Qualche settimana fa il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione[1] con la quale invita l’esecutivo dell’Unione ad affrontare in maniera decisa il tema dell’economia delle piattaforme. Bruxelles si sta interrogando, quindi, su come fornire maggiori tutele ai lavoratori e l’impegno della Commissione è fornire una proposta legislativa entro fine anno.
Tra i punti toccati dalla risoluzione, infatti, vi sono:
- valutare l’inserimento di contratti pari a quelli dei lavoratori subordinati;
- invertire l’onere di prova in capo alle aziende;
- ottenere algoritmi trasparenti;
- l’attenzione in merito agli orari di lavoro e al trattamento dei dati personali:
- la trasparenza nel sistema di calcolo delle tariffe;
- la chiarezza delle procedure che determinano la disattivazione degli account.
Gig economy, quali tutele per quale lavoro: le risposte politiche che servono adesso
I numeri della gig economy
Il settore della gig economy negli ultimi anni è quasi quintuplicato nell’Unione, passando da un valore di 3 miliardi nel 2016 a 14 miliardi nel 2020, di cui tre quarti legati a trasporto e delivery.
La quota di lavoratori rispetto al 2016 è cresciuta dal 9,5% a circa l’11%, arrivando a coinvolgere un totale di 24 milioni di persone. Di queste pare una piccola percentuale, l’1,4% (3 milioni) svolga tramite piattaforma il lavoro principale, ma è evidente come questi numeri siano in crescita costante.
Nella risoluzione appare particolarmente interessante il passaggio legato alla salute e sicurezza dei lavoratori correlato ai sistemi di recensioni e valutazioni (rating): “le pratiche di incentivazione, come i bonus eccezionali, o le pratiche punitive, quali i rating che portano all’assegnazione di meno lavoro, non dovrebbero determinare comportamenti pericolosi o rischi per la salute e la sicurezza”.
Il ruolo delle recensioni
Per i lavoratori delle piattaforme l’importanza di costruire una buona reputazione assume una rilevanza fondamentale, ma produce vari effetti indesiderati sulle condizioni di lavoro.
In primo luogo, si segnalano le problematiche connesse alla pressione che i lavoratori avvertono rispetto alla necessità di ottenere valutazioni positive. Vi è il rischio, per il lavoratore, di assumere comportamenti eccessivamente concilianti nei confronti dei clienti, con una continua rincorsa ad accaparrarsi punti e ciò può portare a conseguenze negative a livello identitario.
In alcuni casi le valutazioni diventano dei veri e propri strumenti discriminatori nei confronti dei lavoratori. Punteggi bassi possono penalizzare i nuovi arrivati sulla piattaforma o coloro che offrono il proprio lavoro solo saltuariamente. Per queste categorie diventa difficile, se non impossibile, creare un proprio spazio di mercato, in quanto costretti a competere con utenti la cui reputazione è fondata su un numero elevato di riscontri[2].
Un ulteriore fenomeno che va ad aggravare l’effetto discriminatorio dei giudizi è rappresentato, infine, dalle false recensioni. In tal senso vi è una mancanza di trasparenza sulla credibilità delle fonti. La cattiva reputazione di un lavoratore può essere infatti causata dall’inserimento di valutazioni fittizie, volte a creare un pregiudizio, da parte dei lavoratori concorrenti o di utenti aggressivi.
Ripercussioni sulla salute del gig worker
La risoluzione del Parlamento europeo dedica, pertanto, ben due punti al tema “ambiente di lavoro sano e sicuro”, toccando vari aspetti chiave. Per quale motivo?
Nella gig economy, come ormai tipico dell’economia attuale, il tempo di lavoro s’intreccia sempre più con il tempo della vita privata, sino a diventare un unico tempo inscindibile. Ad esempio, non vi è più distinzione tra giorni festivi e lavorativi, e l’orario è sempre continuato.
Inoltre, la combinazione di lavoro ad alta mercificazione e la presenza di un mercato globale per lo stesso lavoro fa sì che molti lavoratori digitali temano che altre persone possano scavalcarli e rubargli il posto di lavoro se essi pretenderanno condizioni di lavoro migliori[3]. A una determinata proposta, infatti, possono rispondere persone da più parti del mondo, anche da zone nelle quali il costo del lavoro è notevolmente più basso.
La fragilizzazione della persona
I lavori precari erodono, così, una parte notevole delle sicurezze personali, dato che quando l’incertezza diventa una norma, essa può avere tra i suoi effetti anche la fragilizzazione della persona.
