Nell’epoca dell’iperconnessione, in cui le possibilità offerte dal mondo online sembrano infinite, emerge un fenomeno preoccupante: l’hikikomori. Originario del Giappone, ma con una presenza sempre più significativa anche in Italia, l’hikikomori è descritto come il ritiro sociale volontario e prolungato di individui, prevalentemente giovani, che vivono quasi esclusivamente attraverso il filtro della rete.
Un fenomeno complesso, con radici culturali, sociologiche e psicologiche profonde, che solleva interrogativi urgenti sulla natura delle nostre interazioni digitali e sul ruolo cruciale della famiglia e della scuola nella prevenzione di questo tipo di isolamento. In quest’ottica, gli interventi possibili si moltiplicano, aprendo nuovi scenari per affrontare una realtà in continua evoluzione.
L’utilizzo della tecnologia come mezzo di controllo del proprio universo sociale
La rete, le chat, i blog, le community, i social network e, tra questi, TikTok sono luoghi frequentati in maniera costante e continuativa da moltissimi giovani.
I giovani in generale, e gli adolescenti in particolare, sono infatti da ritenersi i protagonisti più attivi del mondo digitale: siamo dinanzi a una realtà dove nascono quotidianamente, ad una velocità senza precedenti, modi di comunicare inediti e nuove forme d’interazione.
Se da un lato non si può non rilevare che l’utilizzo dei dispositivi può apportare significativi benefici, la pervasività dei device e l’iperconnessione generata dal continuo e sistematico utilizzo di apparecchi elettronici e digitali genera numerosi rischi e pericoli per lo sviluppo psico-fisico delle persone di minore età.
L’utilizzo della tecnologia come mezzo di controllo del proprio universo sociale genera numerosi rischi per i più giovani che riversano sui social network la propria esigenza di riconoscimento sociale finendo spesso in un vortice di dipendenza da internet che sovente sfocia in una reclusione volontaria finalizzata ad eludere quanto più possibile i contatti con il mondo offline. Come è stato opportunamente osservato, “le nuove possibilità tecnologiche oggi disponibili, se non coscientemente limitate, spingono e tentano sempre più i giovani verso questo modello di controllo, il quale, però, nella sua distaccata asetticità razionalistica, si pone alla base di esiti fortemente anomici”(cfr. Verza, 2016, p. 253).
Il fenomeno “multifattoriale” degli Hikikomori
È nell’alveo delle riflessioni connesse a quelle che potremmo definire le ‘insidie della rete’ che emergono chiari rimandi a un fenomeno sempre più esteso che interessa ormai numerosi giovani ragazzi e ragazze in Italia e non solo, vale il dire il caso degli hikikomori.
Si tratta di un fenomeno sovente definito come “multifattoriale” che nasce cioè da una combinazione di fattori individuali, familiari e sociali (per un primo inquadramento: Sagliocco, a cura di, 2011; Saito, Angles, 2013).
Sebbene questo fenomeno sia emerso originariamente in Giappone, la pressione e il disagio che spingono alcuni giovani ad un isolamento sociale estremo ha assunto proporzioni preoccupanti anche in Italia e per questa ragione si ritiene sempre più urgente indagarlo.
Data la sua natura un approccio appropriato non può che essere interdisciplinare, come si sta sperimentando da qualche tempo presso il CRID – Centro di Ricerca Interdisciplinare su Discriminazione e vulnerabilità dell’Università di Modena e Reggio Emilia, in particolare mediante un gruppo di lavoro istituito presso l’Officina Informatica “Diritto Etica Tecnologie” che si occupa anche di patti educativi digitali (cfr. Casadei, Coniglione, 2023).
Le origini e l’estendersi del fenomeno
Il termine “hikikomori” è stato coniato agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso dallo psichiatra giapponese Saito Tamaantaki per indicare un fenomeno sociale emerso in Giappone.
Con l’espressione Hikikomori (parola giapponese che deriva dal verbo hiki, tornare indietro, e komoru, che si può tradurre come entrare: Furuhashi et al., 2013) si descrive un disturbo che colpisce principalmente adolescenti o giovani adulti che vivono a casa dei genitori, chiusi nelle loro camere da letto per giorni, mesi o addirittura anni, isolati dal mondo (cfr. Verza, 2016).
Generalmente gli “hikikomori” sono identificati come tali nel momento in cui manifestano il ritiro sociale da almeno sei mesi, con precedente fobia scolare e progressivo abbandono delle aule scolastiche, vera e propria dipendenza da Internet e inversione del ritmo circadiano (giorno-notte).
