guerra e propaganda

Guerra in Ucraina, così la disinformazione diventa arma strategica

Il ruolo della disinformazione e la ricerca della verità “a geometria variabile” segnano la fine del modello occidentale di democrazia? Ecco come la capacità di “filtrare” le informazioni pubblicate sulla guerra diviene un decisivo armamentario propagandistico

Pubblicato il 15 Mar 2022

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

guerra scacchi

L’attacco armato ordito dalle truppe militari del Cremlino per destituire il Presidente ucraino Zelenskyy, in un crescente clima di tensioni – presto estese ben oltre i confini territoriali dell’area interessata sino al coinvolgimento del blocco “Occidentale” (Nato, Ue, Usa) – rappresenta la tangibile manifestazione violenta di una cruenta aggressione, che si inserisce in un conflitto ben più complesso e articolato.

Siamo di fronte ad un’inedita guerra “ibrida” strategicamente perseguita anche all’insegna di sofisticate tecniche di disinformazione: prolifera, infatti, la pubblicazione di contenuti testuali e multimediali resi disponibili sui siti web e social media, utilizzati, quindi, alla stregua di veri e propri strumenti bellici in grado di incidere sulle dinamiche dello scontro tra le contrapposte forze coinvolte anche a livello mondiale.

Già a partire dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, entrando nel vivo il combattimento attualmente in corso lungo la sanguinosa marcia verso Kiev, si assiste ad una lotta parallela per il controllo del flusso comunicativo veicolato in Rete alla conquista del cyberspazio. La capacità di “filtrare” le informazioni pubblicate sulla guerra diviene un decisivo armamentario propagandistico di cui dotarsi nello “scacchiere” tattico della pianificazione bellica, che richiede l’elaborazione di una necessaria “narrazione” ufficiale da diffondere in linea con le ragioni di Stato rese note a sostegno del proprio schieramento sul campo di battaglia.

Ascesa della Z pro-Russia: il conflitto simbolico nell’era dei social

Una guerra (anche) di propaganda comunicativa

Così, mentre l’Unione europea, nell’ambito delle sanzioni disposte a carico del regime di Putin, ha bandito dal novero delle testate liberamente accessibili online le agenzie giornalistiche ritenute “vicine” al Cremlino, in Russia l’autorità di regolamentazione statale dei media (“Roskomnadzor”) è ormai attivamente impegnata a monitorare le notizie da censurare come fonti fuorvianti di fake news. É in atto un’intensa opera di filtraggio predisposto per realizzare il blocco generalizzato di contenuti provenienti da alcuni siti di informazione e dai social network.

A maggior ragione dopo che è fallito l’obiettivo – nelle intenzioni iniziali di Putin – di chiudere subito la partita a conclusione di una rapida “guerra lampo”, si sta intensificando il ricorso ad una strategia centralizzata di propaganda indirizzata all’opinione pubblica nazionale, nell’ottica di motivare la reiterata aggressione che colpisce, come doloroso “costo umano” del conflitto, numerose vittime soprattutto tra i civili.

Per i russi, che si affidano ancora prevalentemente ai media statali nella ricerca di informazioni ritenute credibili, la guerra in Ucraina si è svolta in modo diverso rispetto a quanto percepito dal pubblico occidentale: del resto più di due terzi dei russi guardano ancora i notiziari della televisione di stato come principali mezzi comunicativi di massa. Comincia però a delinearsi, proprio rispetto al sostegno manifestato nei confronti dell’invasione rivendicata dal Cremlino, una netta divisione della società, probabilmente accentuata anche da un clima instabile di insoddisfazione generale causata dalla critica situazione economica collegata alla guerra, che alimenta una crescente intolleranza di voci dissenzienti rispetto alla posizione ufficiale del governo russo.

La narrazione della Guerra elaborata dal Cremlino (e che non ammette repliche)

Proprio per tale ragione, il Cremlino tenta di controllare il flusso di informazioni, con interventi di censura volti a bloccare social media e siti web di notizie, anche tenuto conto della recente riforma legislativa che punisce la diffusione di informazioni “false” sulla guerra fino a 15 anni di carcere. Dal 24 febbraio oltre 13800 persone sono state incarcerate per aver protestato contro Putin. In altre parole, non viene ammessa nessuna voce alternativa alla narrazione ufficiale che deve prioritariamente amplificare la contrapposizione tra le priorità nazionali di stabilità interna e sicurezza pubblica della Russia in contrasto con il caos e l’ostilità provenienti dall’esterno, come precisa strategia comunicativa finalizzata a monopolizzare lo spazio informativo.

