Analisi

Gli insegnanti tornano a studiare: luci e ombre del nuovo piano di formazione del Governo

Esce un provvedimento del Governo che, nella lettera, prova a mettere l’Italia in pari con l’Europa sulla “formazione continua” degli insegnanti. Anche digitale e a distanza. Preoccupa però la mancanza di chiarezza sulla sua attuazione territoriale

Pubblicato il 10 Nov 2016

Paolo Ferri

Professore Ordinario di Tecnologie della formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca

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E’ uscito di recente un provvedimento del Governo che, almeno nella lettera, dovrebbe rendere più competitivo il sistema scolastico italiano.

Si tratta del Piano Nazionale per la formazione dei docenti 2016-2019, presentato dal Ministro Giannini in una conferenza stampa che si è svolta a Roma il 3 ottobre. Il Piano va, in particolare, ad attuare i provvedimenti sulla formazione degli insegnati contenuti nella legge 107 “La buona scuola” che recita la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale[1] (in particolare al comma 124 e al comma 12 dell’articolo 1) e, inoltre, a rafforzare i provvedimenti contenuti nel Piano Nazionale Scuola Digitale.
Nel Piano vengono individuate, infatti, nove le priorità tematiche che dovranno orientare le scuole per la formazione in servizio dei docenti:

– autonomia didattica e organizzativa;

– didattica per competenze;

– innovazione metodologica e competenze di base (a rafforzamento del PNSD);

– competenze digitali e nuovi ambienti per l’apprendimento (a rafforzamento del PNSD);

– competenze di Lingua straniera;

– inclusione e disabilità;

– coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile globale.

– integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale (a rafforzamento del PNSD);

– scuola e lavoro;

– valutazione e miglioramento.

Il Piano prevede, per attuare questi obiettivi, un investimento di 325 milioni di euro. A queste risorse, auspica si aggiungano gli 1,1 miliardi della Carta del docente, per un totale di 1,4 miliardi stanziati nel periodo 2016/2019 per l’aggiornamento e lo sviluppo professionale del corpo insegnante. Non è però chiarito come le risorse stanziate direttamente dal governo e i cinquecento euro della carta del docente possano confluire, almeno in parte, in un unico piano strutturato e organico, dal momento che mentre le risorse per azioni formative del governo sono conferite direttamente alle scuole, i fondi della carta del docente possono essere spesi direttamente dagli insegnanti, sulla base delle loro necessità all’interno di un “catalogo” di spese ammesse per la “rendicontazione”. In ogni caso, nel piano verranno coinvolti tutti i docenti di ruolo, circa 750.000, e sono previste azioni formative per tutto il personale scolastico.

Gli strumenti attuativi del piano: ridare status agli insegnanti e alla scuola

Per attuare il Piano nazionale per la formazione degli insegnanti, il Miur assume la regia nazionale della formazione: stabilisce le priorità, ripartisce le risorse, monitora i risultati delle attività, sviluppa accordi nazionali con partner della formazione.
Le scuole, sulla base di una ricognizione delle esigenze formative espresse dai singoli docenti attraverso i “Piani individuali di formazione”, progetteranno e organizzeranno, anche attraverso reti di scuole – le cosiddette “reti di ambito”, la formazione del personale. Ogni docente avrà un “portfolio digitale” che raccoglierà esperienze professionali, qualifiche, certificazioni, attività di ricerca e pubblicazioni, insomma la sua storia formativa.
Le attività formative saranno integrate nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) e dovranno perciò essere coerenti con il progetto didattico di ciascun Istitut. o.
La formazione potrà svolgersi in modo diversificato: con lezioni in presenza e/o a distanza, attraverso una documentata sperimentazione didattica o attraverso la progettazione di strategie didattiche innovative legate alle priorità del piano.

Rispetto al passato l’incremento di risorse è davvero rilevante, e almeno sulla carta, è anche chiara l’intenzione di riqualificare e motivare maggiormente gli insegnati. Nel triennio 2013-2016 sono stati investiti sul capitolo “formazione dei docenti”, appena 18,5 milioni. Oggi ne vengono investiti 325, solo per i percorsi di formazione, cui si aggiungono gli stanziamenti della Carta dell’insegnate.

L’idea che ispira il piano è quella che ciascun docente possa usufruire di un percorso di “formazione” long life che ne aumenti le motivazioni, la qualificazione e lo status. Come, infatti, ha sostenuto durante la conferenza stampa, Andreas Schleicher, Direttore del Directorate of Education dell’Ocse, esiste una correlazione diretta tra la “percezione di status” che hanno gli insegnanti del loro ruolo nella società e nella vita associata ed economica di una nazione e i risultati degli studenti negli apprendimenti, come dimostrano le slide qui sotto (figura 1).

Figura 1. Relazione tra status professionale degli insegnanti e risultati negli apprendimenti degli studenti (fonte OCDE, http://www.istruzione.it/allegati/2016/Schleicher.pdf)

In Italia, purtroppo, scontiamo ancora i circa quindici anni di mancati investimenti o di tagli, dovuti alla gestione del MIUR da parte dei Ministri Moratti e Gelmini, e il conseguente radicale abbassamento della percezione del ruolo che gli insegnanti hanno nella società (fig. 2).