I giovani hikikomori rifuggono di fatto dalle relazioni, nelle loro diverse forme, e mantengono le comunicazioni con l’esterno al minimo (fino ad arrivare al loro totale rifiuto): gli unici contatti che sviluppano sono esclusivamente quelli attraverso l’uso di Internet, per il tramite di diverse piattaforme di video gaming, social network, portali.
Il concetto di hikikomori, contrariamente a quanto può sembrare da questo primo inquadramento, presenta numerose criticità, prime fra tutte l’assenza di una definizione chiara del problema e di un consenso condiviso sui criteri diagnostici.
In tempi piuttosto recenti è stato proposto un criterio diagnostico internazionale (Kato et al., 2020), secondo il quale l’hikikomori è una forma di ritiro sociale patologico o di distacco sociale la cui caratteristica essenziale è l’isolamento fisico nella propria casa (si veda, su questo aspetto, da ultimo, l’analisi di Save the Children, pubblicata nel 2023).
Altri due criteri, la cui sussistenza è ritenuta necessaria alla configurazione di tale specifica condizione, sono l’isolamento continuo per almeno sei mesi e la significativa compromissione funzionale con correlati disturbi riconducibili a varie forme di profondo ‘disagio’ psico-fisico.
Si tratta di una condizione che, manifestatasi inizialmente in Giappone, si è poi diffusa a macchia d’olio in Corea, Cina, Stati Uniti, Australia e anche in Europa. Tale preoccupante fenomeno riguarda specialmente la fascia di giovani compresa tra i quattordici e i trenta anni, interessando sino ad oggi principalmente uomini (tra il settanta e il novanta percento: cfr. Fondazione Veronesi [2022], Chi sono gli Hikikomori? ).
Il fenomeno Hikikomori in Italia: numeri e analisi
Nel dibattito maturato su questa questione si parla di “isolamento sociale” ma è evidente che tale definizione non è in grado di rappresentare esaustivamente le caratteristiche specifiche di questa nuova e sempre più diffusa dinamica psicosociale.
L’isolamento, infatti, se non puntualmente definito e ‘caratterizzato’, può essere anche quello che interessa le persone anziane o persone con un disturbo psicotico grave: condizioni che però non hanno nulla a che vedere con l’hikikomori.
Dopo anni di ricerca e di studio del fenomeno, il Dott. Marco Crepaldi, Psicologo e fondatore di Hikikomori Italia – Associazione Nazionale Ritiro Sociale Volontario -sostiene che i termini che meglio lo descrivono sono in particolare cinque, ossia “ritiro sociale volontario cronico giovanile”.
Lo scorso 15 gennaio 2024 l’Istituto Superiore di Sanità (che, come noto, ha sede presso il Ministero della Salute) ha pubblicato i risultati di un’importante ricerca ora disponibile online e facilmente consultabile: Dipendenze comportamentali nella Generazione Z: uno studio di prevalenza nella popolazione scolastica (11-17 anni) e focus sulle competenze genitoriali, a cura di Claudia Mortali, Luisa Mastrobattista, Ilaria Palmi, Renata Solimini, Roberta Pacifici, Simona Pichini, Adele Minutillo, Centro Nazionale Dipendenze e Doping, Istituto Superiore di Sanità, Roma, 2023)
La ricerca è stata condotta su una popolazione appartenente alla cosiddetta “generazione Z”, concentrandosi, in particolare, sulla fascia adolescenziale minorenne, ovvero quella che va dagli 11 ai 17 anni. La ricerca che aveva come scopo primario quello di indagare quanto i giovanissimi siano affetti da dipendenze di tipo comportamentale (in particolare dipendenza da internet, da social e da cibo) ha dedicato ampio spazio all’indagine del fenomeno del ritiro sociale volontario cronico giovanile. Lo studio ha identificato circa 66.000 hikikomori nel nostro Paese con incidenza leggermente superiore nella fascia 11–13 anni, ovvero quella della scuola secondaria di primo grado.
Questo dato sembra essere sovrapponibile con quello emerso da un altro rilevante studio sul fenomeno condotto dal CNR, in particolare dall’Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle Ricerche di Pisa (Cnr-Ifc), che identificava ben 54 mila casi di hikikomori nella fascia 15–19 anni: il Report integrale, Hikikomori: Indagine sul ritiro sociale volontario dei giovani italiani, è a cura di Sonia Cerrai, Silvia Biagioni, Sabrina Molinaro.
Hikikomori: le cause principali
Attraverso un’analisi combinata di queste due indagini – che in qualche misura potremmo definire pioneristiche – si può stimare che tra la popolazione adolescente italiana vi siano all’incirca tra i 50 mila e i 100 mila hikikomori che si trovano nella cosiddetta ‘fase 1’, vale a dire la fase in cui il/la giovane comincia a percepire la pulsione all’isolamento sociale ma continua a mantenere una qualche forma di contatto con il mondo esterno.
