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I robot per la cura degli anziani: scenari, speranze e criticità

Nella cura agli anziani, il robot diventa compagno intelligente, interlocutore che promuove una vita sana e la socialità, monitora i parametri vitali. O ancora, aiuta la mobilità di persone affette da gravi disabilità neuromuscolari o permette un allenamento a basso rischio. Una panoramica su progetti, prospettive, rischi

Pubblicato il 01 Mar 2021

Emilia Ambrosini

Docente del Politecnico di Milano del Nearlab- Laboratorio Neuroingegneria e Robotica Medica

Simona Ferrante

Docente del Politecnico di Milano del Nearlab- Laboratorio Neuroingegneria e Robotica Medica

Alessandra Pedrocchi

Docente del Politecnico di Milano del Nearlab- Laboratorio Neuroingegneria e Robotica Medica

robot di servizio sostenibilità robotica IAT

I robot ormai sono entrati come attori del sistema sanitario in vari percorsi di cura, dalla chirurgia alla riabilitazione, superando l’iniziale diffidenza degli operatori e diventando strumento sinergico. Ma quali sono i nuovi scenari nell’ambito dell’assistenza agli anziani?

Quali sono le prossime frontiere

Un elemento che l’attuale pandemia ci ha posto dinnanzi come prioritario è la necessità che gli ospedali siano sempre più dedicati in modo specifico alle situazioni acute e gravi e che invece siano altri attori a gestire in modo efficace le situazioni croniche e meno critiche, senza che queste vengano né sottovalutate né trascurate.

Questa trasformazione verso un servizio sanitario decentralizzato, distribuito sul territorio, da alcuni chiamato “retail healthcare”, chiede un cambio di passo anche alla tecnologia. Opportune soluzioni infrastrutturali dovranno garantire la continuità e l’efficienza del servizio, perché la persona non abbia mai il rischio di non sentirsi presa in cura. In questo contesto, si colloca il tema attualmente particolarmente caldo (cfr Next Generation EU), delle Smart Infrastructure nel settore della salute. Queste infrastrutture dovranno garantire l’efficienza fisica delle strutture (Smart Hospitals o Smart HealthCare Facilities), l’efficace gestione dei dati sensibili (Smart Infrastructure for Healthcare data) e nuove soluzioni di cura e di monitoraggio (Smart Digital Solutions for Healthcare).

Come usare un robot nel contesto della cura e dell’assistenza agli anziani

I nuovi scenari dove i robot potranno dare contributi importanti riguardano la cura e l’assistenza delle persone pre-fragili, fragili, con patologie croniche e/o disabilità.

Il robot non è più quel macchinario complesso ed ingombrante che svolge azioni ripetute e faticose, come nelle più tradizionali applicazioni industriali. Diventa un compagno intelligente, un sistema dotato di capacità di raccolta di dati multifattoriali, di comprensione di dati, di comunicazione con esperti e di proposizione di azioni molteplici e adeguate al contesto.

Alcuni esempi in questa direzione sono già stati portati avanti nel contesto di ricerche a livello internazionale e in particolare europeo.

Il robot caregiver e di compagnia

Il robot caregiver propone esercizi, validati insieme ad equipe di clinici, attraverso questi verifica le capacità cognitive, verifica il livello di attività nella giornata, per esempio attraverso solette nelle scarpe, ricorda terapie da prendere, propone di chiamare figli e nipoti e di giocare a carte con amici in connessione virtuale. Insomma, il robot è un interlocutore nella giornata dell’anziano, che suggerisce una vita sana e promuove la socialità, cercando di monitorare la persona e di riconoscere segni di declino cognitivo così da comunicarli all’utente, ai suoi famigliari e ai clinici che lo hanno in cura. I robot caregiver hanno anche altri vantaggi: a differenza dei caregiver “umani”, non diventano mai impazienti, non dimenticano mai un farmaco o un appuntamento.

Un esempio in questa direzione è stato il progetto europeo MoveCare. La piattaforma robotica sviluppata integra tre funzionalità principali:

  • il monitoraggio trasparente delle condizioni psicofisiche dell’anziano tramite oggetti sensorizzati,
  • l’assistenza dell’anziano nello svolgimento di attività di vita quotidiana, come la ricerca di oggetti smarriti o il supporto alla terapia, e
  • la proposta di una serie di attività fisiche e cognitive da svolgere da soli o con altri all’interno di uno spazio virtuale in modo da promuovere la socializzazione.

