Nel 2021 ci illudiamo di conoscere la varietà di contenuti presenti online. Finché un giorno non intercettiamo per caso un genere di video fino a quel momento sconosciuto: genitori disperati per l’attività di gaming dei figli – percepita come incontrollabile – distruggono le loro console nel tentativo estremo di dire “basta”.
Condivisi sui social questi video raccolgono una pletora di like e commenti positivi da parte del pubblico, tanto da essere riproposti da alcuni youtubers con l’intenzione di suscitare un impatto emotivo sui propri followers. Pur contemplando l’ipotesi che tali video siano in realtà fake, le forti reazioni riprese negli stessi e quelle espresse nei commenti meritano una riflessione sui fattori relazionali, emotivi e sociali coinvolti. Chi scrive ha scelto di non condividere i materiali di cui sopra, per non fomentare ulteriore odio.
Bambini e videogiochi, la Cina chiude e l’Occidente si interroga: quali regole?
Genitori disperati che distruggono console: che succede?
Nei video vediamo un genitore litigare con il figlio impegnato ai video games e lamentarsi del tempo dedicato al gaming. Il tono esasperato dell’adulto porta a pensare che non si tratti della prima discussione tra quel genitore e quel figlio. La difficoltà di alcuni genitori di discutere con i figli della loro vita digitale (gaming incluso), stabilendo regole condivise da rispettare, sfocia spesso in un senso di impotenza. Capita così di arrabbiarsi, ma quello che vediamo in questi video è una rabbia genitoriale tanto esplosiva da far raggelare i figli dalla paura.
Il genitore – che non riesce a fermarsi – passa dalle parole ai fatti e comincia a distruggere quello che ritiene la causa del problema, talvolta console, talvolta megaschermi tv (dimostrando così di non conoscere il medium). A questo punto, si vede il figlio urlare in lacrime in preda alla paura, tentando invano, sia verbalmente che fisicamente, di fermare il genitore. Colpisce che l’adulto in quei momenti non riesca a preoccuparsi dell’incolumità fisica e del disagio emotivo del figlio. Questi video sono girati da un elemento esterno alla coppia, l’ipotesi è che si tratti di un altro membro della famiglia, talvolta un fratello.
Il plauso del pubblico
Questi video ritraggono una fantasia di tanti genitori in difficoltà. Per fortuna, di solito le minacce di alcuni genitori si concretizzano al massimo in una spina staccata e un modem spento. I casi reali in cui effettivamente i genitori arrivano a distruggere i dispositivi digitali dei figli sembrano essere casi eccezionali. Nonostante ciò, comunque, uno psicologo non può non essere disorientato da espressioni di rabbia e aggressività di questa entità, anche in relazione al fatto che uno dei timori più spesso riportati dai genitori sono proprio le conseguenze sui figli delle rappresentazioni di violenza presenti in alcuni videogiochi. L’impressione è che, in queste occasioni, l’adulto non si renda conto del suo ruolo come modello emotivo. Persiste una tendenza a ricondurre i comportamenti aggressivi dei figli esclusivamente a fattori esterni, invece di considerare il complesso intreccio di fattori emotivi, cognitivi, di personalità, familiari, sociali e digitali. Spostare il problema all’esterno (es. sul dispositivo digitale) può innescare più facilmente fantasie e azioni distruttive, con importanti ricadute diseducative sui figli.
Perché arrivare a tanto, anche solo con la fantasia?