In linea generale, dunque, durante questo primo stadio, il ragazzo o la ragazza rifiuta saltuariamente di andare a scuola, abbandona progressivamente tutte le attività che richiedono una relazione diretta con il mondo esterno (ad esempio le attività sportive e ricreative) preferendo attività solitarie (a titolo meramente esemplificativo: giocare ai videogames, guardare serie TV in modo continuativo).
Hikikomori: un fenomeno in continua evoluzione
Contrariamente a quanto si possa immaginare, infatti, la condizione dell’hikikomori non è una condizione statica ma tutt’altro: si tratta di un fenomeno in continua evoluzione e che conosce mutamenti.
La comunità scientifica ha identificato tre fasi che rappresentano un processo dinamico che può peggiorare, migliorare, regredire (cfr., su questa distinzione, Crepaldi, 2019). Queste, infatti, variano secondo una logica crescente in funzione dell’intensità e della pervasività della sintomatologia che le scienze mediche riconducono a questa specifica condizione.
Della fase uno si è già accennato sopra mentre occorre specificare come durante la fase due il ragazzo o la ragazza comincino a elaborare consciamente la pulsione all’isolamento, rifiutando in modo piuttosto assertivo le proposte di uscita, trascorrendo quasi la totalità del proprio tempo nella propria camera, riducendo i contatti solamente ad una dimensione virtuale ma riservando ancora un legame relazionale con i propri genitori seppur connotato da una significativa conflittualità. La fase tre vede l’intensificarsi della sintomatologia al punto tale che il/la giovane decide di abbandonarsi completamente alla reclusione volontaria allontanandosi anche dai propri genitori e dalle conoscenze sviluppate nel mondo della rete, conoscendo così un altissimo rischio di sviluppare vere e proprie patologie.
Sempre più numerose le ragazze hikikomori
Da queste recentissime ricerche è emerso altresì un dato significativo ai fini dell’inquadramento del fenomeno connesso al genere, vale a dire: con alcune doverose specificazioni le giovani ragazze (che da sempre sono state considerate la minoranza tra i giovani hikikomori) sembrano essere ad oggi addirittura il triplo rispetto al genere maschile.
Nelle fasi che potremmo definire come più moderate dell’isolamento sociale le giovani donne sembrano essere più degli uomini e gli esperti e le esperte motivano tale dato in ragione di una (tendenziale) maggiore protezione genitoriale durante l’epoca dell’adolescenza. Se invece si fa riferimento alle fasi più gravi e croniche del fenomeno si conferma una maggioranza di ragazzi.
L’importanza di discernere con chiarezza le diverse forme di isolamento sociale giovanile
Pur riconoscendo il valore dello studio condotto dall’Istituto Superiore della Sanità, restano aperte alcune criticità e zone d’ombra, prima fra tutte quella di non riuscire a discernere con chiarezza le diverse forme di isolamento sociale giovanile, in particolare il ritiro sociale volontario cronico dall’isolamento legato ad atteggiamenti antisociali, disturbi di personalità e comportamenti d’abuso (cfr., su questi profili, Pigozzi, 2019; Vicari, 2022).
Distinguere le varie dinamiche di isolamento è però condizione necessaria e fondamentale per strutturare risposte educative, sociali e anche istituzionali adeguate.
Secondo Hikikomori Italia le cause principali del fenomeno sono due: episodi di bullismo e specialmente cyberbullismo subiti dai giovani che reagiscono chiudendosi in se stessi e nella loro stanza, e alte aspettative da parte degli adulti (figure genitoriali e/o membri della comunità educante).
In generale, infatti, ciò che può identificarsi come ‘unico comune denominatore’ è la convinzione del giovane di non riuscire a rispondere a tutte le istanze della famiglia e del mondo circostante: l’isolamento e la rottura delle relazioni, prima con le figure ‘significative’ e poi con l’esterno, vengono percepiti come unica via di fuga (Bagnato, 2023; Lancini, 2019; Mignolli, Locati, 2023).
Prospettive di intervento
Il Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare giapponese nel 2003 ha pubblicato le linee guida sulla sindrome di hikikomori: l’intercettazione dei primi segnali di disagio è, infatti, fondamentale per prevenire e contrastare la diffusione del fenomeno che porta con sé gravi conseguenze (più o meno permanenti) sulla salute fisica e mentale dei giovani (sulle modalità di intervento si veda, da ultimo, Furuhashi et al., 2023).
