Le evidenze scientifiche si stanno accumulando. I social network possono essere nocivi per lo sviluppo psico-sociale dei minorenni. Da ultimo ora c’è il forte sospetto che TikTok e video veloci sui social possano danneggiare la capacità di concentrazione e lo sviluppo cognitivo, educativo dei ragazzi; più di quanto avveniva con i video di Youtube.
L’ultimo studio, su Tik Tok
Uno dei pochi studi che esamina specificamente gli effetti di TikTok sul cervello si è concentrato su Douyin, l’equivalente di TikTok in Cina, fatto dalla stessa società madre cinese, ByteDance Ltd. Ha scoperto che i video personalizzati che il motore di raccomandazione dell’app mostra agli utenti attivano i centri di ricompensa del cervello, rispetto ai video di interesse generale mostrati ai nuovi utenti.
Le scansioni cerebrali di studenti universitari cinesi hanno mostrato che le aree coinvolte nella dipendenza erano altamente attivate in coloro che guardavano video personalizzati. Ha anche scoperto che alcune persone hanno difficoltà a controllare quando smettere di guardare.
“Noi ipotizziamo che gli individui con minore capacità di autocontrollo hanno più difficoltà a spostare l’attenzione dalla stimolazione video preferita”, hanno scritto i ricercatori dell’Università cinese di Zhejiang.
Drogati di stimoli, poco focus
La conseguenza è una minore capacità di attenzione prolungata, che è però quanto necessario per studiare, lavorare con efficacia. Il business model dei social, basato sulla cattura della nostra attenzione, sta sviluppando una società di persone meno efficienti, meno produttive? Meno capaci di lottare assieme per i grandi problemi, come i cambiamenti climatici
È il timore, argomentato, di Johann Hari nel nuovo libro Stolen Focus. “Pensate a qualsiasi cosa abbiate mai raggiunto nella vostra vita, che sia fondare un’impresa, imparare a suonare la chitarra, essere un buon genitore – ha detto Hari in una intervista a Recode. Quella cosa di cui siete orgogliosi ha richiesto un’enorme quantità di concentrazione e attenzione sostenuta. E quando l’attenzione e la concentrazione si rompono – e penso che ci siano prove convincenti che si stanno rompendo – la tua capacità di raggiungere i tuoi obiettivi si rompe e la tua capacità di risolvere i tuoi problemi è significativamente diminuita. Il mio libro parla di attenzione a due livelli. Uno è l’attenzione individuale. Tutte le cose che ho appena detto sono vere per l’attenzione individuale. È vero anche per l’attenzione collettiva: Una società che non può prestare attenzione ai problemi insieme, che consiste di persone che interagiscono principalmente attraverso meccanismi che le fanno arrabbiare, è una società che non può risolvere le sue crisi”.
Quali evidenze scientifiche
“È difficile guardare le tendenze all‘aumento del consumo dei media di tutti i tipi, il multitasking dei media e la crescita dei tassi di ADHD nei giovani e non concludere che c’è una diminuzione della loro capacità di attenzione”, ha detto al WSJ (che ha citato per primo lo studio cinese) Carl Marci, uno psichiatra del Massachusetts General Hospital di Boston.
I legami tra le diagnosi di disturbo da deficit di attenzione e iperattività e il tempo trascorso sullo schermo sono soggetti a dibattito, dal momento che molti fattori potrebbero spiegare il costante aumento dei casi. Eppure anche i genitori i cui figli non si qualificano per quella diagnosi medica dicono che i loro figli sono più distratti. Le ricerche emergenti suggeriscono che guardare video brevi e veloci rende più difficile per i bambini sostenere attività che non offrono una gratificazione immediata e costante.
E Hari sostiene che ci sono evidenze forti per i correlati degli effetti negativi dei social e degli schermi. Ossia si sa con sicurezza che poco sonno e una continua distrazione riducono la nostra capacità di focus. E se, com’è evidente, un abuso di social e video provoca quelle due conseguenze, il sillogismo è completo.
A questo si aggiunge che studi e dibattiti sul rapporto tra social media (e in particolare il consumo bulimico di video su TikTok) e bambini e teenager, le due fasce d’età in cui si concentrano maggiormente gli studi, stanno mettendo sotto la lente i rischi connessi al loro uso.