Inoltre, chi lavora con un contratto atipico tende a ridurre le attenzioni per la propria salute. Fa di tutto per lavorare, sperando così di accrescere la probabilità di accaparrarsi il lavoro, sottovalutando il proprio stato di stress, o trascurando una visita per recarsi al lavoro, o, addirittura, svolgendo il lavoro anche quando si è ammalati. Ciò incide notevolmente sullo stato di salute a lungo termine[4]. Senza contare i ritmi sostenuti che certi lavori richiedono e che possono portare a conseguenze tragiche, come quando un autista all’ennesima ora di lavoro rischia di addormentarsi al volante oppure quando un fattorino accorcia il tragitto guidando motorino o bicicletta contromano, talvolta pure in condizioni meteorologiche avverse.
Un interessante studio, nel campo della sicurezza e della salute sul lavoro[5], è quello curato dall’agenzia d’informazione dell’Unione Europea che già nel 2017 ha elaborato un rapporto in cui spiega le possibili implicazioni in tema di salute e sicurezza, per i lavoratori delle piattaforme.
L’overworking
I principali rischi segnalati derivano dall’utilizzo di dispostivi informatici, che portano a disturbi come l’affaticamento visivo e problemi muscoloscheletrici. Inoltre, il gig worker va frequentemente in overworking, lavorando senza sosta oltre ai normali ritmi dei lavoratori subordinati.
Per quanto riguarda le problematiche di natura psico-fisica, spesso sono causate dalla pressione che si viene a creare per il rispetto di scadenze ravvicinate o semplicemente per il raggiungimento di un reddito necessario al sostentamento, oltre a non aver a disposizione un datore di lavoro fisico a cui attribuire delle responsabilità o con il quale attivare un confronto. È evidente come i lavoratori non siano nemmeno informati in maniera adeguata sui rischi connessi al proprio lavoro[6].
Il tema della precarietà
È in questo contesto che la risoluzione parlamentare va a toccare il tema della precarietà. Essa è una condizione che col tempo finisce per modificare la mente, la quale subisce un’elevata pressione psicologica causata dalla possibilità di perdere il lavoro da un momento all’altro, dal controllo continuo, dalle costanti valutazioni fornite dalle recensioni e dall’importanza di accaparrarsi l’attività prima degli altri.
I lavoratori delle piattaforme, quindi, sono soggetti a maggiori rischi per la propria salute e sicurezza. Ora i deputati europei evidenziano come sia necessario che essi abbiano quantomeno un’assicurazione e un indennizzo in caso di infortunio o malattia; dispositivi di protezione individuale; diritto alla disconnessione e, più in generale, un sistema volto alla loro tutela.
Nelle prossime settimane si vedrà se, davvero, verranno intraprese iniziative legislative.
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*Giacomo Prati è autore del libro “Invisibili al lavoro. Gli operai del clic ai tempi della gig economy”, edito da Guerini e Associati
Bibliografia e note
Somma A. (a cura di) (2019). Lavoro alla spina, welfare à la carte. Lavoro e Stato sociale ai tempi della gig economy. Milano: Meltemi.
Carrà S. (2020). Non solo lavoretti. Verso un nuovo statuto del lavoro. Torino: Rosenberg & Sellier 2020.
Casilli A. (2020), Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo? Milano: Feltrinelli.
Crouch C. (2019). Se il lavoro si fa gig. Bologna: Il Mulino.
Donini A. (2019). Il lavoro attraverso le piattaforme digitali. Bologna: BUP.
Gallino L. (2007). Il lavoro non è una merce. Bari: Laterza
Prati G. (2021). Invisibili al lavoro. Gli operai del clic ai tempi della gig economy. Milano: Guerini
Tria L. (2018), Salute e lavoro al tempo della gig-economy, Key, Milano.
- https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2021-0385_IT.pdf ↑
- Dagnino E. (2015), Uber law: prospettive giuslavoristiche sulla sharing/on-demand economy, Adapt Labour Studies, n. 11. ↑
- Graham M. (2017). Il tuo ruolo nel creare un mondo del lavoro più giusto. In: Verso un’altra gig economy. Openpolis. ↑
- Gallino L. (2007). Il lavoro non è una merce. Bari: Laterza ↑
- European Agency for Safety and Health at Work (2017). Protecting workers in the online platform economy: an overview of regulatory and policy developments in the EU In: https://osha.europa.eu/en/publications/protecting-workers-online-platform-economy-overview-regulatory-and-policy-developments ↑
- Comparetto E. (2017). Il lavoro su piattaforma nell’era della Gig-economy: analisi di un fenomeno emergente. Tesi consultata. ↑