Le linee di sviluppo della nostra società passano sempre più, obbligatoriamente, per i concetti di digitalizzazione e di sostenibilità (in senso ampio, non solo legata all’ambiente). Da qui emerge la necessità di sviluppare soluzioni tecnologiche e servizi che abbiano come obiettivo il miglioramento della qualità della vita di un’intera collettività.
Nel contesto dell’attuale diffusione e progressiva integrazione tra tecnologie digitali ed esperienza umana quali sono le sfide e le opportunità per un cambiamento completo verso una “tecnologia umana” che supporti il nostro benessere, la democrazia e l’ambiente di informazioni condivise?
Dilemma sociale, comunicazione e tecnologia
Tristan Harris, Justin Risenstein, Jaron Lanier, Shoshana Zuboff. Che cosa hanno in comune? Sono esperti di comunicazione che hanno lavorato alle piattaforme dei social network, contribuendo alla loro fortuna. E si sono anche “pentiti” di averlo fatto, non sopportando il peso della colpa: aver cioè concorso al successo di forme di comunicazione basate su un fine “distorto”, non trasparente e che di “sociale” ha ben poco.
Si sono resi conto, in particolare, trascurando l’aspetto che riguarda la sistematica violazione della privacy, che l’obiettivo dei social network è provocare una forma di “dipendenza psicologica” negli utenti che non molto differente rispetto alla coazione a ripetere scatenata dal vizio del gioco o alla dipendenza da sostanze stupefacenti.
C’è di più. Tristian Harris, informatico e imprenditore statunitense, già esperto di etica del design per Google. Laureato a Stanford, dove ha studiato etica della persuasione, dopo le varie esperienze al servizio delle piattaforme social, così come racconta nel noto documentario di Jeff Orlowski The Social Dilemma, è divenuto cofondatore e presidente del Center for Human Technology.
Justin Rosenstein, programmatore software e imprenditore, che ha collaborato alla invenzione del tasto con pollice su in Facebook, e Jaron Lanier informatico, compositore e saggista statunitense, noto per aver reso popolare la locuzione virtual reality, sono altri due insider delle big tech, giunti alla stessa conclusione di Harris. Ognuno di loro è perfettamente a conoscenza del meccanismo di funzionamento dei social e l’obiettivo neanche tanto celato di creare dipendenza.
Shoshana Zuboff, psicologa e filosofa docente alla Harward Business School, autrice di libri che hanno contribuito al dibattito su temi quali “capitalismo di sorveglianza”, “potere strumentale”, “mezzi di modifica del comportamento”, “civiltà dell’informazione” riporta nei suoi lavori come il processo di dipendenza si inneschi al sopraggiungere di un like attribuito a un nostro messaggio. Il sistema cognitivo encefalico, lo interpreta come “ricompensa”. Ognuno di loro è perfettamente a conoscenza del meccanismo di funzionamento delle tecnologie e l’obiettivo neanche tanto celato di creare dipendenza.
Appare evidente l’esigenza di una riflessione sulle opportunità che offrono le tecnologie per il miglioramento della qualità della nostra vita ma anche al tempo stesso emerge la necessità di una riflessione sull’esigenza di una maggiore consapevolezza della “densità” morale della tecnologia.
Umanizzazione delle tecnologie
Essere parte di una comunità è una esigenza fondamentale di ogni essere umano, ad ogni età ed a qualsiasi latitudine. La conferma viene dalla pandemia, che ha rimodulato il vissuto di milioni di persone dando alle tecnologie un peso abnorme. Il dionisiaco oggi è racchiuso nel display dei nostri telefoni.
Ma quando l’oggetto del business smette di essere una merce e comincia ad essere l’umano, la causa efficiente che orienta la produzione in quanto legge mercantile del valore (una configurazione quantitativa, materiale e misurabile) viene portata a conseguenze estreme, a un limite dove del tutto naturalmente le cose si capovolgono. E così l’uomo che si è collocato per secoli alla categoria classica del lavoro salariato, si trova allineato all’unica definizione oggi possibile, quella del lavoro/servizio, anzi del lavoro che diviene a un servizio reso, in cui il prestatore sia sempre meno assente, sempre più implicato personalmente.
Nel passaggio dal codice della produzione materiale a quella che possiamo definire “riproduzione”, vale a dire produzione di servizi, trova spazio una frontiera che si chiama “umanizzazione delle tecnologie”. La pandemia ha evidenziato quanto siamo dipendenti dalla tecnologia. Tuttavia, è emersa anche l’esigenza di creare tecnologie che abbiano un output umano più riconoscibile che ispiri fiducia inserendo del valore umano nelle tecnologie (es. piattaforme di shopping online che offrono ai clienti un’esperienza di acquisto interattiva).
