Guarita
Le memorie casalinghe funzionavano ancora, ma mancavano quelle connesse ai medici specialisti e alle banche ospedaliere. Il Grande Ictus Mnemonico le aveva annullate. Jokob si aggrappò all’idea di recuperare le memorie della diagnosi e delle prescrizioni. La madre si spegneva senza speranza.
Le tendine erano d’epoca e i vetri termodinamici mantenevano la temperatura costante. Il respiro era piccolo e la stanza era nella penombra solitaria di Adelinea Ammanna. “Dove vai?…” Il volto scavato e la luce impietosa dalla finestra ampia e incurante della sofferenza. “Torno presto…”. Jakob superò le tre barriere di sicurezza del condominio e si lasciò andare per i 452 piani del palazzo.
La mattina sfavillante meritava una corsa. Jokob la eseguì come fosse l’ultima sinfonia in re maggiore da regalare alla madre, pianista sublime della galassia.
Jokob correva a caccia delle sue memorie. Il ritmo era consolidato, anche se ora, senza memorie, il programma di tutoring totale del suo jogging era disconnesso. Le scarpe felpavano sulla pista per runner sussurrando fra loro dell’incurabile morbo della duecentenaria Adelinea. Jokob cespugliava nel Giardino Perenne nel centro della città. Poi sterrava sbreccinando la ripida salita verso l’Ospedale, unico e monumentale, nella megalopoli costiera. Entrò inarrestabile nell’accettazione. L’infermiere mise entrambe le mani dentro le ampie tasche laterali. Era il semplice segnale convenuto. Il bianco del camice era abbacinato del sole che impune attraversava i vetri della sala d’attesa.
Gli strinse la mano che sfacciata ritornò nella tasca destra con il trasferimento della piccola corruzione. Jocob si ritrovò innestata la memoria tanto desiderata nel polpastrello dell’anulare. Il pavimento era straordinariamente lucido. Uno specchio che duplicava ogni degente e carrello.
“C’è una memoria ospedaliera in moto dall’Ospedale Maximo” annunciò Xiina a Akila Khaspros, agente di comando della Memory Squad 11. “Un colpo di fortuna! Se la memoria non si fosse mossa, chissà quando mai l’avremmo intercettata…”. Le biciclette si piegarono sibilando sul lungo curvone che portava ai quartieri del porto. Il mare brillantava spavaldo. Le ombre dei sei agenti biker scorrevano rapide sul muro di fronte. La casa dei signori Ammanna si nascondeva dietro siepi non più curate di rododendri.
Jocob prese la mano di sua madre, accarezzò le vene quasi asciutte: “Ora ti passo la memoria… Fra poco ti sentirai già meglio…” L’invisibile micromem, pur di un vecchio modello non più in circolazione da anni, si affrancò al dorso del mignolo della signora Ammanna. La camiciola isotermica la fasciava tiepida. I dati clinici personali non venivano più recapitati al Centro di Salute Personale, ora che le memorie erano tutte sconnesse. Il sole alto era girato verso il patio lasciando più scura la stanza. “Ci sarà una guarigione completa…” La rassicurò Jocob. Il siamese girò il muso, mezzo grigio e mezzo bianco, verso quelle mani intrecciate e strinse gli occhi d’approvazione.
Jocob capì subito che la memoria era fasulla. Non si era scolorita, come doveva, nel bianco della pelle bianca della madre. Le accarezzò di nuovo la mano leggera. Le sottrasse la piccola memoria quando lei era già tranquillamente dormiente. La porta era bussante. Lui apriva interrogante. La Memory Squad invadente. “È la casa dei signori Ammanna, vero?” Senza aspettare risposta aggiunsero: “La memoria ospedaliera… Ce la dia… La sequestriamo noi, senza conseguenze… per lei”. Jocob appoggiò il dorso della mano su quello di Xiina e le traferì la vecchia memoria. Xiina sorrise ai capelli radi e bianchi della vecchia signora e girò il volto oltre la finestra, perdendo gli occhi dentro lo smisurato viale. Uscì con la squadra dentro i colori netti del piccolo giardino.
Jokob si piega alla madre, l’accarezza, e la sveglia quasi urlando: “Hai visto! C’è voluto pochissimo!”. La madre guarda lontano, oltre i gerani della finestra, e si riaddormenta, guarita.
(21-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)