gli scenari

IA come bene comune: le iniziative oltre i confini del profitto



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L’Intelligenza Artificiale (IA) ha rivoluzionato la tecnologia, ma la sua diffusione solleva preoccupazioni. È cruciale vedere l’IA come un bene comune, accessibile a tutti e orientato al benessere pubblico. Iniziative globali mostrano come l’IA possa migliorare la vita quotidiana, ma serve un impegno politico per realizzarne il pieno potenziale

Pubblicato il 10 giu 2024

Alessio Plebe

Università degli Studi di Messina



intelligenza artificiale ai act

Nell’ultimo decennio nessun settore scientifico-tecnologico ha vissuto una spinta innovativa paragonabile a quella dell’Intelligenza Artificiale (IA). I traguardi raggiunti nel giro di pochi anni hanno ribaltato la diffusa sfiducia sulle reali possibilità di avvicinare le capacità degli esseri umani da parte dei computer. Invece oggi queste possibilità sono reali e tangibili, prima è arrivata la visione e poi il linguaggio.

Già dieci anni fa i primi modelli neurali basati sul deep learning consentivano al computer di riconoscere oggetti ed eventi presenti in una scena visiva, in modo del tutto simile all’uomo. Qualche anno dopo l’IA ha colto un traguardo ancor più arduo, e da molti ritenuto impossibile per un computer: la comprensione e produzione del linguaggio umano. Non vi è facoltà di cui gli esseri umani non vadano più orgogliosi, su essa si posano le realizzazioni più mirabili dell’intelletto umano, romanzi come Guerra e Pace, saggi come La critica della Ragion Pura, formulazioni come la teoria della relatività generale. I modelli neurali del linguaggio, basati sull’architettura Transformer, non solo hanno dotato il computer di capacità linguistiche paragonabili a quelle umane, ma da un paio di anni hanno messo a disposizione queste capacità all’intero consesso umano, tramite strumenti come ChatGPT o Claude.

Intelligenza Artificiale: dalla rivoluzione alla preoccupazione

Di fronte ad un successo di tale portata, stride il crescente sentimento di preoccupazione, sospetto, e talvolta di esplicito allarmismo, nei confronti dell’IA e delle sue ricadute. Sempre più questo sentimento prende forma di istanze politiche miranti ad arginare il progresso e la diffusione dell’IA o quantomeno a porne stringenti vincoli. Vi sono diverse buone ragioni per assumere un atteggiamento critico rispetto all’attuale direzione di sviluppo dell’IA, che verranno prese in considerazione più avanti. Sarebbe però davvero deprecabile se l’insieme delle preoccupazioni, per quanto condivisibili, sortissero l’effetto di negare i benefici che l’IA potrebbe offrire a una vasta porzione di popolazione umana, con un potenziale ancora tutto da dispiegare.

Detto altrimenti, più che mettere steccati alla diffusione dell’AI, occorrerebbe abbattere le barriere che non consentano di beneficiarne ad una vasta porzione di popolazione. Beninteso, l’IA stà già offrendo importanti benefici all’umanità, ma in forme indirette, senza che chi ne usufruisce ne sia consapevole. Al momento è sicuramente la medicina l’ambito dove maggiormente il progresso dell’IA ha ricadute per l’umanità. Per esempio chi soffre di disordini ossessivi compulsivi può oggi trovare rimedio con il farmaco DSP-1181, inventato dalla Exscientia grazie all’impiego di algoritmi IA per progettazione molecolare, e pazienti di patologie neurogenerative trovano oggi tra le possibili cure quelle basate su ISRIB, un composto progettato da Insilico Medicine usando IA. Chi debba sottoporsi a diagnostica clinica per immagini può oggi contare su un notevole progresso nell’identificazione di possibili patologie.

Ma esiste un potenziale più vasto per l’IA, qualora messo a disposizione delle persone per impiegarlo consapevolmente come ausilio, in una miriade di situazioni di vita in cui servano supporti esterni a risolvere i problemi. Questo genere di impiego orientato ad una vasta cittadinanza è ancora largamente sottosviluppato, e non viene visto come una delle attuali priorità. E’ il momento di declinare l’IA come un bene comune, di cui occorre garantire un usufrutto non discriminato, e di cui andrebbe pienamente incentivato lo sviluppo nella direzione dei maggiori bisogni della popolazione.

