I rider diventano, veramente, lavoratori subordinati. È proprio di questi ultimissimi giorni la notizia secondo la quale il Gruppo Just Eat Takeaway e i sindacati Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uil trasporti avrebbero raggiunto lo storico accordo circa la qualificazione dei rider della piattaforma come lavoratori subordinati.
Un accordo decisivo che si posiziona in precisa sequenza (o conseguenza?) con la potente mobilitazione nazionale del settore (il No Delivery Day di venerdì 26 marzo 2021). In quest’occasione, infatti, abbiamo assistito allo stop alle consegne a domicilio da parte di diverse migliaia di lavoratori, in più di 30 città. A questa astensione si è poi appoggiata, a supporto, la generosa “assenza di richieste” da parte centinaia e centinaia d consumatori che hanno aderito alla “chiamata” di boicottare il servizio di food delivery in solidarietà dei fattorini.
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Le tutele per i rider
Di pochi giorni successiva è, dunque, la chiusura delle trattative per la qualificazione dei rider di Just Eat, aperta fra le parti sociali qualche mese fa, come lavoratori dipendenti a tempo indeterminato.
Solenni e significative sembrano anche le qualità delle tutele riconosciute ai 4.000 fattorini oggetto dell’accordo. Le parti, infatti, hanno convenuto – come base iniziale di partenza – di applicare, pro-futuro, il contratto collettivo del settore Logistica, adattato, con accordo aziendale, per poter meglio rispondere alle esigenze dell’attività produttiva. Ma non solo: le parti hanno convenuto che i rider, in aggiunta alle tutele tradizionali previste dal lavoro subordinato e alle coperture assicurative fornite dagli istituti di previdenza e assistenza pubblici (Inps e Inail) a tutti i dipendenti, avranno la possibilità di accedere anche a un’assicurazione in caso di incidente grave sul lavoro.
I giggers di Just Eat avranno così accesso, per la prima volta de plano, a tutta la disciplina del lavoro subordinato quale, in particolare e fra l’altro, quella inerente al diritto alla malattia, alle ferie, agli straordinari, alla maturazione del Tfr, al riconoscimento del congedo parentale, dei premi di produzione, dei rimborsi, nonché gli agognati diritti sindacali.
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L’orario di lavoro
I fattorini potranno programmare con anticipo i turni di lavoro part-time, in base a tre regimi di orario: 10, 20 o 30 ore minime settimanali articolate in un range di massimo sei giorni la settimana, con possibilità di svolgere altra attività al di fuori dell’orario di lavoro.
L’orario di lavoro normale sarà, invece, di 39 ore alla settimana – anche se la durata media delle ore di lavoro settimanali non potrà superare le 48 – compresi gli straordinari che dovranno sempre autorizzati. Un monte ore garantito in fasce a tempo indeterminato verrà, poi, garantito dall’azienda per chi già lavorava con Just Eat.
Il calendario proposto dalla app sarà, per la prima volta si può dire, predisposto tenendo conto, anche, delle eventuali proposte, e esigenze, del lavoratore. Sarà poi possibile, pare, per i rider, esercitare il diritto di prelazione e indicare le proprie preferenze e disponibilità.
La retribuzione
Per quanto riguarda la retribuzione, anche qui alcune novità di rilievo: questa seguirà le tabelle previste dal citato contratto collettivo nazionale, con un corrispettivo orario del valore non inferiore a 9 euro sino alla maturazione di un’anzianità lavorativa della durata complessiva di due anni. A ciò ci si aggiungerà una piccola porzione aggiuntiva di compenso connessa alle consegne effettuate, oltre alle eventuali maggiorazioni per il lavoro supplementare, straordinario, festivo e notturno. E sarà previsto un rimborso chilometrico per cicli e ciclomotori.
Si tratta, dunque, di un significativo passo avanti nel panorama delle tutele giuslavoristiche dei giggers. I rider di Just Eat, infatti, non correranno più il rischio né di essere inquadrati, o eventualmente vedersi i contratti convertiti, come ibridi collaboratori etero-organizzati annessi alle tutele dei lavoratori dipendenti, ai sensi dell’art. 2 D. Lgs 81/2015 (si veda la sentenza della Corte di Cassazione 1663/2020) e neppure di essere apoditticamente categorizzati quali lavoratori autonomi (spalleggiando la muscolare posizione inaspettatamente presa, a fine estate 2020, dal controverso accordo tra Ugl e Assodelivery).
