Open gov

I cittadini partecipano, l’amministrazione tace

Le consultazioni pubbliche per riformare la Pa si susseguono, ma senza una strategia. Manca ancora un sito web per le consultazioni governative e mancano le linee guida per le amministrazioni. Eppure la partecipazione è una delle basi principali per l’Open Government e per l’Agenda Digitale

Pubblicato il 14 Feb 2014

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Si è conclusa il 20 gennaio la consultazione pubblica sulle “100 procedure da semplificare”, nell’ambito del progetto “Burocrazia, diamoci un taglio!”. Non è ancora disponibile un rapporto di valutazione, ma solo i primi dati di partecipazione, attraverso cui apprendiamo che nel periodo di consultazione (quasi 4 mesi, da ottobre a gennaio) hanno contribuito 1953 persone di cui il 72% cittadini (e 28% imprese) e tra i cittadini un quarto dipendenti pubblici, e con una presenza generale degli under 34 al 17%. Di quanto accaduto nel periodo novembre 2010-ottobre 2013, invece, non abbiamo nessun rapporto di valutazione. Sappiamo che avevano contribuito in 2164, di cui 2124 cittadini. E basta.

I risultati forse sono ancora in elaborazione. Ma dal sito web nulla trapela.

Così come non è facile sapere quali siano le consultazioni pubbliche aperte o conoscere i risultati di quelle chiuse. C’è il sito web Linea Amica che riporta la maggior parte delle informazioni, con alcune imprecisioni e alcune mancanze, ispirato a un sito web come questo del governo UK , ma anche la ricerca di questa pagina di Linea Amica non è facilitata all’interno dei siti web governativi. Quasi ignorata.

Ed è triste vedere che l’iniziativa del progetto ConsultazionePubblica.Gov.it sia stata abbandonata nonostante rispondesse esattamente a queste esigenze e si proponesse di dare sistematicità e organicità alle iniziative di consultazione pubblica istituzionali.

Le ragioni? Cecità. Disattenzione. Timore dell’apertura e della discussione pubblica. Del render conto e di confrontarsi. Di gestire il confronto e il coinvolgimento attivo dei cittadini. Incompetenza, forse.

Sembra così continuare la “policy” di considerare le consultazioni pubbliche solo dei momenti episodici, in qualche caso di natura marketing, dai risultati non chiaramente utilizzati e utilizzabili. Con una progettazione di obiettivi e di metodi che appare approssimativa, almeno a giudicare dai risultati.

Così è anche il caso della consultazione pubblicizzata anche attraverso spot televisivi, quella sul “Piano Destinazione Italia”, che è stata aperta dal 9 ottobre al 9 dicembre 2013 e che ha portato ad una media di 7-8 commenti/segnalazioni per ciascuna delle misure contenute nel Piano. Naturalmente anche qui manca un rapporto sulla consultazione (probabilmente anche a causa dello scarso riscontro di partecipazione), ma soprattutto sembra che siano mancate le basi progettuali essenziali per una partecipazione adeguata (qual era l’obiettivo di partecipazione?), come se aprire un sito web ben fatto e accattivante e pubblicizzarlo in Tv fosse sufficiente. Ancora qui, vedendola in positivo, un’altra occasione mancata.

Partire dalle buone pratiche

Basta una rapida lettura alle guide e ai manuali sulle consultazioni pubbliche realizzate in questi anni da associazioni e studiosi, governi e nel contesto di progetti europei per avere la conferma che queste consultazioni sembrano ignorare i fondamentali di una pratica di questo tipo.

Il processo di partecipazione deve essere percorso, infatti, in tutte le sue fasi. Seguendo ad esempio il “Manuale delle migliori pratiche di e-participation”, questo significa passare attraverso le fasi di

  1. Definizione aspettative;
  2. Pianificazione del processo partecipativo;
  3. Esecuzione-azione della e-participation;
  4. Comunicazione dell’iniziativa (Fase parallela alla precedente);
  5. Decisione, Valutazione dell’iniziativa e Feedback.

E l’essenza dell’approccio è nell’attenzione ad una progettazione e ad una preparazione che possano essere indirizzate a monte (ed essere valutate a valle) da una chiara definizione degli obiettivi di partecipazione che si vogliono raggiungere.

Semplificando, l’esperienza ormai consolidata indica così che una consultazione pubblica deve essere basata su una progettazione che identifichi:

  • il livello di partecipazione che ci si propone (scegliendo tra informare, raccogliere pareri, proposte e idee, discutere-confrontare proposte e idee, coinvolgere attivamente nel processo di definizione, cercare una partnership effettiva e quindi attivare un processo di decisione collaborativa);
  • i target-attori da raggiungere (cittadini, settori di lavoratori, settori di imprese, …);
  • l’obiettivo di partecipazione adeguato (in termini di percentuale di popolazione target da coinvolgere);
  • i metodi più efficaci da utilizzare per raggiungere gli obiettivi di partecipazione (prevedendo in modo integrato e organico metodi online, via mass-media e in presenza, broadcasting e no) e di conseguenza i tempi necessari.

