L’utilizzo spasmodico dei social network ha cambiato la percezione dell’aspetto esteriore, nostro e degli altri, ed è sicuramente molto cambiato da quando il selfie è diventato così importante nella nostra quotidianità.
Vogliamo allora soffermarci sul fenomeno dell’ansia da paragone, alimentato quotidianamente con forza dal mondo social, e dal trend dei filtri di bellezza.
Un circolo vizioso che mostra spesso vite perfette e patinate, nutrendo così la crescente paura della diversità, dell’imperfezione, e del giudizio altrui.
La bellezza salverà il mondo?
Il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij afferma: “La bellezza salverà il mondo”, ma è davvero così? E soprattutto, cos’è la bellezza oggi?
A giudicare da come stanno andando le cose onlife, forse è necessario fare un passo indietro e andare a recuperare il significato di alcune parole; significato che è stato deformato anche grazie alla nostra ubriacatura social degli ultimi dieci anni.
Un’attività che propongo spesso nelle mie aule, che siano popolate da adolescenti, manager o adulti in formazione, è quella di ritrovare insieme il significato delle parole, a partire da quello che troviamo online, e ragionarci insieme.
È interessante come, ad esempio, la parola bellezza, abbia perso di senso e sia diventata un termine che riporta quasi tutti istantaneamente a parlare dei selfie su Instagram, dei reel che ti insegnano a ritoccare al meglio le tue foto, dei video tutorial di make-up, o delle app che rendono corpi e visi perfetti, secondo i canoni social.
I social e il valore dell’idea di bellezza
La fame di “bellezza” online ha quindi avuto il potere di rimuovere – allo stesso modo di quello che fa con i filtri anti “difetti” – il valore all’idea di bellezza intesa come autenticità, come unicità.
Ma la bellezza che ci emoziona, che ci ispira, che ci nutre, che ci fa riflettere e smuove mondi dentro di noi, che ci apre all’empatia, offrendoci la possibilità di spostare il nostro punto di vista e di progredire, non è in effetti stimolata nel momento in cui entriamo in contatto con qualcuno o qualcosa di vero, di onesto, di autentico?
La bellezza, quindi, sebbene sia profondamente connessa ad un’idea di estetica, dovrebbe viaggiare a braccetto anche con il concetto di etica?
Creare e divulgare bellezza, di pensiero, di scrittura, d’arte, è un compito che richiede impegno e sincerità, prima di tutto con noi stessi.
La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze in età adolescenziale, con cui mi confronto tutti i giorni, dichiarano di non volerci mai mettere la faccia, sui social, per il terrore di essere giudicati per il loro aspetto, ma anche in presenza ne fanno volentieri a meno. Hanno paura del giudizio, si nascondono sotto il cappuccio di felpe oversize, e fanno il possibile per non farsi vedere.
L’idea molto diffusa è che se non sei perfetto o perfezionato da qualche filtro, meglio evitare di esporre la tua immagine.
Questo perché le vite che vengono divulgate sui social, sono spesso ritoccate, nei corpi e nei visi, ma anche negli stati d’animo, nei regimi alimentari, negli stili di vita, quasi sempre inarrivabili e quindi frustranti.
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Social e autostima
In molti paesi si studia da anni in modo approfondito la possibile influenza correlazionale dell’utilizzo dei social, sui problemi legati all’autostima, alle preoccupazioni legate alla propria immagine corporea e ai disturbi alimentari.
Il Parlamento norvegese ha aperto la strada concretamente in questo senso, decidendo di tutelare l’accettazione delle proprie caratteristiche, con la nuova legge entrata in vigore quest’anno, che obbliga ad indicare con un logo apposito, immagini, video e pubblicità ritoccati. Un gesto importante, che indica una strada per tornare ad un’idea di bellezza che non si allontani dalla nostra unicità.
Prima e dopo la cura dei filtri: ideali di bellezza sui social media
I social offrono a tutti la possibilità di esprimersi, rendono libere le persone di condividere contenuti, idee, opinioni, e dovrebbero aiutarci ad ampliare i nostri orizzonti mentali e a praticare l’arte di dialogo e confronto su larga scala, una cosa impensabile solo fino a pochi anni fa, e ricca di svariate opportunità, per tutti coloro che le vogliono cogliere.
