il dibattito

Gli Usa creano il “Comitato per la governance della disinformazione”: cos’è è perché fa discutere

La creazione, da parte del Dipartimento per la sicurezza interna, di un Comitato per la governance della disinformazione ha richiamato alla mente di molti il Ministero della Verità di 1984 di Orwell. Ma è davvero così?

Pubblicato il 04 Mag 2022

Antonino Mallamaci

avvocato, Co.re.com. Calabria

Disinformazione online: i pericoli del rallentamento della lotta alle fake news

Non ha mancato di suscitare critiche e perplessità la decisione del Governo Usa di creare un Comitato per la governance della disinformazione.

Fosse successo in Italia, sarebbe affiorato il ricordo dell’Ufficio stampa e propaganda, poi promosso a Ministero della Cultura popolare. Negli Stati Uniti, invece, il termine di paragone è stato individuato dai critici nel Ministero della Verità di Orwell in 1984. Tutto nasce da un annuncio dell’Amministrazione Biden, precisamente del Dipartimento per la sicurezza interna (DHS, Department of Homeland security), nato, come si legge sul sito istituzionale, per la sicurezza interna “dall’impegno e dalla determinazione degli americani negli Stati Uniti sulla scia degli attacchi dell’11 settembre”.

La libertà di stampa è minacciata, anche nel digitale

Il segretario Alejandro Mayorkas ha diffuso la notizia della creazione, da parte del Dipartimento, di un Comitato per la governance della disinformazione (Disinformation Governance Board)  in più audizioni al Congresso. In un’audizione, l’ha motivata con gli sforzi per combattere la disinformazione dei trafficanti di esseri umani. In un’altra, ha affermato che il Board sarebbe stato utilizzato per contrastare la disinformazione informatica ed elettorale russa: “Abbiamo appena istituito un Consiglio di amministrazione della misinformazione e della disinformazione nel Dipartimento per la sicurezza interna per combattere più efficacemente questa minaccia, non solo a quella elettorale, ma anche alla nostra sicurezza interna”.

Le critiche al Board

I primi a insorgere sono stati ovviamente i Repubblicani, gridando alla censura. Subito dopo è stato il turno di Elon Musk, colui che in questo periodo è assurto a paladino del “free speech” comprandosi addirittura un social media come Twitter per garantirlo. L’attacco si è diretto poi sulla designata direttrice esecutiva del Consiglio, Nina Jankowicz, rea di avere in passato sostenuto i Democratici, elogiato gli sforzi per reprimere la disinformazione sul coronavirus sui social media, espresso scetticismo sulla provenienza del laptop di Hunter Biden nella vicenda che coinvolse il figlio del presidente degli Stati Uniti per i suoi interessi in Ucraina.

“Piuttosto che sorvegliare il nostro confine, la sicurezza nazionale ha deciso di fare del controllo degli americani la sua massima priorità”, ha affermato il senatore repubblicano Hawley.

Portman, senatore repubblicano anch’egli, ha invece rilevato che “L’ attenzione dovrebbe essere su attori cattivi come Russia e Cina, non sui nostri stessi cittadini”.

Il problema è sorto, secondo molti commentatori meno parziali, a causa della scarsa chiarezza dei compiti e delle funzioni del Board, o per lo meno della scarsa chiarezza con cui sono stati enunciati.

DHS creates ‘Disinformation Governance Board’ | On Balance with Leland Vittert

DHS creates ‘Disinformation Governance Board’ | On Balance with Leland Vittert

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La mancanza di chiarezza che fa pensar male

Il DHS non ha fornito molti dettagli, incluso se e quanto potrebbe monitorare la disinformazione proveniente dai cittadini degli USA, e se ciò che si accinge a fare possa essere equiparato a un’operazione di polizia. Su entrambe le questioni il Dipartimento ha smentito le supposizioni, ma inizialmente, in effetti, le informazioni fornite sono state scarse, nonostante le reiterate richieste di chiarimenti. Nonostante la preoccupazione espressa dai repubblicani, però, essi non hanno operato eccessive pressioni su Mayorkas durante le udienze al Congresso. E il Dipartimento, a dire il vero, ha una storia di lotta alla disinformazione condotta anche durante l’amministrazione Trump.

Interrogato dai Democratici, Mayorkas ha affermato che il consiglio fa parte di uno sforzo il cui “obiettivo è riunire le risorse del dipartimento per affrontare questa minaccia”, citando in particolare la disinformazione diffusa tra gli ispanofoni. In un’audizione separata, lo ha menzionato brevemente come parte degli sforzi per combattere la disinformazione russa.