Il robot utilizzato, originariamente sviluppato per la telepresenza, è stato potenziato con sensori in grado di rendere la navigazione autonoma più robusta ed efficiente e con un assistente virtuale in comunicazione con una rete di sensori interconnessi (Internet of Things) per offrire un monitoraggio trasparente di alcune attività quotidiane. Il robot caregiver combina il robot fisico con un ambiente smart inserendosi nel contesto della cosiddetta “Internet of Robotic Things”. MoveCare è stato testato sul campo in Spagna e in Italia su circa 25 utenti che hanno avuto a casa la piattaforma per circa 2 mesi con buoni risultati in termini di soddisfazione e usabilità. Risultati ancor più rilevanti considerando che parte del testing è ricaduto nella fase iniziale della pandemia, momento in cui l’anziano, costretto ad una vita casalinga, ha trovato nel robot caregiver non solo un assistente ma anche un compagno interattivo in grado di alleviare la sua solitudine.

Altri esempi di progetti che hanno sviluppato robot-caregiver sono basati sul robot PEPPER (cfr progetti Eu Caresses, Crowd-Bot e Animatas), robot con sembianze umanoidi che integra telecamere, sensori inerziali, laser sensori ad infrarossi, sensori tattili, microfoni e altoparlanti, che gli permettono di apprendere dall’ambiente circostanze, di riconoscere volti ed emozioni, di effettuare conversazioni e muoversi in autonomia, per suggerire attività fisiche personalizzate, ricordare di assumere farmaci e favorire la comunicazione con parenti e amici lontani.

Durante l’attuale pandemia, quando siamo stati tutti costretti al distanziamento sociale, i robot hanno dimostrato la loro potenzialità: poter arrivare agli anziani e tener loro compagnia senza alcun rischio, diventando una delle poche soluzioni all’isolamento cautelativo delle persone anziane e di quelle ad alto rischio.

Un altro grande scenario, delle cui potenzialità abbiamo ancora poco sentore, è quello della robotica sociale. I robot di compagnia sono una categoria di robot sociali che hanno dimostrato non solo di supportare gli anziani nello svolgimento di attività di vita quotidiana, ma di contribuire anche al loro benessere emotivo. Sono robot più semplici, il cui compito è analogo a quello di un animale da compagnia ma con meno necessità e più prevedibilità (si veda ad esempio il robot-foca PARO). Questo robot può ridurre la solitudine, la depressione, l’agitazione, la pressione sanguigna e persino la necessità di alcuni farmaci.

Il robot indossabile che aiuta lo svolgimento di azioni quotidiane

Una importante e completamente differente frontiera è quella dei robot indossabili, che partono dagli esoscheletri e si muovono verso sistemi a cavi distribuiti che vorrebbero essere praticamente invisibili… è una frontiera di grande fascino, in cui sistemi robotici si affiancano fisicamente e aiutano il movimento dell’arto stesso. L’evidenza scientifica mostra i vantaggi dell’uso di questi dispositivi in persone con disabilità medie e gravi, cambiando completamente l’autonomia in gesti necessari alla vita quotidiana come lavarsi i denti, grattarsi, mettersi a posto gli occhiali sul naso o mangiare. Sicuramente estendere l’uso di dispositivi di questo genere anche a persone che semplicemente tendono ad un affaticamento precoce o hanno dolori articolari o debolezze muscolari è una sfida aperta se impariamo a migliorare la vestibilità, mantenendo la sicurezza. L’accettabilità dei sistemi di assistenza è molto legata alla possibilità dell’utilizzatore di non essere marcato come differente. Nei progetti Bridge/Empatia, sviluppati grazie a progetti finanziati dalla Fondazione Cariplo al Sistema Lecco sotto l’egida di Univerlecco, abbiamo proprio sviluppato dei robot in grado di muovere il braccio della persona nello spazio per persone affette da gravi disabilità neuromuscolari, che portano all’immobilità e ad una grave dipendenza dalla presenza continua del caregiver. Mantenere o riacquisire autonomia in piccoli gesti della vita quotidiana, come lo spostare il proprio braccio perché dolente a causa dell’immobilità o abbassare la mascherina quando si è soli… fa la differenza!