Si può certamente affermare come il fenomeno in esame abbia profondamente colpito (con ricadute significative a più livelli) il mondo della scuola e della comunità educante ma interroghi anche quello politico-istituzionale e della ricerca.
La necessaria alleanza tra scuola e famiglie
L’alleanza tra scuola e famiglie, le due dimensioni ove i giovanissimi costruiscono principalmente la loro identità e sperimentano la relazione con l’alterità, appare un punto di partenza imprescindibile per conoscere, prevenire e combattere il fenomeno.
Ciò che serve è la definizione di obiettivi condivisi e, in questo contesto, strumenti assai utili potrebbero essere i già menzionati “patti educativi digitali”.
Siffatti accordi, finalizzati a garantire la sicurezza e il benessere psico-fisico di giovani e giovanissimi, possono essere intesi come “patti di corresponsabilità” che partono dalle famiglie e si aprono alla cooperazione con altri soggetti coinvolti nell’educazione (digitale e non) dei giovani di minore età (scuole, enti locali, mondo dell’associazionismo e dello sport) prevenendo e contrastando i processi che possono condurre all’isolamento, all’autoreclusione, al rifiuto totale di relazioni nel mondo fuori dalla rete.
Si aprono dunque nuovi orizzonti di riflessione nel dibattito pubblico e all’interno della comunità scientifica; nuove sfide si pongono dinanzi anche ai decisori politici che sempre più sono chiamati a elaborare risposte urgenti ed efficaci al fine di tutelare e assicurare il pieno benessere psicofisico delle persone di minore età, dentro e fuori la rete, nonché, per così, ai suoi confini.
Bibliografia
Bagnato K. (2023), L’Hikikomori: un fenomeno di auto reclusione giovanile, Carocci, Milano.
Crepaldi M. (2019), Hikikomori: i giovani che non escono di casa, Alpes, Milano.
Casadei Th., Coniglione C. (2023), Patti educativi digitali: come indirizzare i ragazzi a un uso consapevole dei device, in “Agenda digitale”: https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/patti-educativi-digitali-come-abituare-i-ragazzi-a-un-uso-consapevole-dei-device/).
Furuhashi T., Tsuda H., Ogawa T., Suzuki K., Shimizu M., Teruyama J., et al. (2013) , Current Situation, Commonalities and Differences between Socially Withdrawn Young Adults (Hikikomori) in France and Japan, in “Evolution Psychiatrique”, 78, pp. 249-266.
Furuhashi T., Yokoyama K., Yamamoto Y., Maki Rooksby,Hamish J. McLeod (2023), An examination of the potential benefits of expert guided physical activity for supporting recovery from extreme social withdrawal: Two case reports focused on the treatment of Hikikomori, in “Frontiers in Psychiatry”, 2023, 14, pp. 1-14,
https://www.frontiersin.org/journals/psychiatry/articles/10.3389/fpsyt.2023.1084384/full
Lancini M. (2019), Il ritiro sociale negli adolescenti: la solitudine di una generazione iperconnessa, Raffaello Cortina, Milano.
Mignolli M.S., Locati A. (2023), Hikikomori: il Re escluso, Feltrinelli, Milano.
Pigozzi L. (2019), Adolescenza zero: hikikomori, cutters, ADHD e la crescita negata, Nottetempo, Milano.
Sagliocco G. (a cura di) (2011), Hikikomori e adolescenza: fenomenologia dell’autoreclusione. Seminario di studi e approfondimenti per un’ipotesi di cura, Mimesis, Milano-Udine.
Saito T., Angles J. (2013), Hikikomori: adolescence without end, University of Minnesota Press, Minneapolis.
Verza A. (2016), L’hikikomori e il giardino all’inglese: inquietante irrazionalità e solitudine comune, in “Ragion pratica”, 46, pp. 243-258.
Vicari S. (2022), Adolescenti che non escono di casa: non solo Hikikomori, il Mulino, Bologna.
Sitografia
The Conversation (2020), Hikikomori: understanding the people who choose to live in extreme isolation, https://theconversation.com/hikikomori-understanding-the-people-who-choose-to-live-in-extreme-isolation-148482
Fazion C. (2022), Chi sono gli Hikikomori?, Fondazione Veronesi https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/neuroscienze/chi-sono-gli-hikikomori
Hikikomori Italia – Associazione Nazionale Ritiro Sociale Volontario, https://www.hikikomoriitalia.it/p/the-yomiuri-shimbun.html
Save the Children (2023), Hikikomori e isolamento sociale: come riconoscerlo?, https://www.savethechildren.it/blog-notizie/hikikomori-e-isolamento-sociale-come-riconoscerli