Senza dubbio, per poterlo fare con la necessaria consapevolezza, ci vorrà tempo e tanta formazione per tutti.
Ad oggi, infatti, ci stanno creando anche qualche disagio, a partire dalle dipendenze digitali, fino all’ansia da paragone.
Una delle criticità più evidenti è il nutrimento di un concetto di uniformità nell’aspetto e di canoni prestabiliti di bellezza, basati spesso su immagini ritoccate. I contenuti visivi social hanno un’incidenza del 40% sugli adolescenti e del 22% sugli adulti, che si sentono influenzati nella percezione del proprio aspetto, con conseguenze psicologiche e sulla cura di sé.
I canoni di bellezza ideale e la loro lenta evoluzione sono ampiamente documentati dalla storia dell’arte, dalla comunicazione, dalla storia della moda e della pubblicità, canoni che, a partire dai greci, dettavano legge per decenni, mentre oggi cambiano continuamente in base ai trend del web.
Fino a pochi anni fa ci si confrontava con pochi amici, con le immagini stampate, la televisione, a differenza della realtà odierna, in cui ci si imbatte ogni giorno in migliaia di foto, video, reels, personaggi famosi.
Oggi stiamo quindi vivendo la tendenza al costante paragone con i modelli proposti da media e social, e si è innescata una dinamica di giudizio perpetuo, a volte spietato, nei confronti di sé stessi e degli altri.
Bellezza 4.0 e ansia da paragone
Con i social network possiamo essere attivi e protagonisti, e quindi più soggetti al continuo confronto con gli altri, oltre che a valutazioni, critiche, giudizi.
Il bisogno di paragonarsi agli altri non nasce con i media né con i social network, ma di certo le migliaia di immagini che ci investono ogni giorno navigando, ne amplificano l’effetto, e anche quello meno positivo.
Le narrazioni che vediamo sulle piattaforme digitali possono crearci disagio, in particolare negli adolescenti, ma non solo. I canoni estetici che ci offrono spesso i feed che spulciamo online, sono spesso inarrivabili, e questo ci può far sentire inadeguati e mai all’altezza.
Ma i visi perfetti che vediamo pubblicati, e che ci fanno spesso sentire inadeguati, sono reali?
Selfie e ritocchi
I “filtri di bellezza” contribuiscono ad alimentare l’idea che non sia accettabile mostrarsi imperfetti e quindi per come, in verità, si è. Avete mai provato a fare una ricerca, scrivendo “app rimozione difetti”? Provate, rimarrete stupiti dalla vastità dell’offerta.
Il selfie si è lentamente trasformato in un nuovo parametro di valutazione del nostro aspetto, e una buona parte delle persone si sta gradualmente uniformando a canoni estetici che non le appartengono. Se quindi l’essere umano ha già timore della diversità, dell’imperfezione, del giudizio, in cosa può sfociare questo trend?
Snapchat dysmorphia
Uno dei disagi in forte incremento, dovuto a queste dinamiche è la Snapchat dysmorphia.
Nel 2018, il medico chirurgo estetico britannico che ha coniato il termine Snapchat Dysmorphia racconta:
“Mi chiedono sempre più spesso un intervento chirurgico che li renda simili a uno scatto di loro stessi, modificato dai filtri Snapchat. Vengono da me e mi mostrano il cellulare. Non dicono ‘non mi piace il mio naso’, ma ‘non mi piace come viene il mio naso in foto’. È una tendenza che prima non esisteva”.
Quell’ansia da filtro sul proprio corpo: cos’è la dismorfia digitale e come si cura
Questo termine deriva da Dismorfofobia, o Disturbo da Dismorfismo Corporeo, un disturbo mentale precedente all’avvento dei social, che si traduce nella costante preoccupazione per alcuni ipotetici difetti fisici, che il paziente vive con grave disagio. Circa il 2,5 della popolazione mondiale è affetta da questa patologia, e soltanto in Italia circa 500.000 persone ne soffrono, in particolare i giovani.
