Educazione e videogiochi: due temi che storicamente in Italia non si conciliano particolarmente bene. La resistenza a tutto ciò che è nuovo ed è potenzialmente in grado di modificare completamente il nostro stile di vita, però, non è solo una caratteristica tutta italiana ma universale, e coinvolge tutti gli esseri umani.
Il contrasto tra nuove e vecchie generazioni si palesa quindi anche nella permeabilità a nuovi medium e modi di intendere la realtà che ci circonda. Come cantavano i The Buggles: “video killed the radio star”, ovvero la novità che soppianta una realtà consolidata. Nel mondo del gaming in generale, che comprende quindi anche la sfera dei giochi da tavolo, di novità ne sono apparse davvero tante in un breve lasso di tempo e per gran parte di questo si è sempre vista una grande discriminazione verso tutti coloro che a lungo indulgevano in questi hobby.
Uno degli eventi che ha stigmatizzato i giochi per adolescenti fu quello denominato “Satanic Panic”, che negli anni ‘80 coinvolse il gioco di ruolo Dungeons & Dragons. Una vera isteria di massa che, negli USA, portò le generazioni meno avvezze ai giochi da tavolo ad additare come satanisti tutti i giovani che si dilettavano con quello che oggi è, in realtà, uno dei prodotti più conosciuti e apprezzati a livello internazionale. Non dimentichiamo che Dungeons & Dragons fa parte dell’ossatura del videogioco moderno e ha profonde radici in quel modo di intendere l’intrattenimento.
Le origini degli edu-game
Il gaming, però, non è sempre e solo intrattenimento ma spesso è anche in grado di educare giovani menti in fase di formazione. Si potrebbe pensare che, date le origini, sia un’evoluzione recente ma, in realtà, facendo un salto indietro nel 1985 si possono vedere alcuni esperimenti degni di nota, come Oregon Trail. Il titolo in questione fu sviluppato verso la metà degli anni ‘70, da studenti nel Minnesota, tuttavia fu solo una decade dopo che venne effettivamente pubblicato per computer Apple II.
Il titolo ha un gameplay molto semplice e chiede al giocatore di guidare con successo una famiglia di coloni lungo l’Oregon Trail, la pista dell’Oregon, battuta realmente dagli abitanti degli stati a nordovest degli USA durante la metà del diciannovesimo secolo. Durante questo viaggio il giocatore si ritrova a far fronte alle difficoltà che quegli stessi uomini avevano vissuto, tra malattie e problemi di natura tecnica legati agli attrezzi di uso quotidiano. Nonostante i limiti grafici dell’epoca e un’interfaccia spartana, fu fin dalla sua pubblicazione un successo strepitoso, a conferma della bontà dell’idea educativa applicata al contesto videoludico.
Non si tratta però di un unicum, nello stesso anno fu infatti pubblicato anche Where in the World is Carmen Sandiego?, sviluppato da Gary Carlston. Sicuramente più noto per la sua transmedialità – molto popolare è per esempio la serie TV omonima dell’inizio degli anni ‘90 o la più recente trasposizione realizzata da Netflix – il concetto alla base del gioco era quello di rendere la geografia divertente per tutti. Si inseguiva l’affascinante furfante Carmen Sandiego in giro per il mondo, risolvendo quiz ed enigmi per riuscire a sventare i suoi piani.
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Cosa si intende per “educazione” nell’ambito del gaming?
Lo scopo educativo traspare da questi due esempi in modo più lampante, ma come si applica al gaming moderno? Se un tempo il confine era quasi chiaro, ben stabilito e percepibile anche al di fuori della bolla, oggigiorno non è più così e bisogna pertanto partire da una domanda differente: cosa significa educazione? Se per i più è ancora inteso come la memorizzazione mnemonica di informazioni, allora in questo senso i videogiochi non fungono da medium educativo, poiché i dettagli inseriti nei giochi, salvo rari casi, non devono essere memorizzati e, anche qualora lo fossero, di rado hanno pertinenza al di fuori della sfera ludica.
Se invece per educazione si intende l’acqusizione di abilità che, esulando dal contesto ludico possono rivelarsi utili nella formazione dell’individuo, allora di tali esempi è pieno il medium. Partendo da giochi come Minecraft e Roblox, che stimolano la creatività, l’ingegno e la fantasia, spingendo alla lettura e alla collaborazione anche utilizzando la matematica. Giochi come Portal e il suo sequel, Portal 2, invitano alla logica tramite l’uso della fisica e abilità di natura spaziale, mentre altri come Kerbal Space Program e Main Assembly sono fonti di ispirazione grazie a concetti base di ingegneria. Quelli citati, inoltre, sono dei veri e propri giochi, non banali o dozzinali edu-game con una grafica accattivante, hanno pertanto una reale presa sul pubblico e delle loro funzionalità ne possono beneficiare soprattutto i più giovani.
Le competenze non sono tutto: gaming e sfera emotiva
Le competenze, però, non sono tutto e i videogiochi sono un medium in grado di formare su più livelli, soprattutto se si abbandona il campo di gioco dei costosi tripla A (ovvero le produzioni gargantuesche che devono rientrare in budget multi milionari) e si prendono, invece, come punto di riferimento i prodotti AA o quelli provenienti dal mercato indie, ricchi di sperimentazioni e approcci meno canonici.
La formazione intellettiva non prevede solo lo studio di materie classiche o scientifiche ma anche e soprattutto la sfera emotiva e, persino in tal senso, i videogiochi possono ricoprire un ruolo fondamentale, che non può far altro che crescere dato l’aumento esponenziale di popolarità. Esempi degni di nota sono To the Moon, con il suo approccio puramente narrativo che stimola la riflessione su temi essenziali come morte e amore; Life is Strange per la delicatezza con cui sviscera il tema dell’amicizia; Hellblade Senua’s Sacrifice che aiuta a mettersi nei panni di persone con problemi di psicosi o anche This War of Mine, che tratta il tema della guerra visto dagli occhi di chi subisce impotente gli orrori di un conflitto.
I vantaggi educativi del gaming
La discussione in merito è attiva fin dalla metà della decade scorsa, nel 2014 lo psicologo Andrew Przybylski della Oxford University pubblicò il suo studio in merito nella rivista Paediatrics (legata quindi alla branca della pediatria), dove sottolineava come i bambini dovrebbero essere esposti ai videogiochi (seppur con moderazione per evitare insorgenza di sociopatie). Con una certa moderazione i videogiochi sono infatti in grado di aumentare i tempi di risposta, incoraggiare il gioco di squadra, stimolare la creatività e la memoria visiva, migliorare capacità di strategia e insegnare il pensiero critico.
Tenendo conto di ciò, i giochi che nascono con scopi educativi sono sicuramente da privilegiare durante il periodo più ricettivo dei bambini, mentre tutti gli altri, che comunque migliorano le suddette capacità, possono essere un valido supporto durante la crescita.
La chiave, come sottolinea Przybylski, è nella moderazione, e tutto sommato non si tratta nemmeno di un concetto particolarmente moderno o rivoluzionario: Aristotele nell’Etica Nicomachea sottolineava come “il mezzo è la strada da seguire” così come Ovidio nelle Metamorfosi consigliava di seguire la “via di mezzo” e, persino in Asia, il concetto era tenuto in gran conto se si pensa all’Ottuplice Sentiero buddhista, dove la “Via di Mezzo” era il metodo migliore per raggiungere conoscenza e illuminazione.