Quando i social fanno male a bambini e teenager (e quando no): gli studi
Da uno studio, pubblicato nel 2011 sulla rivista scientifica Pediatrics, è emerso che i bambini abituati a guardare video molto rapidi e cartoni ad elevata attività (i cosiddetti high-action cartoon) ottenevano risultati peggiori nei test rispetto ai bambini abituati a trascorre il tempo disegnando e guardando cartoni animati educativi ovvero le classici storie a disegno animato contenenti una “morale della favola”, come insegnano Esopo e Fedro.
Per esempio, la ricercatrice Angeline Lillard, PhD, professoressa di psicologia all’Università della Virginia, a Charlottesville, ha scoperto che una bambina di 4 anni che guardava video molto veloci nei test risultava avere un handicap nella prontezza a imparare. Infatti, la bambina risultava avere problemi a livello di gratificazione e nel risolvere problemi. Tale effetto era “immediato e significativo”, anche se non è dato ancora conoscerne la durata, e dimostra che ai genitori non conviene concedere ai bambini il tablet per guardare questa tipologia di video, mentre si recano a scuola, perché ne potrebbero pregiudicare i risultati scolastici nel corso della mattinata. Inoltre, aumentano i rischi di deficit dell’attenzione e nel seguire istruzioni in linea con l’età.
Purtroppo scarseggiano gli studi in pediatria, a causa dei pochi bambini partecipanti a queste ricerche, ma i disturbi dell’attenzione e nel problem-solving, dopo aver visto video veloci e cartoni “ad alta attività”, sembrano ormai certi.
Nello studio citato, condotto su 60 bambini, il 70% di chi disegnava passava agevolmente i test di problem-solving , come il 35% di chi guardava programmi educational in TV viewers, ma soltanto il 15% dei cartoon veloci risultava in grado di risolvere attività adeguate all’età.
Il limite di questi studi, tuttavia, è di essere scarsi e di avere pochi partecipanti.
Inoltre, è importante anche il nuovo lavoro di Orben, A., Przybylski, AK, Blakemore, SJ., sulle Finestre di sensibilità evolutiva ai social media indaga come “la relazione tra l’uso dei social media e la soddisfazione di vita cambia durante lo sviluppo adolescenziale”, prendendo in esame dati del Regno Unito comprendenti 84.011 partecipanti (10-80 anni).
I ricercatori hanno individuato due periodi di adolescenza in cui l’utilizzo massiccio dei social media ha stimolato valutazioni più basse di “soddisfazione per la vita”.
Infatti, la gratificazione scende intorno alla pubertà – dagli 11 ai 13 anni per le ragazze e 14 anni a 15 per i ragazzi – e poi ancora per ambo i sessi, intorno ai 19 anni.
“I nessi tra social media e benessere sono diversi nelle diverse età, ha commentato Amy Orben, una delle ricercatrici.
Infine, i ricercatori della Scuola di Psicologia dell’Università di Glasgow – Holly Scott, Stefania M Biello, Heather Cleland Woods – hanno pubblicato, nel 2019, uno studio sull’impiego dei social media e i modelli di sonno degli adolescenti.
Da questa ricerca emergono “associazioni statisticamente e praticamente significative tra l’uso dei social media e i modelli di sonno, in particolare l’inizio del sonno tardivo. L’educazione al sonno e gli interventi possono concentrarsi sul sostegno ai giovani per bilanciare le interazioni online con un programma di sonno appropriato che consenta loro di dormire a sufficienza durante le notti nel periodo scolastico”.
Inchieste del Wall Street Journal
Quanto a evidenze empiriche sui danni dei social sui minori, bisogna segnalare le inchieste del Wall Street Journal su come Instagram sta condizionando negativamente la percezione di sé peggiorando i casi di anoressia; e come Tik Tok sta convincendo vari teenager di avere disturbi di attenzione o depressione (e ci sono psicologi pronti, pure su TikTok, a prenderli come pazienti).
Sempre il WSJ ha riportato l’anno scorso e di nuovo a marzo 2022 di una certa quantità di casi di ragazze a cui negli USA i dottori diagnosticavano tic nervosi associati alla visione degli stessi video di Tik Tok; una sintomatologia simile alla sindrome di Tourette, una malattia neuro-psichiatrica.
