IA e PA

Governare la PA con l’intelligenza artificiale, ecco come si può fare

Migliorare la PA con l’intelligenza artificiale è una convinzione condivisa da molti Paesi, Italia compresa. Ma l’approccio non è univoco, né può essere soggetto a semplificazioni. Occorre tracciare un percorso tecnico e sociale idoneo che avrà successo solo se partecipato e inclusivo. E serve molta competenza

Pubblicato il 30 Mag 2018

Guido Vetere

Università degli Studi Guglielmo Marconi

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I governi di tutti i Paesi sviluppati, compresa l’Italia, condividono l’aspettativa che l’Intelligenza Artificiale (IA) possa migliorare la Pubblica Amministrazione e il rapporto dei cittadini con le istituzioni. Da noi, in particolare, l’IA, adeguatamente sviluppata, potrebbe essere la chiave per risolvere grandi problemi storici come l’inefficienza dell’amministrazione sanitaria, la lentezza della giustizia civile, l’integrazione dei dati pubblici, la cooperazione applicativa.

I vantaggi dell’intelligenza artificiale per la PA, insomma.

A questi temi è stato dedicato un convegno del Forum PA moderato da Federica Meta, a cui hanno preso parte Marco Bani (AgID), Piero Poccianti (Associazione AI*IA), Paolo Benanti (Università Gregoriana), Christian Parmigiani (4ward) e il sottoscritto. Il convegno è stato l’occasione per ragionare sulle linee di azione future, anche alla luce di quanto elaborato nel Libro Bianco dell’IA dell’AgID .

Di cosa è fatta l’IA

La narrativa sull’IA esalta oggi i successi delle tecnologie di apprendimento automatico (Deep Learning), ma l’IA che abbiamo sviluppato in sessant’anni di ricerca e che usiamo concretamente è fatta di tante cose diverse. In essa confluiscono e convivono (almeno) due scuole di pensiero, riconducibili a una radice empirista e una razionalista.

Una PA agile al tempo dell’Intelligenza Artificiale: così lavora Agid

La scuola empirista e quella razionalista

La scuola empirista applica metodi statistici per costruire, da grandi quantità di dati, modelli predittivi, algoritmi di classificazione, analisi di gruppi, funzioni di regressione, con un movimento (chiamato metaforicamente “apprendimento”) che va dall’evidenza empirica alla concettualizzazione. Quella razionalista adotta invece procedimenti ipotetico-deduttivi, usando gli strumenti della logica, della rappresentazione della conoscenza, dell’analisi linguistica, per costruire sistemi di ragionamento con un movimento che va dai concetti (della scienza o del linguaggio ordinario) ai dati. La strada che va dai dati ai concetti viene dunque percorsa in entrambe le direzioni, e non bisogna dare ascolto a chi dice che l’una possa escludere l’altra, o che vi sia una strada preferibile, più promettente o più “moderna”.  Una data science male intesa, ad esempio, potrebbe suggerire che dalle evidenze empiriche si possa risalire, senza residui, ai concetti, cioè ai contenuti della coscienza umana e dei sistemi simbolici. Sul fatto che questo pensiero sia pericolosamente sbagliato c’è stata, tra i convegnisti, una certa unanimità.

Governare la PA, con quali metodi e tecniche

Chi governa un sistema socio-tecnico complesso come la Pubblica Amministrazione deve avere la capacità di comprendere come usare il grande repertorio di metodi e tecniche oggi a disposizione per risolvere problemi concreti in modo efficace e sostenibile, senza cadere nelle lusinghe di un facile futurismo o in certe sospette semplificazioni di marketing. Ciò significa non solo capire quale sia l’approccio più adatto allo scopo che ci si prefigge, ma anche tracciare un percorso tecnico e sociale idoneo per la sua realizzazione. Se parliamo di grandi infrastrutture unificanti (chiamate talvolta con qualche abuso “sistema operativo”), appare evidente che l’intelligenza da sviluppare sia di tipo “razionale”. Quello infatti è il luogo in cui bisogna accogliere nozioni giuridiche e schemi di interazione normati, in cui qualsiasi comportamento del sistema deve poter essere logicamente indagato, giustificato ed eventualmente corretto. Al livello delle applicazioni “verticali”, invece, è possibile, con le dovute politiche (ad esempio sui dati pubblici) e i dovuti accorgimenti (ad esempio una corretta selezione dei dati di ingresso), beneficiare dei recenti progressi dei metodi statistici, dando vita a sistemi in grado di adattarsi alle specificità e alle dinamiche in modo robusto e sostenibile.

Cosa può fare l’IA per la PA

Qualsiasi cosa venga intrapresa dalla Pubblica Amministrazione nell’ambito della complessa progettualità richiesta dall’Intelligenza Artificiale, questa avrà successo solo se condotta in modo partecipato e inclusivo, non in virtù di una astratta correttezza politica, ma perché di tale complessità fa parte integrante il rapporto speciale che le tecnologie intelligenti intrattengono con la coscienza e la cultura dei loro utenti. Queste tecnologie infatti entrano in dimensioni come il linguaggio, le conoscenze, gli orientamenti, che non possono essere alienate negli algoritmi o desunte statisticamente dai dati, ma richiedono la costante e vigile presenza del giudizio dei soggetti coinvolti. Innovazioni di portata profonda come quelle portate dall’IA non possono essere delegate a manager e a team di scientist eccellenti ma isolati, né date in appalto ai fornitori tecnologici, né comprate nei cloud come servizi software, ma devono essere impiantate nel tessuto sociale fuori e dentro la PA, a tutti i livelli e in tutte le latitudini. L’asset più strategico di cui dobbiamo dotarci, dunque, è quello della competenza.

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