistema di istruzione nel formare giovani con competenze sempre più avanzate e in linea con le richieste di una società sempre più pervasa dal digitale.
D’altra parte, poiché sappiamo che uno dei fattori principali di correlazione con i livelli di padronanza delle competenze digitali è il livello di istruzione, l’attenzione aumenta nell’analisi dei dati sul sistema scolastico contenuti nel citato rapporto Censis: “non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano: il 24,5% degli alunni al termine delle primarie, il 39,9% al termine delle medie, il 43,5% al termine delle superiori (negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente all’80,0%). In matematica: il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie e il 47,5% alle superiori (il picco si registra ancora negli istituti professionali, con l’81,0%)”.
Ci sono però dei dati, relativi alla popolazione di 13-14 anni, che credo si possano leggere come una prima tendenza positiva in termini di progressione e miglioramento, anche se comunque in un contesto di ritardo e di forti differenze territoriali.
Le competenze digitali dei ragazzi: l’indagine ICILS
Mi riferisco, in particolare, all’indagine ICILS (International Computer and Information Literacy Study), che valuta le capacità dei ragazzi del terzo anno della scuola secondaria di primo grado di utilizzare le tecnologie in modo produttivo, andando oltre un uso di base, in relazione a scopi diversi e alle opportunità crescenti che la cittadinanza digitale apre ai giovani. L’indagine ICILS 2023 è la terza, dopo quelle del 2013 e del 2018.
L’indagine misura in particolare due aspetti delle competenze digitali:
- la Literacy digitale (CIL – Computer and information Literacy), relativa alla capacità degli studenti di utilizzare il computer, di raccogliere e di produrre informazioni, di comunicare attraverso le nuove tecnologie
- il Pensiero computazionale (CT – Computational Thinking), relativo alla capacità dei ragazzi di utilizzare i processi mentali per definire le diverse operazioni necessarie per risolvere un problema su un computer o su un dispositivo digitale
A livello internazionale, hanno partecipato all’indagine più di 130.000 studenti dell’ottavo anno scolastico, più di 60.000 insegnanti e oltre 5.000 scuole.
La valutazione dei risultati delle prove che devono effettuare gli studenti è stata articolata su quattro livelli, correlati ciascuno a un insieme di conoscenze e abilità che gli studenti dovrebbero possedere per rispondere correttamente alle prove di competenza digitale afferenti a quel livello. Ciascun livello è stato associato a un intervallo di punteggi conseguiti: livello 1 (408-492 punti); livello 2 (493-576 punti); livello 3 (577-661 punti) e livello 4 (almeno 662 punti). Circa i due terzi dei punteggi sono associati agli ambiti delle competenze digitali “Raccolta di informazioni” e “Produzione di informazioni” e un terzo agli ambiti “Comprensione dell’uso del computer” e “Comunicazione digitale”.
Il punteggio medio internazionale nella scala CIL per il 2023 è stato di 476 punti. Gli studenti italiani hanno raggiunto un punteggio medio pari a 491 (livello 1) sulla scala di CIL, significativamente superiore a quello medio internazionale, anche se leggermente inferiore a Paesi come Spagna (495), Francia (497) e Germania (501) con una media di livello 2.
Nel nostro contesto nazionale è importante rilevare però, oltre il valore conseguito, anche i progressi registrati: infatti, fra tutti i Paesi, l’Italia, con una differenza di 30 punti, ha fatto registrare il più ampio miglioramento rispetto al ciclo del 2018 (461 nel 2018 e 491 nel 2023).
L’analisi dei dati italiani
Dall’analisi dei dati italiani emergono:
- un problema territoriale, poiché più della metà degli studenti del Nord Ovest, del Nord Est e del Centro raggiunge almeno il livello 2, mentre quasi la metà degli studenti del Sud e circa un quarto degli studenti del Sud Isole si collocano almeno a tale livello;
- un problema di genere, con prestazioni significativamente migliori da parte delle studentesse, poiché si conferma quanto osservato dalla rilevazione Istat 2023 sulle competenze digitali della popolazione italiana, e cioè che nella fascia 16-19 il ritardo è essenzialmente legato alle carenze della popolazione maschile. In quasi tutti i Paesi partecipanti, infatti, le ragazze hanno ottenuto punteggi significativamente superiori dei ragazzi in CIL. In media tra i Paesi, nella scala CIL, le studentesse hanno ottenuto 486 punti, mentre gli studenti maschi hanno ottenuto 467 punti, con una differenza statisticamente significativa di 19 punti. Questo avviene anche in Italia, dove la differenza di genere è molto a favore delle femmine che ottengono il punteggio medio di 500 punti contro 482 dei maschi, con un vantaggio di 18 punti sulla scala. Nei risultati disaggregati per macroarea geografica, la differenza a favore delle femmine è in tutte le aree geografiche ad eccezione del Nord Ovest, dove la differenza non è statisticamente significativa.
Se consideriamo il secondo aspetto misurato, il pensiero computazionale, si conferma in generale la carenza diffusa di competenze specialistiche ICT che si rileva nella popolazione over 16, così come le correlate differenze di genere, con un importante ritardo della popolazione femminile.
In particolare, il punteggio medio degli studenti a livello internazionale sulla scala CT è stato di 483 punti e l’Italia, con un punteggio di 482 (livello 1), si colloca in linea con la media internazionale, con un risultato non significativamente diverso di quelli di Paesi come Austria, Germania, Norvegia, Portogallo e Svezia. In media, nei Paesi partecipanti, il 66% degli studenti si colloca almeno al livello intermedio 2 della scala CT.
