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Giovani e Ict, come non perdere l’occasione della vita

Tra gli studenti, volti rassegnati al fatto che la carenza europea di digital skill non potrà essere ricoperta proprio da loro che abitano uno dei Paesi meno digitali del continente. Eppure dipende tutto da loro e dipende anche da quanto crediamo in loro. E in noi

Pubblicato il 01 Apr 2016

Rossella Lehnus

Director at Deloitte Financial Advisory

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Di tanto in tanto mi capita di essere chiamata a fare delle testimonianze all’Università. Un’attività che amo molto perché quando parli di digitale in aula gli studenti si sentono in casa, sentono finalmente parlare la loro stessa lingua. Ma proprio in quella stessa lingua ti chiedono disperatamente aiuto a capire cosa devono fare, qual è il loro ruolo nel mondo digitale. Vogliono una guida a costruire le loro carriere per non lasciarsi sfuggire quel milione di posti di lavoro che l’Europa avverte non saranno ricoperti per carenza delle digital skills necessarie. La beffa: i ventenni di oggi che lottano contro la disoccupazione e che passano tutta la loro giornata online (quasi il doppio della media nazionale di 6,3 ore al giorno online) è già deciso che non avranno i curricula adatti per lavorare e competere in un mondo digitale.

C’è chi l’energia per lottare e vincere la trova ugualmente, ma per gli altri c’è bisogno di una guida. Una guida che non può essere più quella tradizionale: l’insegnate che impartisce nozioni che studenti imparano, meglio se pedissequamente. Oggi non può più essere così; con ca. 5 milioni di ricerche su google ogni minuto l’uomo digitale ha già imparato a considerare la Rete come la propria memoria esterna a cui attingere costantemente senza sovraccaricare la propria memoria interna, quella che invece deve impiegare per fare scegliere fra le informazioni a cui ha accesso. L’accesso illimitato all’informazione ha quindi esteso e affinato la capacità di comprendere (interlligere) a livello globale, ovvero letteralmente la capacità di “saper leggere dentro”, cogliendo correlazioni fra concetti apparentemente lontani .

L’uomo connesso, circa la metà (46%) della popolazione globale sta evolvendo verso un’accelerazione della capacità di tradurre gli input a cui è costantemente sottoposto. Un’evoluzione della mente umana che per definizione è positiva perché basata su un incremento della conoscenza. “Con uno smartphone, un guerriero Masai in Kenya ha accesso a più informazioni del Presidente Clinton 15 anni fa” (Peter Diamandis) e l’accesso al sapere è sinonimo di evoluzione la cui rapidità è direttamente proporzionale alla facilità e frequenza di accesso.

Che guida serve dunque ai ragazzi di oggi, ai laureandi e laureati in cerca di lavoro? La mia presentazione in aula era una suggestione, parlava di futuro, di immigrazione, cervelli in fuga, città iperconnesse sempre più popolose, di auto che si guideranno da sole e di nuovi lavori che dovevano essere inventati. Una visione che ai miei occhi è un pianeta di opportunità da cogliere, occasioni di business e di libertà, di profitto e di uguaglianza sociale… Ma l’output che ho ricevuto è stato mediamente meno entusiasta: dalle relazioni sulla lezione redatte dagli studenti traspare più ansia che coraggio di cambiare.

Mi hanno guardato sconfortati e arresi quando ho detto loro che il DESI (Digital Economy and Society Index) qualche giorno fa ha collocato l’Italia tra catching up Countries e che tra questi in realtà siamo fra quelli che arrancano di più. Volti rassegnati al fatto che la carenza europea di digital skills non potrà essere ricoperta proprio da loro che abitano uno dei Paesi meno digitali del continente. Eppure dipende tutto da loro e dipende anche da quanto crediamo in loro / noi, perché l’insegnamento che deve dare il docente del futuro è quello di saper leggere le opportunità e di saper trovare le risposte nel mare di informazioni di cui dispone. Le skills di cui si parla sono queste: certo tutti dovranno saper programmare esattamente come oggi sappiamo leggere, scrivere e parlare inglese, dovranno avere competenze scientifiche più solide piuttosto che privilegiare la formazione classica che tanto amiamo. Ma in realtà ciò che serve è allenare la propria mente ad essere aperta al cambiamento, ad essere elastica e orientata al problem solving.

Il ruolo del nuovo docente è quello di educare alla responsabilità, all’autonomia nella costruzione della propria cultura e alla capacità di cogliere le opportunità che ci offre il mondo. Quella di oggi è una sfida inedita che per essere affrontata ha bisogno di un radicale ripensamento del sistema didattico e del rapporto docenti- discenti. Agli italiani servono strumenti nuovi per competere, quelli del secolo scorso non bastano più. Non esiste un manuale dello Smart citizen, ma abbiamo accesso a tutte le informazioni che ci permettono di capire come dovrebbe essere.

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