l'analisi

I robot entrano in ospedale e ci aiutano contro il covid: ecco come

L’Italia ha nella robotica uno dei suoi punti di forza: numerosi centri di ricerca di assoluto livello mondiale e un mercato della robotica industriale secondo in Europa solo alla Germania. Ci vorrebbe ora la volontà politica e il giusto livello di collaborazione pubblico-privato per gestire l’emergenza

Pubblicato il 28 Apr 2020

Paolo Rocco

Politecnico di Milano

Andrea Maria Zanchettin

Politecnico di Milano

Flotta di robot mobili per la logistica (fonte Oppent SpA)

Nella realtà ante-covid, i robot erano diventati quasi uno spauracchio, pronti a rubarci il lavoro in fabbrica o stavano distanti, nello spazio, a trovare risposte alla nostre domande.

Ma ora che siamo quasi tutti a casa (almeno i più fortunati) o, ahinoi, a popolare i reparti di malattie infettive, è lecito chiedersi dove siano questi fantomatici dispositivi tuttofare. E soprattutto come potrebbero aiutarci, soprattutto e a cominciare dagli ospedali, dove non a caso il loro utilizzo è in crescita nel mondo.

La robotica di servizio

Sgombriamo innanzitutto il campo da un possibile equivoco: i robot non sono solo le macchine articolate che conosciamo da anni nelle linee di produzione, i ben noti robot industriali. Esiste tutta un’altra categoria di robot, non concepiti espressamente per applicazioni industriali, che vanno sotto il nome di robot di servizio.

Si usa distinguere tra robot di servizio per applicazioni personali e domestiche e per applicazioni professionali.

Nella prima categoria ricadono gli ormai popolari robot aspirapolvere o lava-pavimento, i tosaerba, i robot per la pulizia delle piscine e i robot da intrattenimento.

Molto variegata la tipologia dei robot di servizio per applicazioni professionali, in cui troviamo gli AGV (Automated Guided Vehicles), i robot per applicazioni mediche (robotica chirurgica e riabilitazione), gli esoscheletri, i robot per applicazioni sul campo, in particolare in agricoltura e nella difesa e i robot per manutenzione e ispezione (droni terrestri o aerei).

Gli analisti dell’International Federation of Robotics stimano che nel 2018 siano stati venduti 16 milioni di robot per applicazioni domestiche e circa 270,000 per applicazioni professionali, per un valore globale del mercato rispettivamente di 3.7 miliardi di dollari e di 9.2 miliardi di dollari [1], valori da confrontare con il mercato da 16.5 miliardi di dollari della robotica industriale[2].

Un arsenale di robot è quindi a nostra disposizione, pensati per le più svariate applicazioni e già sul mercato. Non ci possono essere utili nell’emergenza sanitaria?

La mobilità che aiuta

Diversamente dai tradizionali robot industriali, i robot di servizio sono generalmente mobili, possono cioè spostarsi nello spazio in cui operano localizzandosi ed evitando gli ostacoli nel proprio percorso. Questa mobilità, nei robot tecnologicamente più avanzati, è ottenuta per imitazione della locomozione umana: stiamo parlando dei robot umanoidi, in grado di camminare su terreni accidentati, scavalcare ostacoli, salire le scale, ecc.. Siamo però nel campo dei robot del futuro, che finora non sono ancora usciti dai laboratori di ricerca. La storia ci insegna che quanto si elabora oggi nei laboratori di ricerca, diventerà realtà industriale nel giro di alcuni (non pochi) anni. Le nuove generazioni vedranno questi robot in mezzo a noi, ma ora abbiamo bisogno di soluzioni più semplici, pronte all’uso.

Le basi mobili commerciali basate su ruote offrono già oggi un insieme straordinario di opportunità. Pensiamo a questi robot mobili che girano (non necessariamente autonomamente, ma anche tele operati) per le corsie degli ospedali, semplicemente portando un tablet al letto del paziente per connetterlo ai propri affetti familiari. Oppure alle stesse basi mobili che sempre nelle corsie degli ospedali o nelle residenze per anziani, portano le medicine o il cibo al letto del paziente. Tutte queste operazioni sono facilmente alla portata della tecnologia odierna e riducono la pressione sul personale socio-sanitario, diminuendone anche l’esposizione al rischio.

