La proliferazione di immagini e video di eventi mai accaduti, che vanno a formare l’ampio bacino delle fake news, è un fenomeno in crescita soprattutto se associato a contesti di guerra, come quello ucraino o siriano, dove questi contenuti manipolati vengono fatti circolare tra la popolazione al fine di trasferire un messaggio, in contrasto con la realtà.
Ma di cosa parliamo esattamente quando parliamo di information warfare? E, soprattutto, esistono delle contromisure praticabili?
Una definizione di information warfare
“La guerra dell’informazione è un’operazione condotta per ottenere un vantaggio informativo sull’avversario. Consiste nel controllare il proprio spazio informativo, proteggendo l’accesso alle proprie informazioni, mentre acquisisce e utilizza le informazioni dell’avversario, distruggendo i suoi sistemi informativi e interrompendo il flusso di informazioni. La guerra dell’informazione non è un fenomeno nuovo, ma contiene elementi innovativi come effetto dello sviluppo tecnologico, che porta alla diffusione delle informazioni più velocemente e su scala più ampia”. Questa è la definizione di Information Warfare secondo il Defence Education Enhancement Programme (DEEP) della NATO.
L’interesse per la guerra d’informazione è aumentato significativamente in relazione al conflitto russo-ucraino già dall’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014. Mosca avrebbe influenzato, infatti, gli ucraini e la comunità internazionale al fine di promuovere la propria versione degli eventi che si stavano succedendo. Tale obiettivo sarebbe stato perseguito impiegando sul campo sia i media tradizionali controllati dalle autorità sia i social media, i quali hanno visto l’espandersi dell’attività condotta per mezzo delle cosiddette fabbriche di troll.
Le fabbriche di troll al servizio della disinformazione
La più famosa è senz’altro quella di San Pietroburgo, formalmente chiamata Internet Research Agency la quale, come una vera e propria industria di produzione, avrebbe disseminato notizie false o manipolate ad hoc su diverse questioni di livello internazionale. I computer della fabbrica sarebbero stati progettati per inoltrare i post agli innumerevoli account falsi dell’agenzia, aprendo e chiudendo gli elementi diffusi per creare un numero enorme di visualizzazioni di pagine false.
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti aveva anche accusato l’agenzia di San Pietroburgo di condurre sospette campagne informative illegali e di interferire nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016. Le accuse si estendono a ulteriori vicende come la legittimazione del conflitto in Siria oppure il presunto ruolo di Washington nella diffusione del virus Ebola. Come è possibile leggere sul The New York Times, il Cremlino e la propria fabbrica di troll avrebbero condotto una campagna di disinformazione allo scopo di minare la fiducia nel sistema elettorale statunitense, incoraggiando o istituendo gruppi che avrebbero seminato divisioni interne attraverso un uso tattico dei troll. Secondo alcuni procuratori statunitensi, dietro questa agenzia ci sarebbe Yevgeny Prigozhin, imprenditore russo della ristorazione e fondatore del gruppo paramilitare Wagner, organizzazione attiva in vari contesti bellici in cui Mosca persegue i propri interessi.
In cosa consistono le attività di guerra cibernetica
L’estensione del campo di battaglia allo spazio cibernetico ha ampliato la portata di questo fenomeno. Il cyberspazio e il settore delle nuove tecnologie costituiscono un campo importante per la guerra dell’informazione. Le attività di guerra cibernetica possono consistere in attacchi informatici, finalizzati a distruggere o degradare i sistemi informativi dell’avversario, ma anche in azioni di ingegneria sociale, creando nella mente delle persone un’immagine specifica del mondo, coerente con gli obiettivi dell’organizzazione e della guerra dell’informazione condotta da un determinato attore.
Il web aumenta le possibilità di acquisizione di dati, a difesa e di disturbo dell’informazione, e permette di raggiungere facilmente sia i cittadini di un determinato Paese sia la comunità internazionale. Data la velocità di comunicazione, l’ampiezza della copertura e il basso costo delle campagne di propaganda, i social media giocano un ruolo cruciale. Queste piattaforme sono infatti una preziosa fonte di informazioni sui gruppi target a cui indirizzare le attività di “aggressione informativa”.
Gli strumenti usati nella guerra dell’informazione
La guerra dell’informazione su Internet si avvale, in estrema sintesi, di:
- fabbriche di troll, ovvero entità che impiegano risorse umane con l’unico compito di pubblicare commenti sul web in linea con l’obiettivo del proprio committente, utilizzando profili falsi sui social media;
- bot, ossia programmi che inviano messaggi automaticamente, ad esempio in risposta alla comparsa di una parola chiave;
- fake news, cioè messaggi destinati a fuorviare gli utenti dei social media.