Il governo russo ha, peraltro, ordinato alle società telematiche di conformarsi alla nuova legge che impone alle piattaforme di social media operanti in Russia di creare uffici locali e registrarsi “in loco” sotto il controllo dell’autorità “Roskomnadzor”, che, a sua volta, ha sancito l’obbligo, a carico dei media, di fare esclusivo affidamento alle informazioni ricevute da fonti ufficiali russe sulle operazioni “speciali” effettuate in Ucraina. Oltre a bloccare i contenuti digitali, i giornalisti dei media indipendenti subiscono anche minacce e arresti per attività d’inchiesta volte a documentare le proteste contro la guerra.

Del resto, che la propaganda comunicativa fosse un obiettivo strategico prioritario perseguito da Putin è emerso chiaramente quando, di recente, il ministro degli esteri Sergei Lavrov, ha negato che la Russia avesse attaccato l’ Ucraina, a dimostrazione di una precisa narrazione della guerra elaborata dal Cremlino.

Tutte le fake news della propaganda russa

In tale scenario, quindi, sta assumendo crescente centralità la strategia comunicativa da utilizzare per la gestione di un conflitto che, sull’orlo di un sempre più difficile equilibrio risolutivo delle relative contrapposizioni, sembra destinato a prolungarsi ancora a lungo, al punto da rendere indispensabile l’esigenza di assicurarsi il costante sostegno dell’opinione pubblica nel reiterato logoramento bellico derivante dalla maggiore durata delle ostilità: emblematiche, in tal senso, le giustificazioni addotte per legittimare l’intervento del Cremlino al fine di acquisire il controllo della centrale nucleare di Chernobyl come inevitabile reazione a presidio di vitali interessi nazionali nell’ottica di prevenire il rischio di un possibile attacco atomico, anche alla luce di quanto riportato da alcune notizie circolate nell’orbita mediatica russa – poi bollate come “fake news” dalle concorrenti fonti occidentali – secondo cui gli Stati Uniti d’America gestirebbero laboratori biochimici segreti attivi nel territorio dell’Ucraina.

Del medesimo fuorviante tenore risulterebbero altresì le notizie pubblicate in relazione alla presenza di una spia americana  tra i componenti della delegazione ucraina  costituita con il compito di trattare il raggiungimento di un possibile accordo di pace, dopo che – secondo la prospettata ricostruzione (ancora una volta smentita dalle agenzie occidentali di fact-checking) – l’Ucraina, e non la Russia, avrebbe  iniziato la guerra  a causa dell’illegittima invasione delle due Repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk.

Non sorprende quindi la scoperta di svariati siti che  diffondono propaganda russa anche sfruttando il sistema di viralizzazione utilizzato per incamerare rilevanti introiti da monetizzazione dei click tramite la rete pubblicitaria dell’advertising online, anche al fine di minare il morale e la resistenza del popolo ucraino, diffondendo false affermazioni sulla capitolazione del governo e sulle perdite militari ucraine.

In particolare, mettendo in discussione il coraggio ucraino che emerge dalle notizie diffuse su Internet, la disinformazione pro-Cremlino mira a destabilizzare la fiducia riposta dal popolo nella capacità di resistenza del governo di Zelenskyy per cercare di demoralizzare l’esercito ucraino, mediante la pubblicazione di svariate storie  con cui si diffonde una precisa  narrazione  volta a riportare frequenti casi di disertori dell’esercito ucraino che rinunciano alle armi  rifugiandosi  nella Repubblica popolare di Luhansk, o che comunque sono sul punto di abbandonare  la posizione ricoperta nell’esercito di cui fanno parte.

La resistenza ucraina passa anche dai social

Di contro, però, in stretta connessione alla strenua opposizione dimostrata contro l’aggressione subito dall’esercito russo, emerge – come rilevante variabile dell’attuale guerra – (almeno per ora) un’ugualmente solida resistenza digitale dell’Ucraina, a partire dalla strategia utilizzata dal Presidente Zelenskyy che, sfruttando il suo enorme seguito virtuale, dialoga frequentemente online sia con i suoi connazionali che con gli utenti dislocati fuori dai confini dell’Ucraina, grazie ad una particolare abilità nell’uso i social media per rassicurare il pubblico sul fatto che lui, insieme ai ministri chiave, rimarrà a Kiev, così sperando anche di rafforzare il sostegno internazionale dal fronte “anti-Putin”.