“Sensazione soggettiva di deformità o di difetto fisico, per la quale il paziente ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo aspetto rientri nei limiti della norma.” [Enrico Morselli, medico e psichiatra italiano]
Questo tipo di disturbo che, come abbiamo detto, non nasce sui social, secondo alcuni studi e surveys a livello mondiale, verrebbe alimentato dall’utilizzo – soprattutto passivo, detto lurking – dei social.
Body monitoring
Il body monitoring è l’instancabile monitoraggio del proprio aspetto, che può arrivare fino all’ossessione. Secondo alcune ricerche una donna in media controlla il suo aspetto ogni 30 secondi, ma anche gli uomini, seppur in percentuale minore ne sono vittime. Il body monitoring, quindi è un’idea fissa che fa credere che tutti coloro con cui entriamo in contatto siano concentrati su quelli che noi riteniamo i nostri – ipotetici – difetti estetici.
Anche il body monitoring non nasce sui social, ma il trend social del fotoritocco, va a nutrire questa visione distorta della realtà.
Body positivity
Risulta quindi difficile pensare che i social media non abbiano modificato il nostro modo di percepire l’aspetto esteriore, dove spesso si nota appiattimento e uniformità delle diversità, anziché valorizzazione delle stesse.
Come risposta a questa tendenza, nasce spontaneamente oltre 10 anni fa il movimento Body Positive, composto da persone che divulgano messaggi di accettazione del proprio aspetto, delle proprie unicità, difetti compresi.
“Amati per come sei” è il messaggio che viene veicolato dalle immagini con l’hashtag #bodypositivity, hashtag che è stato creato per promuovere un’idea di fascino scollegata da canoni predefiniti e imposti dai media.
BeReal
“Bereal è la vita, la vita vera, e la vita vera non ha filtri”, questo lo slogan del nuovo social francese, nato nel 2020.
Questa proposta, questo slogan, raccontano un bisogno: tornare a raccontarci in modo più genuino.
Non a caso si rivolge ad un target preciso, la generazione Z, quella che sta accusando maggiormente gli effetti collaterali di un mondo social patinato, fatto di perfezione e bellezza a tutti i costi, e che non ama metterci la faccia, se a quelle condizioni, praticando esclusivamente il lurking.
L’idea può piacere o no, avrà successo o no, staremo a vedere – ad oggi 7 milioni di persone lo utilizzano – ma parla chiaramente di un bisogno rilevato a livello mondiale: quello di imparare ad essere più spontanei anche online, più “umanamente digitali”.
Come funziona BeReal? Una notifica che ti dice “Time to be real!” e che ti lascia 2 minuti esatti per scattare e postare una fotografia, impossibile ritoccarla, ma solo scattarla più volte – cosa che verrà eventualmente evidenziata nel post – dove si vedrà sia la faccia di chi scatta che il panorama che ha davanti.
Nessun like, ma solo RealMojis, il tuo selfie con l’espressione che vuoi dedicare alla foto postata dall’amico, che rimarrà comunque visibile per 24 ore.
Io ho provato, e devo dire che il conto alla rovescia dei 2 minuti per scattare e postare la foto mette un po’ d’ansia, ad oggi, dopo anni abituati a scattare decine di foto prima di scegliere la migliore e ritoccarla, e risulta sicuramente interessante da sperimentare.
Qualche idea per contribuire ad un mondo social con più bellezza e meno perfezione
- Divulgare messaggi di autenticità, evitando di farsi coinvolgere dal trend della perfezione, e dichiarare se i contenuti visivi sono ritoccati.
- Condividere contenuti che invitino al confronto, al dialogo, dove i diversi punti di vista e l’unicità di ognuno di noi possano essere valorizzati.
- Raccontare i propri errori e fallimenti in un’ottica di crescita personale, per offrire spunti di riflessione e per la crescita comune.
- Seguire e condividere i contenuti di pagine e personaggi che alimentino un’idea di genuinità, di valorizzazione della diversità, e non di perfezione, per evitare di essere bombardati continuamente da contenuti che inconsciamente ci destabilizzano.
- Impegnarsi a recuperare il valore delle parole, e utilizzare una comunicazione attenta e genuina, anche sui social.