“Western values are steadily diverging from the rest of the world’s”, ha scritto recentemente The Economist. Ma è davvero così? E non stiamo forse tornando a uno dei tanti momenti in cui certi paesi del mondo decidono di non allinearsi e di provare a costruire un mondo multipolare/policentrico, o almeno non solo bipolare/bi-imperiale – come dimostrerebbe la recente riunione dei Brics, poi allargati, dal 2014 ad altri paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto, Argentina, Etiopia (Brics+)?
A parte gli Stati Uniti, contrari a questa ricerca di policentrismo – in quanto capo-filiera dell’impero d’Occidente, con 800 basi militari in 80 paesi del mondo e non certo per esportare la democrazia e difendere i valori dell’Occidente liberale e democratico (vedi Iraq e Afghanistan e, giusto 50 anni fa, il golpe statunitense-fascista di Pinochet in Cile usato poi per testare sulla pelle viva dei cileni, che non potevano protestare, il neoliberismo per poi imporlo a tutto il mondo), e con l’Europa che ne è l’appendice obbediente e omologata – avere un mondo policentrico, plurale e pluralistico non dovrebbe essere un’aspirazione di tutti, anche degli occidentali e soprattutto degli europei, che si dicono (ma non lo sono mai stati davvero) eredi anche di Immanuel Kant e quindi della sua idea di pace perpetua e di un ordine cosmopolitico, una federazione di popoli nella quale ogni stato sia tutelato?
Quindi perché non orizzontalizzare il potere e farlo policentrico anche in termini di valori diversi, estendendo il principio liberale di bilanciamento dei poteri e di controllo e contenimento reciproco?
Ma poi, e soprattutto, quali sono i valori dell’Occidente: il liberalismo o la religione del capitalismo (Benjamin) o del tecno-capitalismo (che poi sono la stessa cosa), ieri il cristianesimo nelle sue diverse forme, l’illuminismo, oppure il benessere e la ricerca della felicità, o i diritti dell’uomo; oppure il sovranismo/nazionalismo, il neofascismo e il suprematismo bianco – oppure ancora l’I have a dream di Martin Luther King, oggi sulle labbra soprattutto dei migranti?
Dai Non-Allineati ai Brics+
I Non-Allineati nascono nel 1961 con l’egiziano Nasser, lo Jugoslavo Tito e l’indiano Nehru tra i fondatori, ma hanno un antecedente con la Conferenza di Bandug del 1955, promossa dal governo indonesiano di allora, riunendo 29 paesi africani e asiatici, molti dei quali da poco usciti dalla colonizzazione occidentale. Nel Manifesto programmatico, approvato a conclusione della Conferenza di Bandung, i paesi coinvolti condannarono tutte le forme di oppressione coloniale e, come non allineati si proposero come nuovo soggetto della politica internazionale, distinti e autonomi dai due blocchi riuniti negli imperi di Usa e Urss.
Nella Dichiarazione di costituzione del movimento si affermava poi che la “la soggezione dei popoli al giogo straniero, la dominazione e lo sfruttamento […] sono in contraddizione con la carta delle Nazioni Unite e sono di ostacolo allo sviluppo della pace e della cooperazione mondiale […], dichiarando il proprio appoggio alla causa della libertà e dell’indipendenza di tutti i popoli”. E ancora: “Tutte le nazioni dovrebbero avere il diritto di scegliere liberamente i loro sistemi politici ed economici e il loro modo di vita […] e dovrebbero praticare la tolleranza e vivere insieme in pace e da buoni vicini e sviluppare una cooperazione amichevole […]”, rigettando “ogni interferenza e intervento negli affari interni di altri paesi”, insieme ribadendo che “la cooperazione nel campo economico, sociale e culturale contribuirebbe a creare una comune prosperità e il benessere di tutti”. Principi che potrebbero/dovrebbero essere validi ancora oggi ma che, da allora, non si sono mai realizzati e il mondo sembra anzi oggi procedere speditamente e irresponsabilmente – ma molto vantaggiosamente in termini di business, armi comprese, cioè di capitalismo – verso una nuova disruption violenta e disordinata dell’ordine geopolitico mondiale, tra imperi in decadenza (gli Usa) e nuovi imperi (la Cina) in cerca di legittimazione e di riconoscimento.
Da allora (1955) molte cose sono cambiate e ne ricordiamo solo alcune. Allora si era ancora nelle seconda rivoluzione industriale e stava iniziando la terza, quella dell’informatica e oggi siamo nella quarta, già ansiosamente aspettando la quinta (in realtà, al di là delle apparenze, è sempre una unica rivoluzione industriale, sempre uguale nella sua legge ferrea fatta di divisione del lavoro e della vita dell’uomo per la successiva integrazione delle parti in qualcosa di maggiore della loro semplice somma, cioè è sempre lavoro industriale, anche nel digitale, e sfruttamento tecno-capitalista di uomo e biosfera, e a cambiare è solo il mezzo di connessione e integrazione delle parti, uomini e macchine precedentemente suddivise: ieri la catena di montaggio meccanica-taylorismo, oggi la catena di montaggio-piattaforme digitali e il taylorismo anch’esso digitale).