Social e salute mentale degli adolescenti: perché le nuove misure Instagram non convincono
Big tech a caccia di attenzione
“Il cuore di questo problema è il modello di business”, dice Hari. “Così si apre Facebook o una qualsiasi delle principali applicazioni di social media e queste aziende iniziano a fare soldi immediatamente in due modi. Il primo modo è ovvio. Tu vedi le pubblicità e loro fanno soldi dalle pubblicità. Il secondo modo è molto più importante. Tutto quello che fai su Facebook viene analizzato e classificato da Facebook per costruire un profilo di te. Quindi diciamo che ti piace Donald Trump e dici a tua madre che hai appena comprato dei pannolini. Gli algoritmi di Facebook ti stanno scansionando. Questo è qualcuno a cui piace Donald Trump, probabilmente è conservatore. E sta parlando di pannolini, ha un bambino. Costruiscono un profilo di te da vendere agli inserzionisti. Come dicono sempre quelli della Silicon Valley, tu non sei il cliente di Facebook, sei il prodotto che vendono agli inserzionisti”.
“L’intero macchinario, l’intero modello di business ha un effetto: Ogni volta che prendi Facebook e lo scorri, loro fanno soldi. E ogni volta che lo metti giù, i loro flussi di entrate scompaiono. Così tutto il loro potere algoritmico, tutto il loro genio ingegneristico, alcune delle persone più intelligenti del mondo sono dedicate ad un obiettivo: “Come faccio a far sì che Sean prenda il suo telefono più spesso e scorra il più a lungo possibile?”, dice Hari.
Insomma, gli algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning per i sistemi di raccomandazione suggeriscono video accattivanti, in linea con i gusti di ogni profilo, in modo da rendere il bambino un cliente fedele, incline al binge watching.
Due studi del WSJ hanno mostrato come TikTok è costruito proprio per inondarti di video adatti ai tuoi interessi al punto da chiuderti in una gabbia in grado di influenzare le tue idee, e soprattutto nel caso dei minori, provocare potenzialmente disagio psichico.
Quali soluzioni
Abbiamo contattato Loredana Cirillo, co-autrice del libro “Figli di Internet” con Matteo Lancini e assistente del professore all’università di Psicologia a Milano Bicocca e psicologa nell’equipe di Lancini nella Fondazione Minotauro (che vanta un trentennio di esperienza con gli adolescenti, afferma che “la dipendenza da Internet in adolescenza non esiste, dal momento che non ci sono test e strumenti volti a misurare tale dipendenza: non è una diagnosi, ma ci sono studi sulla dipendenza da videogiochi”.
Oggi possiamo però parlare delle ricadute in certe fasce d’età: nell’infanzia, nella pre-adolescenza e nei teenager. “Dobbiamo avere in mente di quali soggetti parliamo. Il nostro libro è un (non) manuale perché non eroghiamo consigli validi per tutti o generalizzano. Non crediamo nei modelli delle dieci regole, perché non hanno validità scientifica e soprattutto semplificano una realtà molto complessa”.
Tuttavia, ammette Cirillo, “secondo tutte le ricerche neuro-scientifiche e psicologiche, che suddividono per fasce d’età, i bambini devono stare lontani dai dispositivi: Tv e Internet, perché devono essere accompagnati nella visione dei contenuti. Ciò non vuol dire che Internet sia da evitare, come abbiamo visto in pandemia. Le nuove famiglie di oggi hanno nuove esigenze: esigenze professionali o quelle di andare al ristoranti e portarsi dietro i bambini, spesso parcheggiati davanti allo smartphone per non disturbare gli altri commensali”.
Il tempo libero
“Il consiglio da dare è che i genitori o gli adulti devono accompagnare i bambini vanno e non devono esporli continuamente” a questi video veloci. Inoltre “i dispositivi hanno un potere altamente ipnotico. I bambini piccoli non dovrebbero tenere in mano cellulari. Ma i genitori non dovrebbero regalare questi device neanche alle elementari. I ragazzini escono dalle medie e hanno infinito tempo a disposizione che non sanno ancora occupare proficuamente: non sono in grado di gestire il tempo fra studio ed intrattenimento digitale, dopo che alle elementari hanno passato i pomeriggi impegnati in varie attività, decise dai (o insieme ai) genitori”.
Le esigenze evolutive
“Gli adulti dovrebbero tenere presenti anche le esigenze evolutive dei pre-adolescenti”, continua Cirillo, “ancora a scuola e in istituzioni che governino il tempo libero e la ricreazione. Ciò non vuol dire controllare, ma governare, lasciando anche margini di autonomia, ma meno di impatto rispetto ad ora”.
“Poi i bambini diventano adolescenti. Allora la faccenda si complica ulteriormente, perché Internet, TikTok e i social, i videogiochi diventano parte integrante della loro adolescenza.