Abbiamo poi imparato che un’arma importante contro la diffusione del contagio è la sanificazione delle superfici e degli ambienti in cui il virus potrebbe risiedere. Se una sanificazione tradizionale con applicazione di detergenti potrebbe essere problematica da automatizzare con un robot, la sanificazione si potrebbe ottenere mediante atomizzazione di soluzioni disinfettanti. Il robot in questo caso sarebbe già pronto a portare in completa autonomia la strumentazione nelle stanze da sanificare.

E poi c’è la logistica. In campo industriale è ormai largamente automatizzata, ma anche negli ospedali si sono visti negli ultimi anni sempre più robot mobili autonomi. Quanto materiale di consumo, camici, lenzuola, ecc. viene movimentato ogni giorno in un ospedale? E tanto più quanto più l’ospedale si trova in situazione di emergenza. La robotica mobile è una tecnologia disponibile e già usata: si tratta di investire per aumentarne la diffusione e il momento giusto è ora.

La logistica è anche altro: possiamo pensare a robot mobili o anche a droni che consegnano rapidamente e in sicurezza pacchi e materiali urgenti agli ospedali. Ma sconfiniamo un po’ nel futuro, mentre l’emergenza impone realismo, concretezza e soluzioni pronte. E in questo il robot collaborativo, che abbiamo imparato a conoscere in industria, può darci una mano fondamentale.

Un robot collaborativo per la diagnostica di laboratorio

Ormai da qualche settimana il Governo ha istituito una Task Force, guidata da Vittorio Colao, per determinare la strategia della cosiddetta Fase 2. Tale strategia, che ha come obiettivo portare gradualmente il Paese verso una normale convivenza con il virus, deve però garantire la velocità nell’implementazione di strategie contenitive, ossia: diagnosi, distanziamento, tracciamento.

La situazione attuale del sistema sanitario è davanti agli occhi di tutti. I reparti di terapia intensiva degli ospedali sono stati sottoposti a un’ondata di accessi senza precedenti e, per gestire l’emergenza, si sono dovute rapidamente trovare e implementare soluzioni per un loro potenziamento. Ma non solo. I laboratori di analisi, nel giro di un mese hanno dovuto più che decuplicare la loro capacità giornaliera di processamento dei cosiddetti tamponi, dai circa 4 mila di inizio marzo, ai 60 mila di oggi[3]. E ovviamente, senza un’elevata capacità diagnostica, distanziamento e tracciamento non servono a nulla.

Ma se c’è una tecnologia che può venire incontro a un’esigenza di maggiore produttività è proprio l’automazione. L’odierna tecnologia offre già diverse soluzioni per l’automazione delle analisi di laboratorio. Se da una parte esistono prodotti, anche ben consolidati, di automazione completa per il processamento e la movimentazione di liquidi, provette, saggi, ecc., dall’altra esiste una tipologia di robot di nuova generazione che potrebbero essere utilizzati a questo scopo.

Stiamo parlando dei robot collaborativi, robot industriali a tutti gli effetti ma facili da programmare, che possono però essere installati in ambienti precedentemente destinati all’uomo e addirittura condividere lo spazio di lavoro con i tecnici di laboratorio in tutta sicurezza. Ed ecco quindi la soluzione compatibile con i tempi della ripresa. Infatti, se da un lato l’automazione tradizionale può permettere volumi di processamento inimmaginabili sia per l’uomo sia per la robotica, i tempi di progettazione, di configurazione, e di installazione di una stazione completamente automatizzata sono nell’ordine dei mesi. Senza trascurare la dimensione economica, tendenzialmente compatibile soltanto con i budget degli ospedali e dei laboratori delle città metropolitane. Per la robotica collaborativa, invece, i tempi di installazione si riducono a pochi giorni, con il grande vantaggio di cominciare da subito a vederne i benefici in termini di produttività.

