(dalle puntate precedenti) Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia assoluta” perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono dunque completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
“Si appella alla clemenza della corte… si è sempre fatto così!” la comandante Akila Khaspros agli agenti attenti. Attoniti. Attratti. Astratti. Artefatti. “Rilassatevi agenti… godetevi lo spettacolo di un bel processo ingiusto…”. Al centro un palco. I giudici togati. L’imputato incatenato. L’avvocato spettacolato.
“MI rivolgo alla corte… alla sua infinita cattiveria… al suo secolare senso d’ingiustizia!” L’avvocato si godeva la brezza. Del mattino fresco. Delle stelle dure a lasciare il campo. Del brusio della gente. Un pubblico d’arena. Che sorseggia il caffè. L’avvocato guardava le parole uscire dalla propria bocca. Le aveva ammaestrate. Per mesi. Ora obbedivano ai suoi comandi. Finalmente. Avide di ricompensa.
“Mi rivolgo alla corte… l’uomo che dovete giudicare è un infame… un vuoto assassino. Non ha alcuna attenuante! È semplicemente indifendibile! Non è vero che in ogni essere umano c’è un grammo d’amore… è una semplice sciocchezza! Non c’è alcun sentimento in questo rifiuto dell’umanità che avete di fronte! Ignobili giudici… “
“Immondi giudici, quest’immondizia umana non ha, sottolineo non… non ha avuto un’infanzia infelice! Ma ugualmente è diventato feccia, fogna, sterco!” L’avvocato sudava. La folla sbavava. La notte perdeva i suoi lumi in terra. E in cielo. “Lascio la parola al pubblico ministero…”
Il rappresentante dell’accusa s’incantava. Davanti al sole sottile. Dell’alba.
La sentenza arrivò con tutti i risvegli della piazza: “…mediante impiccagione.” Un brivido aspettato. Coccolato. Affollato.
La corda strinse. La bocca s’asprì. I denti sputarono. Il condannato capestrò. Le gambe scalciarono. Il collo lividò. Gli occhi brillarono di memorie.
“Le memorie sono nelle pupille, agenti! Portiamo via la testa!” Balzano sul palco del processo in scena.
Agguantano il corpo. Tirano. Forsennati. La folla incita. Il corpo si stacca. La testa vola. La testa rimbalza.
Non fu un bello spettacolo. Anche la morte chiede estetica. Anche la morte vuole un po’ di fascino. Per consolare i vivi. Di sfacciata bellezza. Gli alberi si inverdavano di luce. I rumori della città erodevano l’aria. Gli odori della città striavano i nasi. I colori della città riflettevano i volti.
La folla scapicollava. La testa rotolava. Una scia di sangue segnava. Le assi rumorose. La folla delirava lo spettacolo sgangherato. La folla usciva. Passava il banco dei souvenir. La folla comprava. Le teste ricordo. Con le scie rosse.
I bimbi calciavano.
I bimbi ridevano.
Facevano goal.
(85-continua)