La critica all’IA: reazionari VS progressisti

Come anticipato più sopra, da diversi anni l’informazione giornalistica e la saggistica sull’IA è dominata da toni critici. E’ utile discriminare all’interno di questo coro le posizioni a carattere reazionario, tendenti ad inquadrare l’IA nel suo insieme come un male per l’umanità, da quelle progressiste, che vedono l’IA come una risorsa al momento negata a molti. Naturalmente per i primi l’IA andrebbe rigettata, o quantomeno arginata, mentre per i secondi andrebbe espansa, ma mettendola al servizio di tutti.

La categoria reazionaria è a sua volta sfaccettata, vi rientra una tradizione antitecnologica che risale allo storico movimento luddista della seconda decade dell’ottocento. Allora il bersaglio erano i telai tessili automatizzati, e a capo di chi cercava di fermare le macchine c’era il mitico capitano Ned Ludd. Un esempio neo-luddita italiano è il Fermate le macchine! di Francesco Borgonovo, un’accorata perorazione a porre un freno all’innovazione, esplicita nel titolo.

Ma l’IA non è solo pericolosa in quanto tecnologia, forse ancor di più per la sfrontatezza di esibire le doti di cui l’uomo tende ad essere decisamente geloso. Non più di un secolo fa era ancora condivisa l’idea che l’intelligenza e la coscienza fossero facoltà unicamente umane, assenti in ogni altra specie animale.

I grandi progressi dell’etologia e della cognizione comparata hanno ampiamente dimostrato la continuità dell’intelligenza attraverso le varie specie animali, e oggi una persona di media istruzione non avrebbe dubbi a considerare l’unicità umana dell’intelligenza un pregiudizio del passato. A testimoniare quanto invece questo pregiudizio sia duro a morire arrivano, per esempio, le asserzioni del ministro italiano dell’agricoltura Francesco Lollobrigida il 26 aprile 2024 alla conferenza programmatica L’Italia cambia l’Europa: “l’essere umano è l’unico essere vivente senziente”.

L’IA frenata anche dalla religione

Non è pertanto sorprendente che sia ancor più difficile allentare la gelosia delle nostre capacità mentali nei confronti, non più di esseri viventi, ma addirittura di computer. Le espressioni più epidermiche di questo pregiudizio si concretizzano nei frequenti pezzi giornalistici che negano, con toni spesso irritati, l’intelligenza nell’IA, cercando di ridicolizzarla sulla base di casi di errore. Qualche titolo di articoli del genere del 2023 sono L’Asino artificiale non pensa. E non scriverà mai Amleto” comparso su il Giornale, o Solo la stupidità può trovare l’intelligenza in un algoritmo su Il Secolo XIX. L’attribuzione di intelligenza ad un computer infrange anche diverse visioni religiose, come quella cattolica, che l’associano al concetto soprannaturale di anima. Iniziano pertanto ad intravedersi iniziative di freno all’IA fondate sull’idea religiosa della natura umana e della sua intelligenza, soprattutto in Italia, dove il governo ha insediato un presbitero francescano, Paolo Benanti, alla guida della Commissione Algoritmi sull’IA, e lo stesso Pontefice è intervenuto in diverse occasioni con preoccupazioni sull’IA, la più recente il messaggio Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana del 24 gennaio 2024.

Anche la categoria delle critiche all’attuale IA in una prospettiva progressista sono variegate, ma se ne prende solo una per esporre più in dettaglio le tesi, il saggio del 2024 AI needs you: how we can change AI’s future and save our own di Verity Harding, direttrice dei reparto etica e società di DeepMind. Essendo una storica, Harding fa uso di tutta una serie di parallelismi con svolte tecnologiche del passato per mostrare le direzioni non auspicabili dell’IA e le alternative che la rendano bene comune: dalla corsa all’esplorazione spaziale del 1960 all’apertura della sperimentazione scientifica sugli embrioni in Inghilterra nel 1990. Più rilevante di tutti per l’argomento qui trattato è il paragone con Internet nello stesso periodo, 1990. Il suo sviluppo era fortemente perorato dal nuovo progressivismo americano, che mescolava istanze libertarie e democratiche, ne erano rappresentanti Al Gore e Clinton.

Il movimento degli Atari Democrats

L’idea di un sistema decentralizzato, antiautoritario, nelle mani del popolo, come Internet era una sorta di bandiera di questo movimento, battezzato all’epoca gli Atari Democrats. Il movimento fu premiato nel 1991 dalla firma dell’allora presidente George Bush del Gore Act for Internet, che nelle varie clausole includeva il dovere del governo di garantire l’accesso di tutti alla rete. Per diversi anni Internet fu davvero un luogo di sperimentazione di libera espressione e appariva il faro di quel movimento antiautoritario. Ma ben presto apparve come un enorme inesplorato mercato economico, su cui si lanciarono imprese grandi e piccole. La gestione del potere si rivelò presto essere il controllo del rilascio dei nomi di dominio, che nel 1998 fu affidato all’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), una corporazione privata.