Alla fine, Mayorkas ha ammesso, qualche giorno dopo, che il DHS “avrebbe potuto fare un lavoro migliore nel comunicare cosa è e cosa non è il Disinformation Governance Board “. Lo ha poi definito un “gruppo di lavoro interno” e ha detto che, in effetti, non avrebbe monitorato gli americani.

Gli obiettivi dichiarati

Il 2 maggio, forse in ritardo, sul sito del Dipartimento è stata pubblicata una Scheda informativa titolata “il gruppo di lavoro interno del DHS protegge la libertà di parola e altri diritti fondamentali quando si affronta la disinformazione che minaccia la sicurezza degli Stati Uniti”. In essa si legge che “Il Dipartimento per la sicurezza interna degli Stati Uniti ha il compito di salvaguardare gli Stati Uniti dalle minacce alla sua sicurezza, comprese le minacce esacerbate dalla disinformazione..il Dipartimento si concentra sulla disinformazione che minaccia la sicurezza del popolo americano, inclusa la disinformazione diffusa da stati stranieri come Russia, Cina e Iran, o altri avversari come organizzazioni criminali transnazionali e organizzazioni di traffico di esseri umani. Tali attori malintenzionati spesso diffondono disinformazione per sfruttare gli individui vulnerabili e il pubblico americano, anche durante le emergenze nazionali”.

Seguono alcuni esempi di iniziative su specifici temi, il primo dei quali, certo non a caso, è l’US Customs and Border Protection (CBP, Protezione delle dogane e della frontiera) che “contrasta la disinformazione che i cartelli e i trafficanti di esseri umani diffondono ai migranti per convincerli ad attraversare illegalmente il nostro confine sud-occidentale”. Il Dipartimento, inoltre, ci tiene a precisare che “identifica la disinformazione che minaccia la patria attraverso fonti pubblicamente disponibili, ricerche condotte da istituzioni accademiche e di altro tipo, e informazioni condivise da altre agenzie e partner federali”. Esso “è profondamente impegnato a svolgere tutto il suo lavoro in un modo che protegga la libertà di parola, i diritti civili, le libertà civili e la privacy degli americani” Infine, una sorta di ammissione di colpa, anche se implicita: “C’è stata confusione circa il gruppo di lavoro, il suo ruolo e le sue attività. La reazione a esso (che non ha funzioni operative, è stato sottolineato, n.d.r.) ha spinto il DHS a valutare quali passi intraprendere per creare la fiducia necessaria, ciò mediante: 1) la trasparenza e l’apertura al pubblico e al Congresso; 2) rapporti trimestrali completi al Congresso e ai suoi comitati di sorveglianza, 3) la richiesta al Consiglio consultivo per la sicurezza interna (bipartisan) di formulare raccomandazioni su come il Dipartimento può affrontare la disinformazione proteggendo al contempo la libertà di parola e altri diritti fondamentali.

Insomma, dopo i chiarimenti e i buoni propositi, non ci sono prove che il DHS pianifichi di reprimere i cittadini comuni che diffondono disinformazione online, ad esempio. L’amministrazione Biden ha inquadrato il Gruppo di lavoro, o Consiglio, come un modo per coordinare meglio il lavoro nelle guerre dell’informazione sull’immigrazione. I trafficanti, ad esempio, svolgono un ruolo importante nell’informare i migranti su quando tentare di entrare negli Stati Uniti.

Conclusioni

Tra tanti critici, una voce favorevole, L’ex capo della CISA (Cybersecurity & Infrastructure Security Agency) Chris Krebs, che era in prima linea nella lotta del 2020 contro la disinformazione elettorale e forse sa più di chiunque altro sulla portata della sfida. Secondo Krebs, “la battaglia dell’amministrazione Trump contro la disinformazione è stata “ad hoc” e un Consiglio che ha regole trasparenti sul Primo Emendamento, sulla privacy e sui diritti civili è “esattamente ciò che il DHS dovrebbe fare. Inoltre, questa può diventare una buona occasione, per il Congresso, per definire più chiaramente il potere del Dipartimento nel suo complesso”.

Insomma, l’ennesimo episodio della saga nella lotta tra libertà di parola e contrasto alla disinformazione. Nonostante i vari tentativi, in giro per il mondo, per trovare il punto d’equilibrio tra due esigenze fondamentali, il dibattito è ancora in corso e lo sarà chissà per quanto tempo ancora. Un dato, in ogni caso, è certo. Informazione, propaganda, disinformazione, sono ormai elementi di importanza capitale, come la guerra in Ucraina sta dimostrando. Le teorie, al proposito, sono tante e variegate. Sul terreno, però, ci sono i morti, i feriti, intere città distrutte, milioni di persone vaganti da una parte all’altra del mondo, in fuga. L’aspetto concreto della questione non cessa di darci ogni giorno prova della necessità e dell’urgenza di intervenire, di passare dalle parole ai fatti.

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