Nell’analisi dei dati italiani sono da considerare i due problemi evidenziati anche nella rilevazione sugli ambiti CIL, e in particolare che
- c’è una notevole differenza territoriale. Infatti, il 69% degli studenti si colloca almeno al livello 2, ma si riscontra un notevole divario tra gli studenti del Nord Ovest e del Nord Est, che hanno ottenuto risultati significativamente superiori rispetto alla media nazionale di 482 punti (rispettivamente 504 e 502 punti, in linea con i punteggi di paesi come la Danimarca), e i loro coetanei del Sud Isole che registrano risultati significativamente inferiori (423 punti).
- a livello internazionale, i maschi ottengono un punteggio superiore delle femmine, anche se non elevato, e questo succede anche in Italia, con sette punti di differenza (maschi 485 vs femmine 478), con una punta nel Nord Ovest dove la differenza sale a 21 punti.
Dal punto di vista dei fattori di correlazione in Italia appare prevalere la relazione tra i risultati degli studenti e delle studentesse e il numero di libri a casa: la differenza di punteggio in CIL per chi ha meno di 26 libri e chi ne ha 26 o più è di 40 punti, ed è ancora maggiore in CT.
Proattività ed educazione digitale in pratica
In questo quadro, che denota certamente dei segnali positivi, credo siano da segnalare alcune iniziative che vanno nella direzione di sviluppare le competenze trasversali degli studenti e, al contempo, di individuare dei percorsi di apprendimento significativamente basati sulla proattività.
Segnalo in particolare tre esempi, che hanno in comune l’applicazione dello schema del gaming, della sperimentazione e della competizione come leva per esplorare nuove modalità di apprendimento in ambito di educazione digitale:
- il Debate. Saper(e)Consumare Debate League è l’edizione pilota di un torneo rivolto alle scuole secondarie di I e II grado, costituito da una serie di sfide utili ad allenare le competenze trasversali di studenti e studentesse (la composizione delle squadre segue rigidamente alla parità di genere) e approfondire, al tempo stesso, temi connessi alla cittadinanza digitale e al consumo consapevole. In questo modo si incentiva il confronto fra pari, creando uno spazio virtuale e fisico di dialogo tra comunità scolastiche, attraverso l’uso di una metodologia didattica innovativa come il Debate, stimolando l’approfondimento sui temi trattati e, per quanto riguarda l’educazione digitale, dalle fake news all’intelligenza artificiale;
- l’Hackathon, come metodo non estemporaneo di sperimentazione e dialogo tra esperienze, applicato a contesti anche disagiati di costruzione di un tessuto di comunità e integrazione, di cittadinanza in senso proprio, attraverso un pieno e consapevole utilizzo delle potenzialità e opportunità del digitale. In questo senso un esempio molto ricco e di grande valore viene dalle esperienze dell’Epale edu hack, in ambito di Erasmus+, ad esempio con i progetti dei team multietnici degli studenti dei Centri per l’istruzione degli adulti (CPIA);
- esperienze di sperimentazione diretta di messa in pratica delle capacità digitali, come quelle proposte nell’ambito del progetto Connessioni Digitali. Il progetto biennale ha coinvolto 99 scuole secondarie di primo grado in 56 città di 17 regioni d’ Italia, con più di 1000 docenti e un totale di 5.843 studentesse e studenti tra i 12 e i 14 anni coinvolti. I ragazzi e le ragazze coinvolte hanno realizzato prodotti di comunicazione digitale basandosi sulle loro esperienze, imparando ad utilizzare le tecnologie in modo consapevole e migliorando il loro attivismo civico, grazie alla creazione di un’aula-ambiente di apprendimento creativo (sono state create 80 newsroom) con materiali e dotazioni tecnologiche per la creazione dei contenuti degli studenti e studentesse.
Riflessioni per il (prossimo) futuro
Le carenze di competenze digitali e di consapevolezza, che sono in gran parte legate a fattori di carenza di istruzione e culturale, oltre che di disagio sociale, sono da affrontare in generale in un approccio organico al sistema di apprendimento permanente, ma prima di tutto nel ciclo di istruzione, perché la scuola è certamente il luogo dove prima di tutto può essere combattuta la diseguaglianza culturale e sociale e l’esclusione digitale e sociale.
Ci sono senz’altro timidi segnali di miglioramento nella fascia 13-14 anni che devono portare a un’attenzione particolare nel sostenerli, prima di tutto nelle scuole superiori, dove i dati non sono positivi e dove parrebbe (dai risultati delle rilevazioni Istat e PISA) che l’approccio didattico non sia del tutto coerente con le modalità e gli stili di apprendimento degli studenti in un contesto di “società onlife”.
D’altra parte, gli impatti misurati sui progetti di esperienza diretta, come quelli che ho citato ad esempio, mostrano che questa via consente di andare oltre la conoscenza dei temi connessi al digitale, consentendo l’acquisizione di reale padronanza di competenze digitali e di consapevolezza, nel senso duplice di capacità di comprensione critica e di predisposizione a un atteggiamento proattivo verso il contesto di comunità sociale.
Esperienze che credo sia necessario sviluppare come azioni di sistema, approccio strutturale per lo sviluppo delle competenze necessarie prima di tutto della generazione Z, che forse non è stata supportata adeguatamente (probabilmente anche per il falso mito dei “nativi digitali”). Sapendo che questo richiede un cambiamento, profondo, e una consapevolezza, diffusa prima di tutto in educatori e decisori.