Ha recentemente suscitato attenzione la notizia, riportata da vari organi di stampa, secondo cui il Congresso e le autorità antitrust americane hanno deciso di scrutinare le attività dei giganti del web, in particolare le Big Tech (Amazon, Apple, Facebook e Google).[1]
E’ di ieri la conferma, del Dipartimento di Giustizia Usa, di avere una indagine in corso sui quattro per presunti comportamenti anti-concorrenziali, che minaccerebbero l’innovazione.
Da parte di alcuni politici Usa si è anche paventata la possibilità, un po’ sommariamente, che alcuni operatori del web possano esser scorporati in società più piccole per ripristinare una situazione di concorrenza effettiva. Di seguito alcune riflessioni, da un punto di vista europeo, sull’argomento. Il tutto mentre si succedono notizie di multe di FTC: a Facebook per Cambridge Analytica; a Google per l’uso illecito dei dati personali dei bambini su Youtube (la scorsa settimana).
Una questione (solo) apparentemente domestica
Il primo aspetto interessante è che si tratta di iniziative “domestiche”, condotte da istituzioni americane nei confronti di società americane. Sebbene attive su scala mondiale, in un mercato per definizione globale (non a caso, “www” è l’acronimo di World Wide Web), tutte le Big Tech sono società americane.
Tuttavia, le iniziative americane si iscrivono nel solco di una nutrita serie di investigazioni antitrust nei confronti dei giganti americani del web condotte al di fuori degli Stati Uniti.
Basti pensare che la Commissione europea ha recentemente adottato tre decisioni contro Google,[2] e sta vagliando, per esempio, una denuncia di Spotify contro Apple, secondo la quale Apple starebbe favorendo il proprio sistema Apple Music a discapito dei servizi streaming offerti dai concorrenti.[3] Le autorità antitrust brasiliane e indiane sono analogamente molto attive.[4] Anche in Italia, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha recentemente aperto istruttorie per possibili abusi di posizioni dominante nei confronti di Amazon e Google.[5]
Antitrust, ma non solo
Il secondo rilievo interessante è che alcune iniziative antitrust sembrano voler rispondere a una crescente preoccupazione dell’opinione pubblica nei confronti delle Big Tech, che è tuttavia in gran parte slegata da rilievi di carattere antitrust. Infatti, l’attenzione dell’opinione pubblica si è recentemente focalizzata sui giganti del web per le problematiche relative alla violazione della privacy, alle cosiddette fake news e al condizionamento politico, ossia questioni che non sono propriamente di natura antitrust.
Si tratta dunque di casi dove l’antitrust, nella sua veste di possibile antidoto alla dimensione dei giganti del web, per forza di cose si incrocia con tematiche diverse come il trattamento dei dati personali, il diritto alla riservatezza, la politica.
Iniziative su più fronti
Il terzo aspetto interessante è che le iniziative antitrust americane sono condotte contemporaneamente da varie autorità su più fronti, coinvolgendo tutti i poteri dello stato di diritto: sistema legislativo, amministrativo e giudiziario.