Piuttosto che ricorrere in via esclusiva agli opportuni canali diplomatici, agendo all’ombra con discrezione e riservatezza per negoziare soluzioni di compromesso, una simile strategia social così spiccatamente “cybermediatica” è davvero efficace per stimolare il senso patriottico degli ucraini dimostrando anche all’esterno una prova di resistenza del governo, oppure di fatto inasprisce le tensioni a causa della viralizzazione polarizzata dei contenuti in grado di acuire lo scontro con toni violenti che esasperano le forme di odio online?

Sono, poi, numerosi i post virali sui social media di  soldati che si sposano  o cittadini comuni che raccolgono le armi in difesa delle loro famiglie, come esempi di contenuti digitali pubblicati per catturare l’attenzione del pubblico globale in un conflitto che si sta svolgendo online e in tempo reale.

Potenziando la resilienza informativa dell’Ucraina, grazie all’implementazione della strategia per la sicurezza delle informazioni, il governo ucraino, sostenuto da giornalisti e dalla società civile, sta tentando di proporre una propria controinformazione, mediante la pubblicazione di bollettini con cadenze periodiche regolari, anche ricorrendo all’uso di Telegram al fine di allertare la popolazione circa la proliferazione di messaggi falsi e la creazione di possibili deepfake utilizzati dalla propaganda russa.

Anche sui social network, come inedito campo di battaglia, si schierano numerosi influencer per manifestare esplicitamente la propria contrarietà alla guerra, oppure per solidarizzare apertamente con la causa ucraina, mediante la condivisione di foto recanti la bandiera ucraina. Sono pubblicati video di ostilità alla guerra voluta da Putin, contestando la linea governativa vigente e sono resi disponibili filmati che riprendono presunte atrocità o veicoli militari diretti a Kiev, anche se talvolta potrebbe trattarsi di contenuti decontestualizzati o riutilizzati da conflitti precedenti.

Al contempo, prolifera l’esistenza di una rete di account “pro-Cremlino” in difesa dell’invasione russa, unitamente alla creazione di false agenzie locali di informazione artatamente create per destabilizzare la società civile e inasprire le tensioni tra le popolazioni limitrofe, ad esempio mediante la pubblicazioni di notizie con cui si riportano presunti scontri tra le autorità polacche e i rifugiati ucraini fuggiti dalla zona di guerra.

Si assiste alla pubblicazione di video – poi cancellati – diffusi con l’hashtag #давайзамир (#letsgoforpeace), in cui si enfatizza il ruolo della Russia legittimata ad intervenire, con finalità di ripristino della pace, per la difesa di Donbass, in quanto “sotto tiro da otto anni”, al pari della narrazione virtuale veicolata da gruppi estremisti secondo cui la guerra in Ucraina assumerebbe i tratti di una battaglia sul controllo delle risorse ucraine tra due imperi (Russia e USA) , che pertanto combattono, da imperialisti, per affermare la propria sfera di influenza mondiale a livello globale.

Proprio per tale ragione, il gruppo Meta di Zuckerberg ha annunciato  la creazione di un “Centro per le operazioni speciali” per monitorare i contenuti della guerra in Ucraina su Facebook e Instagram, sulla falsariga del progetto precedentemente implementato  durante la rivolta dei talebani in Afghanistan nell’agosto 2021.

L’escalation della propaganda

Le attività di propaganda si sono ampiamente intensificate nel corso delle ultime settimane, come confermato dal team istituito all’interno del servizio diplomatico dell’UE che ha dichiarato di aver assistito a un forte aumento della disinformazione online sostenuta dal Cremlino dalla fine di gennaio 2022, a riprova della strategia comunicativa predisposta come specifico strumento bellico utilizzabile nell’ambito di una vera e propria “cyberwar”.