Una delle paure genitoriali più diffuse relativamente ai videogiochi è che questi possano spingere bambini e adolescenti all’imitazione dei comportamenti violenti rappresentati all’interno di alcuni titoli. Altro motivo di angoscia risulta essere la possibilità che i ragazzi possano sviluppare una forma di dipendenza da videogiochi (gaming disorder). È inoltre frequente una confusione tra il gaming disorder e il fenomeno degli hikikomori. Nonostante sempre più studi[1], stiano dando prove dell’infondatezza di tali timori e pregiudizi, è comprensibile la difficoltà che molti genitori manifestano tuttora nell’accogliere la passione videoludica dei loro figli. Approcciarsi al gaming con maggiore serenità e fiducia è infatti complicato a causa del fenomeno del “panico morale”, cioè una reazione di allarme, non supportata da alcuna evidenza scientifica, che porta a identificare le più recenti innovazioni come minaccia per la società, specialmente per i più giovani. Si tratta di un fenomeno che tende ad emergere periodicamente, alcuni esempi sono stati in passato walkman e fumetti, entrambi accusati di spingere all’alienazione e alla perdita di valori gli adolescenti del periodo storico di riferimento. Esattamente come sta avvenendo da qualche anno con i videogiochi, ancora poco conosciuti e molto fraintesi, da una generazione di adulti che sembra aver rinunciato ad approcciarsi in modo lucido e consapevole al mondo videoludico che tanto appassiona i propri figli.
Le restrizioni al gaming online della Cina
A fine agosto 2021, la Cina ha imposto forti restrizioni al gaming online nei minorenni, che potranno d’ora in poi giocare solo 3 ore complessive alla settimana, esclusivamente nei giorni di venerdì, sabato e domenica dalle 20 alle 21 e attraverso un accesso con credenziali reali. La Cina non è nuova a provvedimenti simili, già esistevano limiti di tempo imposti, inizialmente di 90 minuti e poi di 3 ore. È interessante evidenziare che il riferimento è al gaming online e non ai titoli single o multiplayer offline. Diversamente dal gaming offline, il gaming online costituisce un’importante occasione di socializzazione e di sperimentazione del sé in un ambiente digitale “frequentato” da diverse persone impegnate a confrontarsi, a competere e a cooperare insieme anche tramite l’utilizzo di apposite chat. Il gaming multiplayer online consente cioè di soddisfare il bisogno di relazione come osservato da Przybylski, Rigby e Ryan (2010) con riferimento alla Teoria dell’Autodeterminazione[2]. Limitare così drasticamente tale forma di gaming potrebbe avere dunque l’effetto di dirottare i giovani cinesi verso videogiochi che non offrono tale opportunità, in quanto offline. Le conseguenze di queste restrizioni potrebbero rivelarsi esattamente l’opposto di quelle ufficialmente auspicate dal governo cinese: un ripiegamento su sé stessi, all’interno di esperienze di gioco per lo più solitarie, specialmente per quei giocatori già in difficoltà nelle relazioni sociali. L’abuso di gaming, così come qualsiasi altra forma di abuso, è infatti determinato da un intreccio di fattori differenti, interni all’individuo ed esterni. La convinzione che sia di per sé sufficiente ridurre drasticamente le occasioni di gaming online per riportare ad uno stato di benessere psico-fisico il giocatore di turno, è un’illusione fondata su una logica di pensiero eccessivamente lineare e poco consapevole, generatrice di interventi destinati con grande probabilità al fallimento. Proprio in considerazione di tutto ciò, sorprende davvero tanto l’entusiasmo che la notizia di tali restrizioni ha suscitato nel mondo adulto, tra esperti e genitori, in Italia.
È possibile ipotizzare che i fattori sopra analizzati (scarsa game literacy e panico morale) abbiano influenzato questa reazione. D’altronde, un’altra importante criticità è il fatto che le restrizioni sono imposte dall’alto, privando quasi del tutto i giovani videogiocatori cinesi della possibilità di sviluppare, grazie al supporto e all’affiancamento degli adulti di riferimento, le abilità autoregolative in relazione al gaming online. Il dubbio è che si possa assistere, nel giro di qualche anno, ad un forte incremento di giocatori neomaggiorenni incapaci di gestire in maniera funzionale e adattiva il proprio comportamento, il proprio tempo e le proprie emozioni all’interno di tali ambienti digitali. Compiuti 18 anni, cioè, è probabile che si manifesti una sorta di pericoloso effetto “tana libera tutti”, in mancanza della possibilità di mettersi alla prova a sufficienza.