Fig. 2 La percezione degli insegnanti dello status dell’insegnamento all’interno di ciascun Paese (fonte dati OCSE)

Da questo punto di vista, la formazione è considerata dal Ministero una leva per poter invertire questa tendenza e ridare progettualità e motivazione ad un corpo insegnante, spesso frustrato, dall’impoverirsi del suo ruolo sociale e del suo status professionale. La formazione diventa infatti, almeno nelle intenzioni, uno dei cardini del miglioramento dell’offerta formativa.
Più in dettaglio, per dare concretezza e qualità all’offerta formativa cui potranno attingere le scuole, il ministero ha già attivato un rinnovo delle vecchie procedure di accreditamento a livello nazionale dei soggetti erogatori (pubblici e privati) che dovrebbe consentire anche di monitorare meglio gli standard della qualità della formazione offerta alle scuole e dalle scuole. Si tratta di un tasto dolente che si è manifestato, in particolare, nel corso delle tornate di formazione legate al Piano Nazionale Scuola Digitale, soprattutto nel campo dell’attuazione a livello territoriale – snodi e poli locali formativi – che progettano e organizzano le attività.

Le possibili criticità del piano: l’attuazione su base territoriale

In effetti, sul tema dell’attuazione su base territoriale delle varie azioni, anche il documento sulla “formazione permanete” è piuttosto “vago” e non sempre chiarissimo. Non si comprende a pieno come verrà articolata e gestita la programmazione, l’erogazione, e il monitoraggio della formazione da parte delle USR, delle “reti di ambito” e delle scuole; inoltre non risulta perspicuo quali saranno i soggetti che potranno concorrere a questo nuovo “ecosistema digitale della formazione” (Cap. 5 del piano), ad esempio non è chiarito, in modo esplicito, quale ruolo svolgeranno in questo contesto gli enti pubblici (Università, Enti di ricerca) e privati (imprese ed enti di formazione) accreditati.

Purtroppo il modello attuativo pare ricalcare quello dei “poli e degli snodi formativi” che stanno attuando il Piano Nazionale Scuola digitale, un sistema sta manifestando molte carenze, che non vorremmo si ripresentassero anche nel caso del Piano di formazione dei docenti 2016-2019 e che per questo elenchiamo di seguito:

a. molto spesso nelle regioni e sui territori manca una regia coordinata dei processi di formazione che sono spesso episodici.

b. I poli e gli snodi formativi non si coordinano, salvo rare eccezioni a livello regionale e questo causa duplicazioni nell’offerta di formazione e/o dispersione di risorse.

c. I “costi orari” della ammessi per la retribuzione dei formatori sono molto bassi 45 euro lordi per i docenti della scuola e 70 euro lordi che comprendono anche le spese di viaggio e trasferta e questo spesso manda deserti i bandi o ammette al ruolo di formatori soggetti poco qualificati.

d. La enorme complicazione burocratica delle piattaforme PON, per l’indizione dei bandi, per la selezione dei formatori e per di gestione dei fondi in uscita, scoraggia molti scuole organizzatrici e anche molti formatori qualificati alla partecipazione agli eventi formativi.

Tutte queste problematiche “logistiche” a livello locale stanno provocando, spesso, una dispersione a piaggia delle ingenti risorse allocate, oltre a produrre duplicazioni e irrazionalità locali e territoriali del sistema formativo che sono percepiti oggi come gravi punti di criticità da chi scrive, ma anche da molti dirigenti, docenti, e personale tecnico amministrativo che stanno partecipando al Piano Nazionale Scuola Digitale (tema affrontato in un’intervista per il Corriere delle Comunicazioni http://www.corrierecomunicazioni.it/archivio-giornale/2016/12/Corcom_13.pdf).
Non vorremmo che queste difficoltà smorzassero e riducessero anche le ottime intenzioni del Piano di Formazione degli insegnati 2016-2019.

Le condizioni di attuabilità del Piano: centralizzare, deburocratizzare e disintermediare

Ora, il nostro mettere l’accento sulle difficoltà di attuazione dei piani di formazione in atto – in particolare del Piano Nazionale scuola digitale – non è “distruttivo” ma “costruttivo”.
Il lavoro fatto dal Miur per “istituire” anche in Italia un modello di formazione long life dei docenti è davvero lodevole, come lodevole è il carattere permanente e obbligatorio della formazione e la necessità di riqualificare e dare “status” agli insegnanti e più in generale a tutta la scuola italiana.
Mettiamo l’accento sulle criticità dei piani di formazione in atto (ad esempio del PNSD) per evitare che si ripetano e che affliggano anche il “piano per la formazione continua” del personale della scuola che si sta per attuare.
Come già ribadito su queste pagine (Piano Nazionale Scuola Digitale anno uno: molte luci, poche ombre), un possibile consiglio da rivolgere al Ministero è quello, molto poco usuale in tempi di “federalismo concorrente e autonomista”, di “centralizzare” il più possibile le procedure, snellendole e rendendole meno farraginose e, ove possibile, di “disintermediare” il lavoro delle “reti di ambito” che dovranno gestire la formazione continua sul territorio allocando più potere di raccordo e coordinamento negli Uffici Scolasti regionali o al Ministero stesso, per evitare che i particolarismi locali, la burocratizzazione delle procedure e l’innata resistenza al cambiamento della scuola italiana depotenzino e annacquino il grande impegno legislativo, normativo e di indirizzo profuso dal Miur anche nel caso del Piano per la formazione dei docenti 2016-2019.

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[1] Il comma 124 parla di “formazione in servizio” strettamente correlata, come già detto, agli adempimenti connessi alla funzione docente e che “le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80”. Il comma 12 dell’art.1 della Legge 107 specificache il Piano dell’offerta formativa triennale dovrà contenere anche la programmazione delle attività formative rivolte al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliare.

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