Che la guerra russo-ucraina fosse configurabile, ben oltre gli attacchi armati delle truppe militari, come un inedito cyber-conflitto dalle complesse dinamiche strategiche, lo si è ormai da tempo capito alla luce della centralità che sta assumendo la propaganda comunicativa indirizzata all’opinione pubblica.
Come ulteriore effetto collaterale della guerra, i danni provocati dalla circolazione di notizie false consentono di accentuare il livello di violenza che si esprime nelle varie forme di odio online, nonché di ingannare l’opinione pubblica e sviare le persone coinvolte nel conflitto mediante informazioni fuorvianti, con il rischio di incrementare ancor di più il numero di vittime, soprattutto tra i civili.
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La prima guerra social: l’impatto del virtuale sul conflitto
In tale prospettiva, emergono i pericoli connessi al flusso comunicativo veicolato online lungo un insidioso “campo digitale minato”, ove proliferano, senza controllo, svariate campagne di disinformazione, al punto da evocare l’esistenza della prima guerra di Internet con l’avvento dell’era dei social media, proprio per sottolineare l’impatto che l’ambiente virtuale sta assumendo sulla concreta evoluzione del conflitto.
Un numero crescente di influencer, star del web e semplici utenti comuni stanno animando il cyberspazio per manifestare la propria contrarietà alla guerra, oppure per solidarizzare con la causa ucraina, mediante la condivisione di foto recanti la bandiera ucraina. Sono attivi naturalmente anche account pro-Putin in difesa dell’invasione russa, dai quali provengono, tra l’altro, pubblicazioni di notizie diffuse per destabilizzare il popolo ucraino e minare la fiducia riposta sulla resistenza politica del Presidente Zelensky.
Il controllo delle informazioni da parte del Cremlino
A riprova di ciò, il Cremlino sta intensificando il controllo delle informazioni veicolate sulla guerra: non solo si assiste alla chiusura in via autoritativa di emittenti nazionali indipendenti e alla sospensione dei servizi giornalistici resi dalla stampa internazionale, ma emerge un’azione generale di filtraggio funzionale a bloccare siti di notizie e social network con una portata restrittiva e punitiva di censura senza precedenti che potrebbe presto raggiungere un’escalation ancora più ampia e generalizzata.
Nondimeno, poiché ormai milioni di persone utilizzano quotidianamente i social media per pubblicare aggiornamenti 24 ore su 24 sull’invasione dell’Ucraina, diventa ancora più difficile selezionare le notizie affidabili dal complessivo flusso di informazioni diffuse, rendendo verosimile la possibilità di “inquinare” i contenuti che circolano in Rete, al netto di qualsivoglia tentativo di monitoraggio attuato dai gestori delle piattaforme sociali per scovare e rimuovere eventuali fonti propagandistiche false e manipolatorie.
Troll russi insidiano l’assistenza ai rifugiati
Secondo un articolo di approfondimento a cura del “The Guardian”, sarebbe stata rilevata l’esistenza di troll e trafficanti di provenienza russa all’interno dei gruppi Facebook creati per i rifugiati ucraini al fine di fornire loro assistenza e supporto, evidenziando, al massimo livello di allerta, il pericolo di infiltrazioni in grado di “inquinare” le informazioni condivise sino alla possibilità di vere e proprie “trappole” fraudolentemente ordite al punto da mettere in pericolo gli utenti.
La maggior parte di coloro che risultano iscritti all’interno di tali gruppi, infatti, pubblicano post per promuovere la disponibilità di alloggi ai rifugiati ucraini, i quali, tuttavia, devono affrontare anche le insidie derivanti dalla presenza di troll russi che cercano di infiltrarsi nel gruppo.
Lo scenario risulta talmente critico da aver indotto i gestori dei gruppi ad intensificare l’utilizzo di appositi software in grado di geolocalizzare l’esatta posizione degli utenti che condividono i messaggi, in modo da identificare tempestivamente i troll provenienti da ambienti russi che cercano di danneggiare e interrompere il flusso comunicativo veicolato online.
Non si tratta di casi isolati: è sempre più frequente la presenza online di cd. “guerrieri da tastiera” impegnati in prima linea nell’offensiva bellica, con il compito di smascherare le teorie complottistiche, anche perché numerosi account stanno inondando i social media con false affermazioni sull’invasione dell’Ucraina, dando vita ad un cyber-campo di battaglia secondario a quello dello scontro militare reale, ove prolifera la diffusione di troll, bot e altre applicazioni dannose.
Offensiva e controffensiva
Emerge, quindi, il ruolo chiave della tecnologia digitale nelle attuali dinamiche del conflitto in corso, come strumento per attacchi informatici e per amplificare gli effetti negativi della disinformazione.
In questo senso, ad esempio, nei giorni scorsi i siti governativi, militari e finanziari ucraini sono stati colpiti da attacchi DDoS (Distributed Denial of Service), – ritenuti riferibili alla Russia – che immettevano false richieste di informazioni, con l’ulteriore installazione di malware per la cancellazione dei dati in grado di impedire il riavvio dei computer infettati.
Una parte degli esperti ritiene però che gli attacchi russi finora realizzati siano stati meno sofisticati del previsto, tenuto conto della capacità di resistenza dimostrata dall’Ucraina che, anche con il supporto della comunità internazionale (grazie alla creazione, ad esempio, del Cyber Rapid Response Team e al rilevante contributo del collettivo di hacker Anonymous) ha prontamente reagito, effettuando efficaci operazioni di hackeraggio in grado di compromettere risorse “sensibili” per il Cremlino, nell’ambito delle sofisticati attività militari realizzate da un inedito esercito informatico costituito da arruolati appartenenti alle forze militari e da civili volontari chiamati alle “armi digitali” per proteggere le infrastrutture critiche in Ucraina e hackerare i siti web della Russia.
Per cercare di contrapporsi alla sofisticata propaganda russa, anche l’FBI starebbe utilizzando un’innovativa strategia finalizzata a reclutare persone di lingua russa contrarie all’invasione dell’Ucraina, mediante la pubblicazione di annunci mirati sui social media installati su cellulari situati all’interno o appena fuori dall’ambasciata russa a Washington, con l’intento di sfruttare qualsiasi insoddisfazione o rabbia da parte di membri russi dei servizi diplomatici o dei centri di spionaggio, come opportunità pianificata dall’intelligence statunitense per avvalersi della collaborazione di fonti credibili e qualificate.
Di contro, una diversa linea di pensiero sostiene che, in realtà, Putin non abbia ancora utilizzato a pieno regime tutto il proprio arsenale informatico, riservandosi in futuro di farlo nel momento più opportuno per rispondere, come proficua rappresaglia, alle sanzioni occidentali subite, che stanno isolando la Russia dal punto di vista tecnologico, economico, commerciale e finanziario.
Conclusioni
Di certo, si coglie sin da ora il lato oscuro della propaganda virtuale pianificata nella sua capacità di “inquinare” il dibattito dell’opinione pubblica, manipolando le idee degli individui, esposti al rischio di polarizzare le proprie convinzioni nell’ambito di circuiti informativi a senso unico, ove lo scambio di opinioni diventa sempre più aggressivo e violento, all’insegna di un preoccupante lavaggio del cervello, che rappresenta una rilevante implicazione negativa destinata a destabilizzare la democrazia e la società nel suo complesso.