L’IA a un bivio: perseguire propositi di benessere o di profitto?

Certamente Internet non ha cessato del tutto di essere uno strumento di comunicazione libera, ma i suoi propositi iniziali di democrazia radicale sono stati gradualmente archiviati in favore di un profitto sempre più gigantesco. E’ precisamente questo il bivio, suggerisce Harding, a cui si trova attualmente l’IA: perseguire propositi di benessere per l’umanità, o di profitto? Vi sono forti segni che sia quest’ultima la direzione su cui si è andata incanalando l’IA negli ultimi anni, il segnale più preoccupante è la graduale rarefazione degli sviluppi di IA in forma open source. Il progresso in informatica ha avuto storicamente come suo principio trainante l’open source, che consente l’amplificazione degli sforzi di sviluppo di ogni singolo centro di ricerca, contando su ogni passo avanti realizzato da altri. Ironicamente è stato proprio il consorzio che intendeva ribadire questo fondamentale principio incorporandolo nel suo nome, OpenAI, a tradirlo non appena a farne parte è subentrata Microsoft. Pur se ad essa si deve il merito di aver messo a disposizione gratuita un servizio pregevole come ChatGPT, il fine perseguito è diventato sempre più il profitto, da difendere dalla concorrenza negando l’accesso all’innovazione. Visto il potere di aziende come Microsoft, e la sproporzione di risorse rispetto alla ricerca pubblica, le preoccupazioni per una destinazione poco felice dell’enorme potenziale dell’IA sono più che fondate.

Il ruolo degli Stati nell’IA come bene comune

L’esortazione lanciata da Harding, che sia la gente dal basso a salvare le sorti dell’IA, è certamente altrettanto provocatoria quanto visionaria, ma, fortunatamente, si intravedono iniziative che cercano di dar voce a questo tipo di istanze, ne citiamo alcune.

Il caso Canada: culla dell’IA

Cosı̀ come l’Africa è stata la culla dell’intelligenza, evolutasi nella specie animale Homo Sapiens, il Canada è stato la culla dell’intelligenza nella sua espressione attuale dell’IA. Agli inizi di questo millennio il CIFAR (Canadian Institute for Advanced Research) era uno dei pochi centri di ricerca a mantenere vivo il filone delle reti neurali artificiali, da molti ritenuto oramai sterile. Animatore del gruppo Neural Computation & Adaptive Perception, interno al CIFAR, era il personaggio chiave della svolta in IA, Geoffrey Hinton. Insieme ad un gruppo di suoi studenti e collaboratori, oggi nomi celebri come Yann LeCun, Yoshua Bengio, Ilya Sutskever, perfezionarono le reti neurali artificiali nella forma deep learning, innescando la miccia che ha condotto alla rivoluzione attuale dell’IA. Non è quindi sorprendente che il Canada sia luogo all’avanguardia nel tentativo di valorizzare l’IA per il bene comune, nel 2017 è stato il primo paese ad adottare una strategia nazionale per l’IA. Da allora al 2022 si sono susseguite 84 iniziative governative, con interventi che riguardano politiche, piani strategici, progetti, dichiarazioni etiche.

Per quanto riguarda piani strategici e progetti l’organismo principale è il Pan-Canadian AI Strategy, co-gestito dal dipartimento federale allo sviluppo economico e scientifico, insieme proprio al CIFAR. Nei suoi progetti naturalmente non mancano quelli di tipo prettamente economico, di supporto ad aziende nell’impiego di tecnologie IA nel mercato, ma sono affiancati da una sostanziosa fetta che ha come obiettivo il bene pubblico, dall’aiuto all’interazione con i servizi pubblici, al supporto per giovani con difficoltà sociali e mentali, in sinergia con il servizio Kids Help Phone, fino all’impiego di IA per migliorare la gestione di risorse energetiche e ambientali.