E’ continuato lo sfruttamento colonialista delle materie prime di Africa, Asia e America Latina da parte del capitalismo occidentale, ieri per il petrolio e oggi per litio e terre rare (e non solo) e per queste materie prime si sono fatte e si fanno ancora guerre ovunque sia necessario per il profitto del capitale (ma la si chiama innovazione tecnologica…) oltre che del complesso militare-industriale.
L’ingerenza negli affari interni dei paesi si fa ancora con la guerra militare (ultima, in Ucraina, ma molte sono le guerre per frammenti, come ricorda Papa Francesco, dentro a una terza guerra mondiale tra potenze geopolitiche/geoeconomiche), ma soprattutto con il Wto e le riforme strutturali (tutte filo capitalistiche) imposte dal Fondo monetario e dal Washington Consensus a tutti i paesi del mondo e in Europa dall’ordoliberalismo di matrice tedesca e poi assurto a ideologia dell’Unione europea;.
L’idea di una cooperazione internazionale è stata sostituita dalla continuazione della guerra economica di tutti contro tutti e da forme di neocolonialismo – ma neocoloniali sono soprattutto i giganti hi-tech che hanno trasformato, uniformato e omologato il mondo intero secondo i valori e i voleri dell’Occidente tecno-capitalista e sublimati nella Silicon Valley (altro che diritto di “scegliere liberamente il proprio modo di vita”, altro che “valori divergenti dal resto del mondo”), creando un totalitarismo antropologico digitalizzato e neoliberale con la sostituzione del mercato alla polis, dell’homo oeconomicus/technicus all’homo politicus (si legga in proposito l’ultimo libro di Wendy Brown). E si potrebbe continuare…
Ma arriviamo ai Brics (36% del Pil mondiale e 47% della popolazione globale). Sono la nuova forma del Non-Allineamento? Il modo in cui – soprattutto da parte di Cina, India e Brasile – si cerca di costruire ancora una volta un mondo multipolare? Sarebbe una prospettiva interessante – tra i valori occidentali non vi è appunto quello del riconoscimento della pluralità, della diversità, della tolleranza, della libertà? – ma i valori dei Brics sono davvero diversi da quelli tecno-capitalistici dell’Occidente? Politicamente vogliono una diversa cooperazione economica, vogliono uscire dal pre-dominio del dollaro creando una nuova moneta di scambio, ma vogliono anche continuare a sfruttare il vecchio petrolio, come i nuovi litio e terre rare. E quindi, non agiscono usando e applicando gli stessi (dis)valori dell’Occidente, fatti di sfruttamento della biosfera, di industrializzazione della vita dell’uomo, di ecocidio pianificato? E non stanno quindi anche i Brics+ contribuendo a realizzare la profezia (che si auto-avvera ogni giorno che passa) per cui è più facile immaginare la fine della Terra che la fine del capitalismo?
La tesi dell’Economist è sbagliata, perché i (dis)valori veri dell’Occidente sono da tempo i (dis)valori del mondo intero e non stanno certo divergendo nella sostanza (l’apparenza e una cosa diversa – e l’Occidente continua a raccontare di voler estendere la democrazia e la libertà, contraddicendosi poi sempre nei fatti) da quelli del resto del mondo – e viceversa, i (dis)valori dei Brics+/resto del mondo sono gli stessi di quelli dell’Occidente. La loro è solo una diversa forma di capitalismo estrattivo e della sorveglianza, non certo un diverso paradigma antropologico, economico, tecnologico. E anche nei Brics+ vi sono democrazie, democrature, dittature, populismi, sovranismi, trumpismi, putinismi, fascismi proprio come nell’Occidente. Perché per il capitalismo e il neoliberalismo è sempre preferibile anche una dittatura purché favorevole al mercato, che una democrazia contraria al mercato (lo diceva il neoliberale von Hayek, esprimendo come meglio non si potrebbe il cinismo valoriale dell’Occidente).
E infatti, in Occidente come altrove, qualcuno si oppone forse al capitalismo e alla sua tecnologia (al tecno-capitalismo), intrinsecamente (per sua essenza) illiberale e anti-democratico? Non sono forse i mercati e l’hi-tech a dettare l’agenda anche alle democrazie? E non vale forse ancora di più oggi la definizione di Max Weber – di cento e più anni fa – del capitalismo come gabbia d’acciaio, quel capitalismo che è “potente ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica [ora digitale], che oggi determina con strapotente costrizione, e forse continuerà a determinare finché non sia stato consumato l’ultimo quintale di carbon fossile [oggi di litio e terre rare], lo stile della vita di ogni individuo, che nasce in questo ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all’attività puramente economica”? E non è la stessa gabbia capitalistica che troviamo in Cina, in India, in Brasile, in Russia? Nessuna divergenza, dunque, semmai perfetta convergenza, sovrapposizione, identità di (dis)valori tecno-capitalistici – i (dis)valori dell’Occidente che hanno ormai colonizzato l’intero globo.