Se ci troviamo davanti a un soggetto che ne fa un utilizzo disfunzionale o un iper-utilizzo, dobbiamo capirne le ragioni. Non possiamo pensare che i ragazzi, in uno stadio della vita come quella della pre e dell’adolescenza, siano in grado di mantenere il controllo e la regolamentazione. Ragazzi, a cui magari non sono mai state imposte regole neanche da bambini, non possono riuscire ad autoimporsi delle regole.
Una ricetta sullo screen time?
La American Academy of Pediatrics raccomanda di limitare l’uso della Tv per i bambini e scoraggiarne l’uso sotto i due anni. I genitori però possono decidere quanta Tv dovrebbero guardare i figli, quale tipologia di cartoni e video, e quando.
Infatti i genitori devono essere consapevoli che i video troppo veloci e consumati in modalità binge watching rappresentano un problema per i ragazzi: porta il loro cervello in stanby, almeno per un po’ di tempo, e li aliena, rendendoli incapaci di compiere altre attività.
I ragazzi potrebbero guardare questi video per mezz’ora al giorno, per esempio, ma mai prima di:
- recarsi a dormire;
- fare i compiti;
- andare a scuola.
Il professor Dimitri Christakis, MD, MPH, del Seattle Children’s Research Institute, dell’Università di Washington, definisce lo studio dell’Università della Virginia, citato all’inizio, una ricerca robusta.
Per questo motivo, siamo di fronte a una precocizzazione dell’infanzia: i bambini sono esposti a tanti comportamenti e dispositivi, a stimoli e a un iper investimento delle loro competenze e capacità. Poi andiamo incontro a un infantilizzazione della loro adolescenza in cui gli adulti vorrebbero ridimensionare la portata delle loro autonomie.
Quando si verificano comportamenti disfunzionali, in generale, dobbiamo pensare che se un ragazzo non esce, non è per colpa dei videogame: dobbiamo invece interrogarci sul perché non esce. Se un soggetto è inibito e gli vengono vietati i social, facciamo ulteriori danni allo sviluppo della sua socialità, immagine relazionale sociale. Invece se un soggetto è già avanti nei processi di socializzazione, è possibile pensare ad adottare un maggior controllo o un ritardo”.
Ogni caso va visto nella sua specificità. Però “bisogna aiutare i genitori: ascoltare i figli è il fattore più importante, in pre e in adolscenza non è più l’età di imporre regole, ma bisogna chiedere ed interrogare i figli sulla vita virtuale. ‘Come va su TikTok e sui social media?’, dovrebbe essere la domanda quotidiana da rivolgere ai figli insieme a ‘Come è andata la giornata a scuola?’.
“Mantenere il dialogo aperto: un dialogo in cui i genitori indagano gli aspetti affettivi, come stanno i figli, anche sui social, cosa vivono i minori nella loro mente soggettiva che non è mai generalizzabile”, conclude la psicologa Loredana Cirillo: “Chi vende regole generalizzabili invece non aiuta i genitori a comprendere la complessità in cui i ragazzi vivono. E noi adulti dovremmo capire in quale sistema sociale vivono i ragazzi, quali sono le questioni che più li attanagliano (essere popolari e voler avere tanti amici e follower) perché siamo noi genitori ad insegnare ai figli, fin da bambini, quanto la socializzazione e non essere isolati siano questioni importanti per la loro crescita sul piano relazionale”.
Sexting ed altri aspetti
“Questa ontologia è un aspetto importante nell’adolescenza e nella pre, come il sexting che non va demonizzato: non danneggia la crescita, ma fa parte di un nuovo galateo, in cui ci si mostra allo specchio per capire come cambia il corpo e qual è l’immagine di ritorno, prima di instaurare relazioni di coppia”.
“Ma ai ragazzi occorre insegnare che esistono i rischi connessi:
- la mancanza di privacy (il video o le foto possono finire in rete o sulle chat di gruppo di persone che loro non conoscono, perfino di adulti);
- il revenge porn;
ma bisogna insegnare ai ragazzi cosa vuol dire disdire una relazione, senza fare o subire danni. I genitori non devono demonizzare i dispositivi e i social che gli adolescenti si limitano ad utilizzare per ampliare le loro reti amicali e relazionali, e per comunicare con i loro pari eccetera. Del resto, sono stati gli adulti a regalare questi device ai ragazzi”.
TikTok e video: per scongiurare i pericoli social, la risposta è l’autodisciplina
Gregorio Ceccone, pedagogista del digitale, Coordinatore dei formatori e referente per l’Osservatorio Scientifico del Movimento Etico Digitale, si focalizza invece sull’uso dei social media: “Spesso i ragazzi nella pre-adolescenza infrangono la prima regola dei social: il limite dei 14 anni, secondo il Garante. TikTok ha poi anche un suo regolamento interno”.