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Strumenti per stabilire l’autenticità delle immagini digitali
La proliferazione di informazioni false ha portato, col tempo e grazie alla tecnologia, alla diffusione di immagini fittizie che potrebbero mettere in dubbio la veridicità di informazioni o messaggi. Un modo per stabilire l’autenticità delle immagini digitali sarebbe quindi prezioso. Esistono, per questo fine, software all’interno dei quali foto e video possono essere scattati, memorizzati e trasmessi in modo da avvertire gli spettatori di eventuali alterazioni, indipendentemente dal momento e dal luogo in cui queste vengono introdotte nel percorso dell’immagine dall’obiettivo allo schermo.
EyeWitness to Atrocities
Uno di questi sistemi è stato sviluppato dall’International Bar Association (IBA), associazione con sede a Londra, ed è stato denominato EyeWitness to Atrocities.
Secondo quanto riportato dal The Guardian, questo strumento mira a individuare e consegnare alla giustizia i responsabili di crimini di guerra, torture o genocidi in zone di conflitti come quelli che interessano la Siria, l’Ucraina o la Repubblica Democratica del Congo.
L’applicazione fa essenzialmente due cose. In primo luogo, quando viene scattata una foto o un video da un telefono dotato di tale applicazione, registra l’ora e la posizione dell’evento, come riportato da “testimoni elettronici” difficili da contraddire, come satelliti GPS, torri di telefonia mobile oppure reti Wi-Fi presenti nelle vicinanze. Questa operazione è nota come acquisizione controllata di metadati ed è più sicura rispetto alla raccolta attraverso i cellulari, in quanto le impostazioni di ora e posizione del dispositivo possono essere modificate. In secondo luogo, l’applicazione legge l’intera sequenza digitale dell’immagine e utilizza una formula matematica standard per calcolare un valore alfanumerico, noto come hash, unico per quella foto.
Una volta completato questo processo, vengono inseriti i metadati e l’hash in un file chiamato proof bundle, separato dall’immagine. Viene altresì inviata una copia crittografata dell’immagine e del suo proof bundle a un server speciale.
La società produttrice in questione combatte “l’ingiustizia con foto e video verificabili”, come riportato sul sito ufficiale dell’app, in tre modi:
- fornendo l’app per fotocamera mobile EyeWitness to Atrocities che permette di registrare foto e video incorporati con i metadati necessari per dimostrare la loro autenticità in un tribunale;
- creando una catena di custodia, attraverso il processo di trasmissione e archiviazione dei contenuti, da utilizzare come materiale probante nelle corti di giustizia;
- catalogando i contenuti multimediali in fascicoli per la successiva presentazione presso le autorità di investigazione internazionali e nazionali.
EyeWitness, come afferma lo stesso sito web dedicato, lavora con le organizzazioni partner per catturare foto e video che possano costituire dossier di prova. La società opera in collaborazione con la società civile, i gruppi di contenzioso, il settore privato, i tribunali nazionali e internazionali, le Nazioni Unite e altri investigatori internazionali per facilitare il percorso della giustizia.
ProofMode e Truepic
EyeWitness non è l’unico fornitore di tali servizi. Infatti, è possibile utilizzare altri applicativi utili allo scopo, come ProofMode di Guardian Project oppure Truepic con sede a San Diego, in California. Quest’ultima in particolare ha riscontrato successo nel 2021 raccogliendo 26 milioni di dollari da parte di società del calibro di Adobe, Sony Innovation Fund di Innovation Growth Ventures (IGV), Hearst Ventures e privati di Stone Point Capital, durante una sessione di finanziamento guidato dal fondo di venture capital di Microsoft.
In base a quanto dichiarato a TechCrunch da Jeff McGregor, CEO di Truepic, l’approccio dell’organizzazione si fonda sulla verifica dell’autenticità dei contenuti nel punto in cui vengono acquisiti, ovvero su di una convalida multimediale basata sulla provenienza rispetto che su un accertamento di anomalie o modifiche post-acquisizione. McGregor ritiene inoltre che il rilevamento di immagini e video falsi non sarà praticabile e che l’autenticazione multimediale basata sulla provenienza sia l’approccio più promettente alla fiducia visiva universale online.