AuroraAI: l’esempio finlandese

Nel nostro continente il governo più virtuoso e lungimirante nel rendere l’IA patrimonio pubblico risulta la Finlandia, forse l’unico esempio nel mondo di programma nazionale, denominato AuroraAI, in cui l’IA è mirata interamente al servizio e al benessere della popolazione. La sua ambizione è di offrire in un’unica interfaccia intelligente l’intera rete di ogni possibile servizio ai cittadini esistente nell’amministrazione pubblica. L’idea centrale attorno cui il sistema è sviluppato è dell’ecosistema degli “eventi di vita”, momenti di transizioni importanti nella vita di una persona, che possono andare dall’avvio ad un ciclo scolastico, ad un divorzio, l’acquisto di una nuova casa, andare in pensione, o dover iniziare certe cure mediche.

Non solo AuroraAI cerca di fornire le istruzioni appropriate rispetto al contingente evento di vita, ma la successione di tali eventi, con le rispettive azioni intraprese, costituisce il profilo virtuale di ogni cittadino, chiamato DigiMe, che dovrebbe consentire ad AuroraAI di ottimizzare il suo supporto personalizzato. Il progetto è iniziato nel 2018 con uno studio preliminare, e il servizio è diventato attivo nel 2020. Quel che risulta ammirevole di AuroraAI è il suo volare alto, caratteristica che la espone anche a inevitabili divergenze tra le ambizioni e le tante difficoltà pratiche. A partire proprio dall’armonizzare l’estesa rete di servizi pubblici per poterla gestire in modo automatico, superando ostacoli tecnici, legali e amministrativi. Inoltre uno dei punti di forza di AuroraAI avrebbe dovuto essere il coinvolgimento della società civile nella sua progettazione, ma questo è risultato possibile solo in minima parte, scontrandosi con la pesante disomogeneità di preparazione e consapevolezza riguardo l’IA da parte delle varie componenti della società.

Progetti locali e resistenze nazionali: Norvegia e Germania

La Norvegia, pur non avendo progetti su scala nazionale come quello finlandese, ha intrapreso qualcosa di simile a livello municipale, per esempio il comune di Oslo gestisce il sistema LINK in cui l’IA funge da guida nella navigazione attraverso la rete di servizi pubblici al cittadino, gestendone pure la comunicazione e il sistema di calendarizzazione di eventuali incontri di persona. Il servizio è soprattutto orientato a persone che vivono momenti di difficoltà.

Uno dei paesi tecnologicamente più avanzati d’Europa, la Germania, è un esempio contrario, di mantenimento della tendenza a direzionare l’IA in modo prevalente verso il profitto. Come denuncia un report del Alexander Humboldt Institute for Internet and Society del 2022, l’iniziativa statale tedesca per l’IA, la NAIS (German National Artificial Intelligence Strategy), sulla carta promuove il coinvolgimento della società civile per l’impiego dell’IA come bene comune, ma da quando è stata istituita nel 2018 ha incentrato gli sforzi sul potenziale economico dell’IA, sospinto da interessi industriali, lasciando spazi minimi alla società civile.

L’importanza della ricerca orientata: l’esempio di FARI

Una naturale obiezione alla valorizzazione dell’IA come bene comune è se ne sia davvero all’altezza. Ma la risposta non potrebbe che essere empirica, dai risultati di sviluppi in cui a fronte di specifiche esigenze civiche si sfruttino tecniche di IA per possibili soluzioni. Ciò esige anzitutto orientare la ricerca in questa direzione, quella che, per esempio, tenta di perseguire il consorzio europeo FARI (AI for the common good). La sua ricerca e sperimentazione si concentra soprattutto sulla città di Brussell. Uno dei suoi progetti, Cafe’ Survey, mira al coinvolgimento di base della cittadinanza, per una spinta dal basso ad usi concreti dell’IA, mediante una consultazione collettiva sulla percezione dell’IA e le esigenze dei diversi segmenti di cittadinanza. Il progetto Datawalk ha realizzato invece percorsi guidati attraverso ciò che già è stato realizzato a Brussell in termini di miglioramento della vita cittadina tramite tecnologie di smart city, incentivandone l’impiego.

Civic Artificial Intelligence: l’iniziativa italiana

Per moltiplicare le ricerche come quelle condotte da FARI e portarle ad una massa critica che controbilanci l’impiego corporativo per mero profitto dell’IA è indispensabile l’azione politica. Va in questa direzione un’iniziativa che parte dall’Italia, dal movimento EUMANS! lanciato da Marco Cappato, sotto forma di lettera aperta alle istituzioni europee, per una Civic Artificial Intelligence. I contenuti della lettera declinano l’IA precisamente nel senso anche qui perorato: di bene comune.

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