L’House Judiciary Committee del Congresso americano ha lanciato un’investigazione bipartisan sul tema “Competition in digital markets”[6]. Come dichiarato da uno dei membri della commissione, dopo un lungo periodo di debole applicazione della normativa antitrust, il Congresso deve valutare se la normativa esistente sia adeguata per valutare la condotta abusiva dei guardiani delle piattaforme internet o vi sia bisogno di una nuova legislazione.[7] Allo stesso tempo, le due autorità antitrust americane, ossia l’US Department of Justice e l’FTC, secondo notizie di stampa, si sarebbero accordate su questioni di giurisdizione, così che l’FTC avrà giurisdizione per possibili investigazioni antitrust nei confronti di Facebook e Amazon, mentre l’US Department of Justice avrà giurisdizione nei confronti di Google and Apple.[8] Infine, vari State Attorneys General, tra 10 e 20 secondo fonti di stampa, sarebbero anche loro intenzionati a lanciare investigazioni o azioni antitrust nei confronti dei giganti del web.[9]
Iniziative antitrust simultanee così sfaccettate e di ampio respiro nei confronti delle Big Tech non si sono avute in Europa, o comunque non hanno avuto lo stesso rilievo mediatico. Come già ricordato, la Commissione europea e le autorità di concorrenza nazionali hanno già condotto, o stanno conducendo, investigazioni antitrust,[10] ma hanno avuto a oggetto solo alcune delle Big Tech e specifiche pratiche.[11]
Risalendo nel tempo, nel 2005, la Commissione europea aveva lanciato un piano per realizzare un mercato unico digitale europeo tramite 16 iniziative, tra cui quella di “effettuare un’analisi dettagliata del ruolo delle piattaforme online (motori di ricerca, social media, app store, ecc.) nel mercato”.[12]
Dal punto di vista legislativo, il Parlamento europeo ha recentemente approvato o sta approvando alcuni testi di particolare rilevo per le Big Tech, anche se non di rilievo strettamente antitrust, in particolare la direttiva sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale[13] e il regolamento europeo che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online (in fase di approvazione e pubblicazione).[14]
Risale all’anno scorso, invece, l’audizione davanti al Parlamento europeo di Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, tenutasi in conseguenza della vicenda di ingerenza elettorale Cambridge Analytica.
Lo scorporo d’impresa come rimedio antitrust
L’ultimo aspetto di interesse è sicuramente quello rimediale.
I riferimenti alla possibilità scorporo (break-up) richiamati dagli organi di stampa suscitano ovviamente interesse nell’opinione pubblica.[15] Per esempio, alcune associazioni di consumatori americane avrebbero recentemente richiesto lo scorporo di Facebook in società più piccole. Una posizione affermata anche da Chris Hughes, uno dei co-fondatori di Facebook, ormai fuoriuscito dalla società.[16]
Trattasi di rimedio che ha radici profonde nell’esperienza americana. Erano gli inizi del ‘900, quando la Corte Suprema americana confermò lo scorporo della Standard Oil del magnate Rockefeller in 34 distinte società. Circa 70 anni più tardi, agli inizi degli anni ‘80, si assistette invece allo scorporo dell’operatore telefonico AT&T, che forniva servizi telefonici locali, in sette società più piccole, le così dette Baby Bells.
Lo scorporo d’impresa come rimedio antitrust è invece generalmente assente nella tradizione europea.[17] Le infrazioni antitrust sono sanzionate tramite l’imposizione di ammende e, se necessari, rimedi di natura tipicamente comportamentale. L’abuso da parte di un’impresa della sua posizione dominante è oggetto di scrutinio antitrust, ma la creazione di una posizione dominante non è oggetto di scrutinio, se non in caso di acquisizione di altra impresa soggetta al controllo delle concentrazioni.
La recente posizione espressa da un rappresentante di spicco della cultura antitrust europea, il presidente dell’autorità di concorrenza tedesca Andreas Mundt, riassume perfettamente l’approccio europeo: le problematiche concorrenziali, incluse quelle dell’economia digitale, devono essere prima affrontate attraverso gli strumenti ordinari del diritto della concorrenza, e solo in caso di fallimento, tramite l’aiuto di strumenti regolamentari.[18]
Del resto, questo è ciò che è avvenuto in passato in vari settori, in particolare quelli caratterizzati dall’esistenza di network, tra cui le telecomunicazioni e il settore energetico. Si trattava però principalmente di settori oggetto di monopolio, che sono stati liberalizzati.
La regolamentazione permette, infatti, l’imposizione di obblighi di unbundling. Per esempio, il terzo pacchetto energia prevede la possibilità di separazione proprietaria tra la fornitura/produzione di energia e la gestione delle reti.[19]
Pertanto, la regolamentazione può avere risultati simili allo scorporo di impresa: in entrambi casi, scorporo d’impresa o unbundling regolamentare, uno stesso soggetto non può essere attivo nei segmenti di mercato oggetto della separazione. Ma le differenze, sia metodologiche sia pratiche, sono apprezzabili. L’unbundling è una disposizione legislativa a carattere generale che si applica erga omnes, a qualsiasi operatore del settore. Trova fondamento in una generale defaillance del mercato, cui la legislazione supplisce, e tende solitamente a separare attività in relazione verticale o conglomerale tra loro. I rimedi antitrust, invece, sono delle misure individuali, imposte a una specifica impresa a seguito di istruttoria nella quale sia stata acclarata una violazione delle norme antitrust. Peraltro, i rimedi antitrust devono tipicamente essere necessari e proporzionali a restaurare la concorrenza effettiva che lo specifico comportamento d’impresa ha affievolito.