Numerosi media filorussi affermano che il governo ucraino sta conducendo un genocidio di civili, oppure che l’esercito ucraino, avallato dai paesi della NATO, avrebbe effettuato attacchi con armi chimiche nelle Repubbliche separatiste dell’Ucraina per offuscare la reputazione della Russia, così come risultano attivi alcuni video di presunte battaglie in tempo reale, poi rivelatisi soltanto filmati riciclati da repertorio del passato, pur avendo accumulato milioni di “mi piace”, commenti e condivisioni sui social: ad esempio, è circolato un post che ha pubblicato quella che si presumeva essere un’azione militare ucraina, poi invece presumibilmente estrapolata da un filmato di un conflitto in Siria nel 2020.

Una guerra a colpi di disinformazione per amplificare la falsa narrativa sui motivi della guerra.

Sembra, quindi, delinearsi il rilevante pericolo di una dilagante disinformazione propagandistica su Internet per amplificare una falsa narrativa sui motivi della guerra. Non a caso, il Dipartimento di Stato americano, in collaborazione con l’interagenzia statunitense, ha elaborato una sorta di “memorandum” per indicare le principali fake news russe pubblicate con la finalità di giustificare l’aggressione armata di Putin. Al riguardo, è stata smentita la notizia secondo cui i funzionari alle dipendenze del Presidente Zelenskyy sarebbero i responsabili del conflitto, come sostenuto dalle fonti russe, senza invece considerare che in realtà Mosca ha invaso l’Ucraina nel 2014, occupando la Crimea, con il successivo controllo delle forze armate nel Donbass, ove ha progressivamente collocato più di 100.000 soldati al confine con l’Ucraina, alla base della progressiva “escalation” che prevede il ricorso a misure di “ritorsione tecnico-militare” anche a difesa dei russi etnici in Ucraina, pur in assenza di riscontri credibili a sostegno di tale tesi.

Parimenti priva di fondamento, secondo il monitoraggio condotto dall’intelligence americana, sarebbe anche la notizia volta a sostenere che l’Occidente stia spingendo l’Ucraina verso un conflitto, in ragione del fatto che Mosca ha aggravato l’attuale crisi, per poi addebitare al comportamento dell’Ucraina la responsabilità del conflitto globale in modo da convincere i cittadini russi sulla necessità di intraprendere un’azione militare, facendo ricorso a massive campagne di disinformazione progettate per minare la fiducia nel governo ucraino e creare un pretesto per un’ulteriore incursione. Viene inoltre smentita la ricostruzione che vedrebbe gli USA coinvolti nella pianificazione di attacchi con armi chimiche nel Donbas.

Siamo, quindi, di fronte ad una guerra “ibrida” che ha segnato anche il coinvolgimento dei cyberattivisti di Anonymous, schierati in prima linea nella “guerra contro il Cremlino” nel rivendicare una serie di attacchi informatici in danno dei servizi pubblici e dei media controllati dallo Stato in Russia e Bielorussia, sino a danneggiare, tra l’altro, anche numerosi siti web di propaganda.

In tale prospettiva, lungo un insidioso “campo digitale minato” emerge la necessità di disinnescare le cosiddette “bombe” della falsa informazione che l’invasione russa in Ucraina sta determinando, come emblema di una sorta di “guerra di TikTok”, che può essere considerata la “prima guerra di Internet con l’avvento dell’era dei social media”.

Conclusioni

Proprio per tale ragione, è possibile cogliere il preoccupante impatto delle informazioni false deliberatamente diffuse per causare danni, alla stregua di una vera e propria “guerra dell’informazione” non meno letale di un’invasione militare configurabile in un classico scontro armato rispetto alla tradizionale strategia bellica basata sulla disponibilità di veicoli armati, mezzi blindati e corazzati da combattimento, alla luce di effetti destabilizzanti configurabili in tutto il mondo.

Sullo sfondo, peraltro, si consolida il pericolo che, a seguito del progressivo isolamento tecnologico attuato dal blocco Occidentale, il Cremlino si trasformi in uno Stato digitale autarchico in grado di polarizzare, grazie alla creazione di una Rete Internet autonoma e del tutto separata dal resto del mondo, il flusso comunicativo veicolato ai propri cittadini e di reprimere ulteriormente il dissenso, mediante il controllo di sofisticati strumenti di propaganda digitale, dando vita a nuove alleanze geopolitiche che potrebbero destabilizzare definitivamente l’attuale equilibrio esistente, nell’ottica di rimodellare l’ordine internazionale globale, con conseguente definitivo declino del primato della civiltà occidentale.

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