Ma non è solo una questione di regole: “Ormai TikTok sta diventando una delle piattaforme più diffuse fra i teenager, ma la fascia d’età si sta alzando, grazie a contenuti interessanti e perché non ha le modalità più tossiche del mondo adulti.
L’importante è abituare i figli alla gestione dei tempi, limitando le fasce orarie con il parental control o con la classica sveglia. I video breve e molto efficienti purtroppo sono il rischio maggiore su TikTok perché inducono al binge watching e a far perdere tempo ai ragazzi sottraendolo allo studio e al gioco libero”.
I genitori dovrebbero dunque convincere i figli a darsi dei tempi e allenarli a rispettarli, educandoli ad avere un’autodisciplina“.
“Ai ragazzi che stanno per ricevere lo smartphone, l’indicazione è prepararli all’arrivo del device: 5-6 mesi prima, i genitori dovrebbero educarli a vedere i contenuti insieme, a scegliere chi seguire, a imparare a gestire i tempi.
Ci sono poi varie tecniche, come quella del pomodoro (adottata in ufficio per aumentare la produttività), come la sveglia della cucina: ritagliarsi tre quarti d’ora per i compiti e poi l’ultimo quarto d’ora per i dispositivi e i social”.
“Molti ragazzi dicono che il cellulare serve per i compiti. Ma poi si finisce per eccedere, le regole. Ma poi ci sono le tecniche degli spazi dove il cellulare non deve entrare.
Tuttavia i genitori devono essere un modello: se i genitori non dedicano troppo tempo, concentrandosi sulla famiglia, ma usano il cellulare come alibi (per lavoro), non sono coerenti nel dare un modello educativo ai ragazzi.
Oltre al quality time deve esserci anche la quantità: concedere poco tempo, ma di qualità, anche questo è un alibi; invece la relazione genitori – figli ha bisogno di tempo, anche tempo dedicato e di noia in famiglia. Non siamo la famiglia del mulino bianco, la famiglia può stare anche insieme annoiandosi”.
Dunque, “orari, spazi e modelli sono i tre capiscaldi centrali” di una buona regolamentazione all’uso del digitale. Inoltre, “bisogna evitare di screditare gli ambienti digitali (TikTokers e Youtuber) davanti ai figli. Meglio guardare insieme i video e farseli raccontare: la critica costruttiva va bene, ma bisogna anche proporre alternative senza criticare l’intero ecosistema digitale che rappresenta il loro quotidiano”. Insomma bisogna far conoscere ai ragazzi anche “gli influencer educativi, con un approccio educativo, accanto al mainstream e a ciò che fa moda”.
Infine, “guardare con curiosità il mondo dei ragazzi dimostra quanto i genitori siano ben disposti nei loro confronti e a confrontarsi con loro, mantenendo vivo e aperto il dialogo in ogni età”, conclude Ceccone.
In conclusione
Dal momento che l’utilizzo dei social media fra gli adolescenti è esploso nelle ultime due decadi, in parallelo coi tassi di depressione, ansia e suicidio, gli scienziati hanno iniziato a porsi domande se tra i fenomeni ci possa essere una correlazione.
Secondo alcuni, i social media potrebbero avere un impatto indiretto sulla felicità, in quanto sostitutivi di altre esperienze: interazioni di persona, esercizio fisico, sonno, tutte attività fondamentali per la salute mentale e fisica.
Ma se questi studi lanciano allarmi, anche giustificati, dobbiamo pensare che questa generazione vive “onlife”. E prima di limitare eccessivamente l’uso dei device e dei social ai figli, dovremmo porre severi limiti all’uso delle chat di classe da parte dei genitori.
Vietare i social non è una soluzione. Per altro, non bisogna nemmeno ignorarne i valori positivi per i giovani, che qui trovano spesso un luogo di confronto e di espressione dei propri disagi, pensieri sul mondo. Si pensi ad esempio al ruolo di TikTok per la protesta, anche dei giovani, per il razzismo negli Usa negli scorsi anni.
Gli studi sollevano problematiche su rischi ancora da valutare: la prudenza è importante, ma ancora più cruciale è dialogare con i figli, ascoltarli, interrogarli anche sulle loro attività online, proporre loro modelli positivi e insegnare loro ad imporsi l’autodisciplina. I genitori non devono avere paura di TikTok, ma imparare a prendere gli aspetti positivi da tutte le esperienze che fanno i ragazzi, sia in rete che nella real life.