Il robot che allena

Con l’avanzare dell’età, lo sport, nelle sue forme più tradizionali, diventa spesso proibitivo per limitazioni fisiche e per rischio di infortuni. Qui, il tema della robotica entra di nuovo in pieno e va a poter cucire quel sottile gap che si crea fra attività sportiva e fisioterapia, da alcuni indicato con il termine attività sportiva adattata. La frontiera è quella dei robot indossabili che alleviano l’azione richiesta ad alcune articolazioni e permettono un allenamento a ridotto rischio. Si sono dimostrate l’efficacia di questo tipo di affiancamento, infatti il beneficio sistemico allenante viene amplificato dall’affiancamento del robot, pur essendo il carico di lavoro ridotto, come mostrato nel progetto Cyberlegs++. Sicuramente l’attuale sfida è che un robot di questo genere non è disponibile per un largo consumo dati gli alti costi connessi, ma potrebbe diventare uno strumento per palestre di alto profilo che vogliono offrire servizi adeguati e sicuri allargando il loro mercato a persone anziane e/p con disabilità parziali. Il tutto, con un impatto sociale enorme.

I principali rischi correlati all’utilizzo di robot nella vita quotidiana dell’anziano

Se da un lato i robot possono aiutare l’anziano a continuare a vivere indipendente nella propria abitazione, dall’altro la diffusione dell’utilizzo dei robot ha portato con sé anche alcune perplessità. Alcuni esperti di bioetica sostengono che l’aumento dell’uso dei robot può diventare dannoso per la salute umana e le interazioni sociali, riducendo ulteriormente il contatto umano degli anziani.

La sostituzione dell’uomo con il robot solleva tutta una serie di rischi morali che hanno a che fare con la violazione della dignità, della privacy e della libertà degli anziani. Rischi che in realtà passano dalla moralità della persona, alla sicurezza della gestione dei dati a cui il robot ha accesso. La cybersecurity è sicuramente un tema cruciale anche per la diffusione reale e capillare di queste soluzioni.

Un altro aspetto delicato riguarda la stimolazione cognitiva: i robot possono ricadere nel rischio di infantilizzare l’interlocutore e di ridurre ulteriormente l’autonomia dell’anziano. Quest’ultimo aspetto richiede una forte capacità di adattamento del comportamento del robot sul singolo utente, in modo che si mantenga un giusto compromesso fra lo stimolo all’azione autonoma, laddove ancora possibile, e l’assistenza, quando necessaria. Il confine cambia nel tempo ed è strettamente legato alla persona, pertanto la flessibilità delle piattaforme è essenziale.

Altro aspetto molto delicato è l’accettazione di queste tecnologie da parte dell’utente, che può fortemente limitarne l’utilizzo quotidiano. Sicuramente il coinvolgimento degli utenti, fin dalla fase iniziale dello sviluppo della tecnologia, utilizzando il cosiddetto approccio “user-centered” può avere un notevole impatto sull’accettazione e la percezione dell’utilità di questi sistemi. Un ruolo nuovo si sta profilando nel panorama dei dispositivi medici: il paziente esperto (patient expert). Il paziente esperto è un paziente che ha seguito un percorso formativo certificato per collaborare alla progettazione di ricerca (cfr associazione eupati.eu). Il ruolo di queste figure è essenziale perché la centralità del paziente non sia una buona intenzione ma abbia una reale declinazione cooperativa nei progetti di ricerca. I pazienti esperti sono ormai molto impegnati nel settore pharma, dove tutte le grandi aziende hanno una divisione “Patient engagement”, e ora sta cominciando a diffondersi una cultura sensibile anche nel contesto dei medical devices, sia per vincoli regolatori che per effettiva necessità percepita dai progettisti e dalle aziende.

La grande sfida finale è quella economica. Riusciremo ad allargare la diffusione per ridurre i costi? Ma se non riduciamo i costi, come ampliamo la diffusione? Si tratta di un circolo virtuoso o vizioso? Qui la grande sfida dei macrosistemi. In Italia come in UK, il vantaggio di un sistema sociosanitario pubblico può funzionare come miccia che accende il sistema e ne attiva il circolo virtuoso, lo stesso potrebbero fare le grandi compagnie assicurative in altri paesi.

L’esperienza della pandemia ha dato un suggerimento forte in questa direzione, speriamo che qualcuno se ne accorga!

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