I dis-valori dell’Occidente
E dunque, di nuovo: quali sono i veri valori dell’Occidente? Libertà, democrazia, individualismo, stato di diritto, uguaglianza, fraternità? Teoricamente sì, ma questo è appunto solo il velo ideologico che copre e nasconde il vero e unico valore dell’Occidente: tecno-capitalismo, tecno-capitalismo e ancora tecno-capitalismo, cioè profitto, profitto e ancora profitto (privato). E quindi, non è in contraddizione con la libertà di espressione proclamata a parole – un altro dei grandi valori dell’Occidente – l’accanimento persecutorio degli Usa contro Julian Assange? Sì, certo che lo è – come in contraddizione con i valori a parole dell’Occidente sono state la macelleria sociale e le torture della Polizia a Genova nel 2001 e oggi le stragi di migranti nel Mediterraneo, e molto altro ancora.
Torniamo allora a Marx ed Engels – che su certe cose hanno ancora molto da dirci – che nel 1848 scrivevano (ma è anche il mondo di oggi): La borghesia – ma noi dobbiamo dire: il tecno-capitale – “non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti. […]. La borghesia [il tecno-capitalismo e oggi la sua incessante disruption] non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali. […] Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. […] Al posto dei vecchi bisogni, a soddisfare i quali bastavano i prodotti nazionali, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani”. E ancora: “Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti [è appunto la logica compulsiva-accrescitiva del tecno-capitale], spinge la borghesia [il tecno-capitale] per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni. […] Essa costringe tutte le nazioni a adottare le forme della produzione borghese [tecno-capitalistica] se non vogliono perire; le costringe a introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi [cioè tecno-capitalisti]. In una parola, essa crea un mondo a propria immagine e somiglianza. […]”.
E sono appunti questi i veri (dis)valori dell’Occidente – come appunto dimostra tutta la sua storia, anche quella digitale/virtuale di oggi. E anche Brasile, Cina (l’altro grande inquinatore, con gli Usa) e India stanno cercando di non risolvere davvero la crisi climatica, ma di farci adattare ad essa (si chiama resilienza, parola magica che ci sta ammaliando, rendendoci impotenti davanti al tecno-capitale che la pronuncia), importante è non uscire mai dalla gabbia weberiana.
In realtà tutto il mondo è governato e predeterminato e legittimato, prima che dalla politica, dal capitale e dalla tecnologia da quella che definiamo razionalità strumentale/calcolante-industriale e che è la premessa (il mega-(dis)valore) di capitalismo e tecnica, per cui vale solo ciò che è strumentale alla massimizzazione del profitto e all’accrescimento del mercato e dei sistemi tecnici integrati e alla automatizzazione della società e dei comportamenti; che è misurabile e calcolabile e quindi standardizzabile, omologabile, replicabile, automatizzabile, pianificabile e oggi algoritmizzabile; e che quindi è industrializzabile, vita umana compresa e da cui estrarre sempre maggiore pluslavoro, produttività e quindi plusvalore/profitto privato, in quella che definiamo essere diventata da tempo – ma ancora di più grazie al digitale – una società-fabbrica, di cui noi siamo solo e sempre forza-lavoro per il profitto del tecno-capitale e mai per soddisfare i nostri bisogni e tutelare quelli delle future generazioni.
Conclusioni
Se dunque i valori (religiosi, politici, esistenziali) del resto del mondo sembrano divergere da quelli dell’Occidente (o viceversa), in realtà non esistono valori diversi e divergenti da quelli dell’Occidente. Ormai diventati la forma di vita del mondo intero.
Che poi molti paesi (ancora i Brics+) cerchino di ritagliarsi uno spazio proprio all’interno di questa occidentalissima (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale – e che sia irrazionale lo dimostra con tutta l’evidenza dei fatti la crisi climatica, per non dire della continua e crescente crisi sociale e della stessa democrazia – questa è solo la continuazione della (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale, con altri mezzi.
Bibliografia
Benjamin W., “Scritti politici I”, Editori Internazionali Riuniti, Roma, 2011
Brown W., “Il disfacimento del demos. La rivoluzione silenziosa del neoliberismo”, Luiss University Press, Roma, 2023
Demichelis L., “La società-fabbrica. Digitalizzazione delle masse e human engineering”, Luiss University Press, Roma, 2023
Demichelis L., “La religione tecno-capitalista. Dalla teologia politica alla teologia tecnica”, Mimesis, Milano, 2015
Kant I., “Per la pace perpetua”, Feltrinelli, Milano, 2013
Marx K. – Engels F., “Manifesto del partito comunista”, Feltrinelli, Milano, 2017
Weber M., “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, Rizzoli, Milano, 1991