Allo stesso tempo, l’idea di bellezza, di verità, e persino di giustizia irrompono sulla scena dell’economia. È un passaggio che muta radicalmente lo scenario determinando l’erosione del principio guida classico del business, basato sul pensare a breve scadenza, con i mezzi che diventano fini. Pertanto, l’umanizzazione delle tecnologie è un influsso trasformatore capace di generare una nuova età del business.
La parabola professionale di Tristan Harris è perciò emblematica da ogni punto di vista. Dopo aver spiegato al mondo come Facebook, Instagram e le altre tech company creano volontariamente dipendenza, fonda e diviene portavoce del Center for Humane Technology, un’organizzazione senza scopo di lucro dedicata a reinventare radicalmente l’infrastruttura digitale. La sua missione? Guidare un cambiamento globale verso una tecnologia umana che supporti il benessere collettivo, la democrazia e l’ambiente di informazione condivisa.
In poche parole: impedire alle tech company di “sequestrare” le nostre menti. I clienti – cioè noi – siamo il motore del cambiamento promesso dalla Human Technology: sempre più esigenti, competenti, selettivi, autonomi e uniti. Non ci accontentiamo, ad esempio, di servizi di assistenza solo digitali, la nuova frontiera è la “video–relazione”, con nuove figure professionali – gli operatori in video – appositamente formati per rispondere alle esigenze dei clienti e cittadini attraverso differenti modelli di video – kiosk. La relazione è sempre gestita a video con una persona “live” mentre i dispositivi hardware annessi consentono le operazioni di servizio come rilasciare card, oggetti o coupon.
Etica e tecnologia
Ciò che si richiede allo sviluppo tecnologico è essere sempre più al servizio dell’uomo, in primis nelle attività di assistenza, ma in seconda battuta nel progettare e inventare nuove strade da percorrere per la qualità del servizio. Quando l’uomo diviene il fine ultimo, entra in gioco il mondo delle relazioni che è fatto di emotività, impulsi, bisogni e persino sorrisi e sensazioni. Siamo nel mondo in cui conta la manutenzione e il prendersi cura, dove la ricerca di nuove tecnologie conta nella misura in cui esse aiutano a dare valore alla relazione umana con l’utente: tecnologia etica. Human Technology è, pertanto, l’orizzonte entro cui indagare il ruolo umano nelle tecnologie esistenti ed emergenti e viceversa. Da questo punto in poi niente sarà più come prima, se non (forse) per un breve termine. Per chi avrà tempo e modo di assistere alle cose spinte al limite, dove del tutto naturalmente esse si capovolgono, sarà uno spettacolo da non perdere. Si tratta dunque di comprendere e ricordare costantemente la centralità dell’uomo durante la realizzazione di qualsiasi progetto che va a inserire le innovazioni tecnologiche.
Emerge, in questa prospettiva, anche l’opportunità di affiancare etica e tecnologia per le nuove tecnologie che pongono sempre al centro l’uomo e sono al servizio di un autentico sviluppo: potrebbe rappresentare una prospettiva da perseguire per reindirizzare il corso della tecnologia, verso un migliore allineamento con l’umanità. Ma servono nuovi criteri, categorie e linguaggi. Quando si parla di nuove tecnologie si parla sostanzialmente di algoritmi.
Conclusioni
È innegabile che la “relazione” uomo e tecnologia racchiude da sempre grandi opportunità che pongono le basi per il progresso tecnologico dell’umanità. Tuttavia, a differenza del passato, stiamo assistendo a un fenomeno nuovo che vede la tecnologia stessa adattarsi alle esigenze di chi la utilizza, umanizzandosi. Probabilmente, assisteremo nel prossimo futuro a una rapida fusione tra uomo e macchina in cui la nostra umanità verrà “incorporata” nella tecnologia. Quello che stiamo vivendo è uno dei momenti più rivoluzionari nella storia del genere umano che pone la tecnologia al centro di un cambiamento epocale come strumento per migliorare le nostre capacità umane. Con il risultato che assistiamo anche a una progressiva integrazione tra etica e tecnologia. Questo comporta sfide etiche, legali e sociali. Come società, siamo chiamati a discutere le questioni etiche di ciò che è “naturale”, ciò che è morale e ciò che non dovrebbe essere consentito.
Bibliografia
Shoshana Zuboff. Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri. Ed. LUISS University Press, 2019.
Gerd Leonhard. Tecnologia vs umanità. Lo scontro prossimo venturo. Ed. EGEA, 2019
Fabio De Felice, Antonella Petrillo. Effetto digitale. Visioni d’impresa e Industria 5.0. Ed. McGrawHill, 2021.
Helen Papagiannis Augmented Human: How Technology Is Shaping the New Reality. Ed. O’Reilly Media Inc. 2017.
Max Tegmark. Life 3,0: Being Human in the Age of Artificial Intelligence. Penguin Books, 2018.