Già, ma che mansioni potrebbero svolgere questi robot, una volta affiancati ai tecnici? Non stiamo parlando di robot per effettuare test diagnostici e prelievo di materiale organico, operazioni per le quali l’utilizzo del robot è ancora prematuro. Ci riferiamo invece alle fasi successive, ossia alle operazioni di laboratorio che vengono messe in atto in fase di analisi. Movimentazione di provette, riempimenti, lavaggi, preparazione di soluzioni, sono infatti tutte operazioni che richiedono tempo e precisione, e che vengono prevalentemente svolte manualmente dai tecnici di laboratorio, soprattutto negli ospedali di provincia.

Fig. 2 – Robot per la manipolazione di pipette (Andrew Alliance, fonte Wikipedia)

Ecco quindi due (o più) braccia meccaniche venirci incontro per poter potenziare rapidamente la capacità diagnostica necessaria alla fase, probabilmente imminente, di gestione della convivenza con il virus.

Unire le forze

Ma cos’altro può fare la tecnologia? In molti probabilmente se lo stanno chiedendo e la comunità scientifica, nella sua totalità, si è già attivata da tempo. In particolare, I-RIM (Istituto di Robotica e Macchine Intelligenti), un’associazione senza scopo di lucro nata da meno di un anno e che raccoglie tutti i ricercatori di robotica italiani e le principali aziende del settore, ha lanciato diverse iniziative finalizzate a raccogliere ulteriori bisogni. Coalizzando tutte le forze che progettano e producono tecnologie avanzate, intelligenza artificiale e robotica in Italia, in Europa e nel mondo, si possono fornire contributi utili. Tra le azioni concrete che I-RIM sta mettendo in campo c’è la raccolta di informazioni sulle richieste e necessità degli operatori sanitari, di chi produce, di chi si deve muovere comunque per lavoro, di chi lavora al pubblico nei servizi essenziali, di chi rimane isolato a casa. L’Istituto di Robotica e Macchine Intelligenti, tramite un questionario, sta raccogliendo queste informazioni per indirizzare la ricerca sulle cose più utili che possiamo fare insieme, qui e ora.

In collaborazione con il mondo dei maker, catalizzato da Maker Faire, I-RIM ha anche promosso la piattaforma TechForCare: un punto di incontro, tra chi esprime bisogni in relazione all’emergenza (chi opera nel servizio sanitario), chi potrebbe avere la tecnologia per soddisfare tali bisogni (la comunità che fa riferimento a I-RIM) e chi potrebbe realizzare in tempi rapidi i progetti (la comunità dei maker). Un modo concreto per portare soluzioni ai problemi dell’emergenza.

Conclusioni

Parliamo molto oggi, e giustamente, di intelligenza artificiale. Ma se l’intelligenza artificiale che si esaurisce nell’algoritmo (ossia l’intelligenza computazionale) può essere utile per l’analisi dei dati epidemiologici e per il tracciamento del contagio, nell’emergenza che riguarda l’interazione con il paziente e la manipolazione di materiali non è sufficiente. Occorre che l’intelligenza artificiale prenda corpo, che diventi il cervello di una macchina intelligente.

L’Italia ha nella robotica uno dei suoi punti di forza: numerosi centri di ricerca di assoluto livello mondiale e un mercato della robotica industriale secondo in Europa solo alla Germania. E’ ora arrivato il momento in cui il Paese ha bisogno della robotica per affrontare l’emergenza: se tutte le parti in causa (decisori politici, operatori sanitari, ricercatori, industria) lavoreranno insieme nessuno si chiederà più “Ma che fine hanno fatto i robot?”, come ha fatto, ad esempio, il 9 aprile Riccardo Luna su La Repubblica.

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[1] IFR – Executive Summary World Robotics 2019 Service Robots

[2] IFR – Executive Summary World Robotics 2019 Industrial Robots

[3] Dati giornalieri forniti dalla Protezione Civile

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