Negli esempi considerati, invece, non sembra apparire con evidenza uno sforzo di progettazione, forse perché si parte dal presupposto dell’arretratezza digitale italiana e che quindi qualsiasi apertura di uno spazio online di consultazione pubblica, comunque sia portato avanti, sia positivo in quanto tale. Con la distorsione di porre maggiore attenzione alla tecnologia e alla piattaforma da utilizzare piuttosto che alla progettazione del processo.

E sembra che questo sia il messaggio distorto prevalente nonostante anche in ambito parlamentare e istituzionale ci siano stati studi recenti di altro indirizzo (come quello realizzato sui Media Civici e presentato al Senato).

Rivedere profondamente l’approccio

In questo panorama si differenzia in modo significativo l’approccio seguito per la consultazione pubblica sulle Riforme Costituzionali, non tanto per i risultati, ma quanto per l’analisi critica che viene riportata nel Rapporto conclusivo, analisi che denota la presenza di uno sforzo progettuale significativo frustrato da una fase implementativa non allo stesso livello.

La partecipazione dei cittadini si è attestata sui 131mila (considerando che chi ha compilato il questionario approfondito era invitato a compilare prima quello breve), molto lontano dalla partecipazione alla consultazione sulla spending review (500mila) ma molto più di tutte le altre consultazioni fin qui fatte. Molto basso (irrilevante) rispetto alla popolazione italiana. Era questo il risultato atteso? C’era un risultato atteso?

La consultazione doveva, secondo la progettazione iniziale, prevedere tre livelli, che così possono essere semplificati:

  • la consultazione-sondaggio, basata su questionari (in modalità breve e approfondita) e con poca possibilità reale di fornire elementi diversi da quelli previsti nelle domande (se vogliamo, una sorta di raccolta guidata di pareri, con diverse criticità dal punto di vista della reale partecipazione);
  • la consultazione-discussione, basata sulla piattaforma online CIVICI e indirizzata alla raccolta di commenti e proposte, oltre che ad una discussione in modalità forum;
  • la consultazione sul territorio, che prevedeva l’articolazione attraverso iniziative delle scuole, di organizzazioni sociali, di enti. Un livello fondamentale alla pari degli altri due.

Cos’è successo?

  • la consultazione-sondaggio si è svolta in un periodo di tre mesi (agosto incluso), con una partecipazione squilibrata sugli uomini (66% nel questionario breve), sul Nord (42%) e sulla fascia d’età 48-57 (21%), che probabilmente sono segnali da non sottovalutare;
  • la consultazione-discussione è partita dopo due mesi (in gran parte per “ragioni tecniche”), a settembre e si è chiusa dopo soli 2 mesi, registrando in tutto 595 proposte;
  • la consultazione sul territorio si è concentrata nella “giornata della partecipazione” promossa dal Miur ma poco pubblicizzata e non eccessivamente preparata (alcune scuole hanno ricevuto la comunicazione solo qualche giorno prima), con circa un centinaio di scuole attive e con alcune iniziative della Fondazione Mondo Digitale. Molto meno di quanto previsto (dal rapporto: “Tra ottobre e novembre, era stata programmata una fase di dibattiti fisici, di difficile organizzazione nella fase estiva, incentrata in particolare nelle università come luogo privilegiato di dibattito, e arricchita da fondazioni ed organizzazioni della società civile” e, grazie all’impegno di Poste Italiane, “si era attivato il processo di organizzazione di una giornata specifica nella quale in almeno un ufficio postale centrale di 20 grandi città, sarebbe stato possibile compilare i questionari grazie all’aiuto di giovani volontari muniti di tablet.”). Le ragioni per cui queste azioni non sono state realizzate? Essenzialmente, “l’instabilità politica”.

La necessità della messa a sistema

Possiamo ancora permetterci di buttar via queste occasioni di partecipazione? E possiamo permetterci di avviare consultazioni pubbliche in modo disorganico, destrutturato o, quando invece sono progettate adeguatamente, non consentirne l’implementazione e quindi spingerle verso un risultato lontano dalle attese?

Nelle società del XXI secolo la messa a sistema della partecipazione non è un’opzione o una gentile concessione: è l’unica forma di evoluzione possibile dal punto di vista sociale ed economico, l’unico modo di sviluppare una governance efficace, uno degli assi strategici fondamentali.

Non si può lasciare al caso e all’improvvisazione, o alla volontà di pochi. Deve diventare un impegno prioritario. Prendiamo spunto dalla lucida analisi del gruppo Partecipa! e ripartiamo dall’analisi che aveva portato al progetto ConsultazioniPubbliche.Gov.It, dalle esperienze che iniziano ad esserci. Stimoliamo su questo punto un piano di azione di Open Government più ambizioso dell’attuale.

Avviamo il cantiere delle linee guida per la consultazione pubblica, apriamo un Osservatorio indipendente sulla partecipazione, diamo forma a questa strategia.

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