Il tempo di esposizione ai videogiochi non è legato al benessere
È interessante ricordare che qualche mese prima che il governo cinese imponesse le suddette restrizioni al gaming online, Johannes, Vuorre e Przybylski (2021) hanno portato all’attenzione della comunità scientifica alcuni dati in forte controtendenza rispetto all’opinione comune: dal loro studio, infatti, emerge con chiarezza che il tempo di esposizione ai videogiochi non sarebbe correlato a disagio psicologico. Gli autori puntualizzano che questi risultati dovrebbero indurre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad una revisione del costrutto di gaming disorder (disturbo da dipendenza da videogiochi). Il tempo speso alla console è infatti attualmente incluso dall’OMS tra i criteri diagnostici del disturbo che ancora divide l’opinione della comunità scientifica. Se però, come appare sempre più evidente, tale variabile non incide significativamente sul disagio psicologico, poco senso potrebbe avere tenerla in considerazione nella prospettiva di un’eventuale diagnosi, a discapito di altri fattori ben più rilevanti nel predire il livello di benessere dei videogiocatori.
I diritti digitali dei minori secondo l’ONU
Tutte le considerazioni sopra esposte sarebbero già sufficienti a far dubitare della validità delle rigide misure restrittive imposte dal governo cinese. Eppure, un’ulteriore importante criticità emerge nel richiamare alla memoria quanto sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Tale convenzione, approvata a novembre del 1989 e sottoscritta da tutti gli Stati del mondo, ad eccezione degli Stati Uniti d’America, sancisce che i minori possano disporre del proprio tempo libero, con il supporto dello Stato. A tal proposito, l’Articolo 31 recita quanto segue: “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.”
Questo articolo non contiene alcun riferimento specifico al digitale. Ecco perché nel marzo 2021 è stato pubblicato il commento generale “On children’s rights in relation to the digital environment” con cui la Convenzione ONU include ufficialmente ed esplicitamente i “diritti digitali” dei minori.
Tale documento prevede: l’accompagnamento, il monitoraggio e la tutela dei minori nelle loro attività digitali; la guida offerta da adulti competenti nel raggiungimento di un sano e positivo equilibrio tra tempo con gli schermi e tempo senza schermi; e la possibilità, che deve essere anch’essa garantita a bambini e adolescenti nei modi e nei tempi consoni alle loro esigenze e competenze, di esprimere se stessi all’interno dei vari ambienti digitali e di partecipare attivamente alla vita sociale che si svolge al loro interno. Il digitale viene cioè così riconosciuto come ulteriore contesto di vita in cui bambini ed adolescenti possono vivere esperienze, educative e/o ludiche, volte al loro benessere e al loro sviluppo. Tali esperienze risultano così edificanti da spingere l’ONU a chiedere agli Stati di fare tutto ciò che è in loro potere per far sì che esse possano essere garantite, in sicurezza, a tutti i minori: la principale indicazione che viene fornita riguarda il supporto ai genitori e agli educatori nello sviluppo di tutte le competenze e le consapevolezze necessarie ad educare bambini e adolescenti ad un uso sano e positivo dei dispositivi digitali e ad un comportamento consapevole e responsabile nei vari ambienti digitali.
Conclusioni
In conclusione, appare così evidente, da questa analisi, che le misure restrittive rigidamente imposte sono palesemente in contrasto con quanto sancito dalla Convenzione ONU finalmente aggiornata ed al passo con le evidenze scientifiche. Avendo sempre a mente e a cuore il benessere psico-fisico di bambini e adolescenti, la speranza di chi scrive è, dunque, che tale contrasto sia al più presto risolto positivamente, anche tramite il superamento, nell’opinione comune, di pregiudizi e stereotipi ormai sempre più invalidati dal punto di vista scientifico.
- Elson, M., & Ferguson, C. J., 2013; Bean, A. M., et al., 2017; Weinstein, N., Przybylski A. K., Murayama, K., 2017; Van Rooij, A. J., et al., 2018; Kühn, S., & et al., 2019; Przybylski, A.K., Weinstein, N., 2019 ↑
- Deci, E. L., & Ryan, R. M., 2000; Ryan, R. M., & Deci, E. L., 2000 ↑