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- Cfr. ad esempio gli articoli pubblicati dal NY Times, The Guardian, e dal Financial Times. ↑
- Antitrust: la Commissione commina a Google un’ammenda pari a 1,49 miliardi di € per pratiche abusive nella pubblicità online (Comunicato stampa della Commissione europea del 20 marzo 2019); Antitrust: la Commissione infligge a Google un’ammenda di 4,34 miliardi di € per pratiche illegali riguardanti i dispositivi mobili Android volte a rafforzare la posizione dominante del motore di ricerca di Google (Comunicato stampa della Commissione europea del 18 luglio 2018); Antitrust: multa di 2,42 miliardi di EUR a Google per il vantaggio illegale conferito al proprio servizio di acquisti comparativi (Comunicato stampa della Commissione europea del 27 giugno 2017). ↑
- Cfr. https://www.competitionpolicyinternational.com/eu-spotify-files-antitrust-complaint-against-apple/ ↑
- Cfr. https://globalcompetitionreview.com/article/1194603/cade-shuts-down-another-google-probe; https://globalcompetitionreview.com/article/1194687/india-probes-google%E2%80%99s-android-leveraging ↑
- Cfr. Comunicati stampa dell’AGCM riguardanti Amazon e Google. ↑
- Cfr. https://judiciary.house.gov/news/press-releases/house-judiciary-committee-launches-bipartisan-investigation-competition-digital ↑
- Cfr. https://judiciary.house.gov/news/press-releases/house-judiciary-committee-launches-bipartisan-investigation-competition-digital (Antitrust Subcommittee Chairman David N. Cicilline (D-RI): “After four decades of weak antitrust enforcement and judicial hostility to antitrust cases, it is vital for Congress to step in to determine whether existing laws are adequate to tackle abusive conduct by platform gatekeepers or if we need new legislation.”) ↑
- Cfr. gli articoli pubblicati dal NY Times e dal Wall Street Journal. ↑
- Cfr. l’articolo pubblicato dal Wall Street Journal. ↑
- Cfr. anche http://www.autoritedelaconcurrence.fr/user/standard.php?id_rub=697&id_article=3343&lang=en. ↑
- La Commissione europea ha avviato nel 2015 un’indagine settoriale antitrust sulla concorrenza nel settore (più ampio) del commercio elettronico (cfr. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-4921_it.htm). ↑
- http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-4919_it.htm ↑
- https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L0790&from=EN ↑
- https://data.consilium.europa.eu/doc/document/PE-56-2019-INIT/en/pdf ↑
- Cfr. ad esempio gli articoli pubblicati dal NY Times e The Guardian ↑
- Cfr. ad esempio l’articolo pubblicato dal NY Times. ↑
- Sebbene alcuni politici europei sembrano averci pensato proprio al riguardo di Facebook. Cfr. domanda numero 11 dei membri del Parlamento europeo a Facebook: “If you have to split off, for example, Facebook Messenger, to give you an example, and WhatsApp, and to keep then Instagram, should that be a good deal for you, that you could accept?” ↑
- Global Competition Review, 17 giugno 2019, Mundt: break up companies only if data competition and regulation fail ↑
- Cfr. https://ec.europa.eu/energy/en/topics/markets-and-consumers/market-legislation/third-energy-package. Il pacchetto prevede che l’unbundling possa essere attuato anche tramite misure alternative alla separazione proprietaria, ossia l’istituzione di un gestore di sistemi o di un gestore di trasporto indipendente. ↑