Tutto risolto allora? È l’inizio di una nuova era?
Non è, però, proprio tutto risolto: rimangono aperti alcuni snodi decisivi con le altre celebri società del Food-delivery nostrano. Numerosi sono, ancora, i tavoli di negoziazione rimasti in sospeso, si pensi ai tavoli con Glovo, Deliveroo, Uber Eats e Social Food sulla qualificazione dei prestatori.
E non solo: numerose questioni aperte concernono – anche e ancora – la malleabilità della nozione di subordinazione ai sensi dell’art. 2094 c.c. in tema di lavoro digitale.
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Se, infatti, da un lato la disponibilità del Gruppo Just Eat di assumere 4.000 fattorini come propri dipendenti subordinati fa ben sperare circa la possibilità di riassorbire correttamente nella loro corretta posizione, nei gangli del mercato giuslavoristico, i prestatori fin ora inquadrati (perché suggestivamente immaginati) come tasker autonomi, dall’altro non mancano ancora forti idiosincrasie rispetto alla corretta figurazione delle loro prestazioni nel panorama del diritto del lavoro.
D’altronde, non è un mistero come l’approccio giuslavoristico italiano, fin ora, abbia attestato – eufemisticamente – di mal digerire la definitiva acquisizione della figura del fattorino all’interno dell’alveo protettivo dell’art. 2094 c.c.. Ne sono diretto esempio l’oscura pronuncia della Cassazione n. 1663/2020, le indecise parole del PM milanese del 24 febbraio 2021 nonché la concessione (purtroppo di questo si tratta) di contratti di lavoro subordinato da parte di Just Eat solo a seguito di diversi annunci programmatici, e in concomitanza di scioperi, mobilitazioni e tavoli negoziali.
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Persiste, ed è innegabile, un sentito senso di agnosticismo nei confronti delle proprietà e sfaccettature digitalizzate della (tradizionale) subordinazione di queste prestazioni e questo sia nelle lenti di chi giudica, sia nelle menti di chi ne elabora il perimetro contrattuale e sostanziale.
Conclusioni
Ecco che allora, la qualificazione come lavoratori subordinati dei fattorini di Just Eat, può ancora acquisire un nuovo sapore: abbandonare un prestabilito e rigido pre-concetto di subordinazione-tecnica è auspicabile, oltre che possibile. Valorizzare le autorevoli elaborazioni che, al modello di stampo taylorista-fordista della subordinazione-eterodirezione hanno affiancato, per sostituirlo, il modello post-fordista della subordinazione-coordinamento, connotato da un livello elevato di autoregolazione, potrebbe essere una nuova e definitiva chiave di lettura. Un’evoluzione che prenda le mosse dalla configurazione della subordinazione-obbligazione interpretata in senso tecnico-funzionale, che riesca – invece e contemporaneamente – a cogliere le molteplici modalità attuative dell’obbligo lavorativo, comprese quelle de-gerarchizzate e on demand.
A parere di chi scrive, recuperare la previsione codicistica e letterale dell’art. 2094 c.c. spuria dalle stratificazioni giurisprudenziali e dottrinali che su di essa si sono costruite negli anni, potrebbe orientare gli avventori del lavoro digitale verso un futuro non così miscredente nei confronti della subordinazione di questi fattorini, senza il ricorso di figure ibride e/o senza il ricorso ad estenuanti contrattazioni collettive.
D’altronde, come sapientemente notato, l’art. 2094 c.c. non visualizza, né mai gli è stato richiesto di farlo, “un tipo sociale-normativo di lavoratore, identificandolo con quello eterodiretto della fabbrica fordista, ma piuttosto visualizza nell’impresa un modello sociale-normativo di organizzazione del lavoro e della attività produttiva” (si veda O. Mazzotta, Manuale di diritto del lavoro, agosto 2019) che di certo non è oggi cessato o mutato in alcun modo. Nella definizione dell’art. 2094 c.c. il modello tipizzato del prestatore nell’ambito del contratto di lavoro non è e non può essere limitabile alla figura del lavoratore eterodiretto così come l’operaio immaginato nell’impresa del Novecento, quanto piuttosto ad un archetipo più ampio, e non si vede perché in questo dilatamento della prospettiva non possano rientrare, finalmente senza remore, i rider.